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Lucio Corsi, classe 1993, è un cantautore di Grosseto: per lui è la prima volta all'Ariston, ma non è esattamente un novellino nel mondo della musica, benché sia arrivato al Festival a Sanremo da outsider. Nella sua carriera musicale c'è anche l'apertura del concerto degli Who e ha all'attivo tre album in studio. La sua è una vita di completa devozione alla musica. Nelle canzoni ha sempre riversato molto del vissuto personale, delle sue radici, creando attorno alla sua figura un immaginario molto teatrale, a tratti malinconico, sognante. Quest'atmosfera musicale trova riscontro anche nel suo modo di prendersi la scena: nei tour e nei concerti è solito truccare il viso di bianco, ricalcando una figura iconica come il Pierrot, con occhi marcati di nero e rossetto scuro. La sua voce è lo strumento per raccontare una storia, il suo viso è la tela su cui disegnarla.

Volevo essere un duro è il brano che porta a Sanremo 2025, una canzone in cui sviluppa un tema universale, che ci riguarda tutti: dover fare i conti con chi siamo davvero, difetti compresi, compreso ciò che proprio non ci piace. Racconta delle pressioni che riceviamo da una società che ci vuole forti, perennemente performanti, infallibili e che sembra invece tenere in secondo piano chi è meno propenso all'omologazione, al consenso. Lui, che nel testo si definisce un "nessuno" ammette che avrebbe preferito essere uno di quelli che non teme il futuro, che vive la vita con disinvoltura, un robot: un vincente insomma.
E conclude: "Quanto è duro il mondo per quelli normali". Quella normalità che sembra essere diventata qualcosa di terribile, rispetto alla fama a tutti i costi, al successo, all'ostentazione, alla straordinarietà di vite patinate, perfette. E non importa che poi perfette non lo siano quasi mai: l'importante è l'apparenza, come ci insegnano anche i social. "Non sono altro che Lucio": con questo verso chiude il suo brano, che è un inno all'essere se stessi, è la celebrazione dell'essenza contro l'apparenza. E per questo l'artista ha fatto una scelta ben precisa.

L'Ariston negli ultimi anni si è configurato sempre più come una passerella: Sanremo è musica, ma è anche moda. Abbiamo visto i cantanti esibirsi con look stravaganti o eccessivi, glamour o classici: ma dei look degli artisti in gara si è sempre parlato, è un elemento su cui si concentrano aspettative e curiosità. La preparazione comincia mesi prima, si lavora con gli stylist, vengono coinvolte le più grandi Maison, pronte a vestire gli artisti più in vista. E poi quest'anno tra i look da diva di Elodie e i gioielli da 500 mila euro di Tony Effe ecco arrivare lui: Lucio Corsi. Nessuno a curare la sua immagine, nessuna Casa di Moda a firmare gli abiti di scena, niente oro e diamanti addosso. Il cantante ha candidamente ammesso di aver portato all'Ariston ciò che mette di solito nei suoi tour, vestiti ormai logori che sposta di città in città dentro il solito baule ormai da anni.
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Alla costruzione d'immagine che c'è attorno a un cantante, in un evento televisivo e fortemente mediatico come Sanremo, Lucio Corsi ha opposto semplicemente se stesso. All'Ariston ha portato la versione più vera, sincera, autentica di sé: senza orpelli, senza aggiunte, senza aggiustatine qua e là. Questo, unito al suo brano così intimo e poetico, gli ha permesso di conquistare tutti. Ha dimostrato che non c'è niente di male nell'essere normali, che a volte tutto ciò che si ha da donare non è altro che ciò che si è, se stessi: e va bene così, perché è già abbastanza.
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