L’Europa chiede alla moda meno collezioni per salvare il pianeta: è necessario sfilare così spesso?
Se vogliamo che la moda sia davvero più sostenibile bisogna rallentare la produzione. Non è solo il sistema del fast fashion a dover immettere meno capi e meno accessori sul mercato, ma è l'intero sistema a dover essere ripensato. L'Unione Europea ha proposto una serie di misure direttamente rivolte al mondo della moda: più tessuti riciclati e un ciclo di vita il più lungo possibile, in modo da salvare gli abiti dalla discarica. L'ultima proposta sul tavolo, però, sta facendo discutere: ridurre il numero di collezioni annuali per dare più valore ai singoli capi. Una notizia che ha colto di sorpresa gran parte del settore: in futuro avremo meno sfilate?
La Commissione Europea sta valutando una strategia per limitare gli sprechi del settore tessile e incentivare il riciclo. Ne ha parlato Vivian Loonela, capo della delegazione estone della Commissione Ue, in un’intervista al sito Err.ee: "La strategia presentata dalla Commissione si concentra su questi obiettivi: ridurre il numero di collezioni presentate ogni anno e prendersi la responsabilità di minimizzare l'impronta ambientale di ciascuno. È anche importante ripensare il modo in cui gli abiti vengono prodotti e tutelare le condizioni dei lavoratori della filiera".
La decisione si basa su alcuni dati che confermano lo spreco di abiti e accessori ancora perfettamente validi: ogni cittadino, secondo le stime europee, getta via ogni anno 11 chili di prodotti tessili, principalmente vestiti. Gli studi indicano anche che ogni capo viene indossato in media tra le 7 e le 10 volte prima di essere buttato. Seconda la proposta europea, entro il 2030 tutti i tessili venduti sul mercato europeo dovranno essere progettati per durare nel tempo e essere riciclabili. "Gli abiti dovrebbero essere realizzati con fibre eco-friendly o riciclate, prive di sostanze chimiche dannose". Si parla anche di mettere "un tetto" al fast fashion.
Ma se sulla teoria siamo tutti d'accordo, l'idea di diradare le collezioni e rallentare i frenetici ritmi dell'industria di moda non convince tutti. Eppure erano stati gli stessi stilisti, durante la pandemia, a chiedere di rallentare. Alessandro Michele di Gucci, ad esempio, si era sfilato dal calendario della Fashion Week parlando di "una nuova scansione del tempo, più aderente al mio bisogno espressivo". Giorgio Armani si era mostrato sulla stessa linea: "C’è decisamente troppa offerta rispetto al reale bisogno", aveva scritto in una lettera aperta a WWD. In generale, il mondo della moda aveva espresso la volontà di puntare su vestiti in grado di durare nel tempo.
Per un momento era sembrato che molti brand fossero pronti ad abbandonare il fitto calendario che impone due show invernali e due show estivi, per l'uomo e per la donna, a cui si aggiungono a volte le sfilate di Alta Moda e delle collezioni pre Fall e Cruise. Ci sono significative eccezioni: molti brand presentano insieme le collezioni uomo e donna insieme attraverso le cosiddette sfilate co-ed.
In linea generale, a pandemia finita, gli show sono tornati frequenti e spettacolari come prima, con centinaia di persone che viaggiano da un capo all'altro del pianeta. Non c'è un brand che non abbia parlato di sostenibilità negli ultimi anni, puntando su materiali riciclati e alternative cruelty free. Le piccole case di moda stanno ragionando sempre di più su capi "seasonless", slegati dalle tendenze di stagione. L'idea di "chiudere i rubinetti", però, e di intervenire all'origine del problema sembra lontana anni luce. Con una crisi climatica alle porte la domanda bisogna porsela: sei sfilate all'anno sono veramente necessarie? Siamo disposti a diminuire la produzione per salvare il pianeta?