L’erotismo a bassa voce di Magliano: “La mia moda per curare le ferite”
Un erotismo sussurrato, uno scandalo a bassa voce. Abiti eleganti, ma in maniera trasgressiva, capaci di "curare le ferite". La collezione Primavera/Estate 2023 di Magliano è tra le proposte più interessanti della Milano Fashion Week Uomo appena conclusa. Tra i nomi che vale assolutamente la pena conoscere (e ricordare) nel panorama della moda contemporanea c'è quello di Luca Magliano, classe 1987, poeta della classe operaia e designer neorealista: con i suoi abiti racconta una periferia viva, pulsante, cosmopolita e profondamente italiana, piena di sogni e di un erotismo languido, delicato.
Se a trent'anni non si fosse trovato senza lavoro, racconta a Fanpage.it, probabilmente non avrebbe mai corso il rischio di aprire una sua etichetta. Per fortuna, però, lo ha fatto, portando avanti una sua poetica che lo rende oggi tra i nomi più peculiari e interessanti sulla scena: un casting scelto con l'attenzione di un regista, tra italiani di seconda generazione e barbe bianche, collezioni che raccontano storie ed eroi popolari, linee fluide e scivolate, abiti destrutturati con una cura maniacale al dettaglio. L'ispirazione per la collezione Primavera/Estate 2023 arriva da Sandro Penna, poeta omosessuale vissuto ai tempi del Fascismo, che Pasolini definì "scandaloso ma a bassa voce". Fanpage.it ha intervistato Luca Magliano per parlare di lavoro, poesia e della scelta di non uscire in passerella al termine dello show.
Le tue collezioni raccontano sempre una storia: cosa racconti con la Primavera/Estate 2023?
Nelle nostre collezione ci sono sempre degli eroi: quest'anno il nostro spirito guida era quello di Sandro Penna, un poeta che ha vissuto la sua omosessualità durante il fascismo in maniera aperta. Penna è famoso come il "poeta dei risvegli" e questa voleva essere una "collezione di risveglio", un'alba. La sua poesia è legata ai temi dell'erotismo ma a bassissima voce. Pasolini lo definì "scandaloso ma a bassa voce" e questa è la maniera in cui volevamo lavorare: scandalosi ma a bassa voce, eleganti ma in maniera trasgressiva.
Qual è il look-emblema della collezione Primavera/Estate 2023?
Ce ne sono tantissimi, tutti importanti, ma quello che trovo più emozionante è probabilmente il pigiama di pillole con una stampa foulard creata da Klaus Jurgen Schmidt ispirandosi ai farmaci antiretrovirali per l'HIV. Parte della collezione risponde alla domanda: possono i vestiti curare le ferite? Volevamo parlare delle ferite della nostra epoca e del dolore senza far riferimento diretto a ciò che sta succedendo nel contemporaneo. Ho voluto affrontare il tema importante dell'Aids in maniera gioiosa e catartica: quella stampa rappresenta ciò che ti salva la vita, le "pillole magiche".
Perché hai scelto di sfilare in una cabina di trasformazione dell'Enel?
Abbiamo scelto un luogo che racconta di una Milano popolare, un luogo di lavoro e un luogo di energia. Per noi era importante evocare un l'idea della luce dell'alba. Le finestre erano retroilluminate perché volevamo che la luminosità fosse quasi fastidiosa. Gli scouting delle location sono un modo per imparare a conoscere la città di Milano e certe sue zone.
Il tuo casting è molto particolare: come scegli i modelli?
Innanzitutto faccio ricerca sulle epoche storiche, anche tramite i film, e poi condivido tutto con la casting director e da lì iniziamo a costruire una "crew". Devono essere i personaggi di una storia, quindi devono far vedere le relazioni che ci sono tra di loro. Quello che vogliamo rappresentare è diversità ovviamente, ma alla maniera nostra: diversità degli outsider, dei tipi non convenzionali. C'è molto lavoro dietro: se il tutto funziona così bene è perché i ragazzi giocano con noi.
Alla fine della sfilata non sei uscito in passerella, come mai?
Perché l'applauso finale non è per me, è per tutto il team. Non è né un segno di rivolta né una mancanza di rispetto verso il pubblico, anzi: dopo la sfilata sono disponibile a parlare e abbracciare chiunque. Semplicemente non mi interessa rivendicare quella vanità, Magliano ormai non siamo più io, è un team di persone. Quando ci abitueremo alle uscite di gruppo usciremo tutti insieme, perché no…
Nel tuo lavoro la periferia diventa cool e internazionale…
Quella provincia non è una cartolina, non è quella degli anni Cinquanta: è un luogo magico che esiste ancora ed è reale, non sono balle. La maggior parte dei modelli del nostro cast è italiana: italiani di seconda generazione, o che vivono qua da quarant'anni. Vogliamo mantenere un livello di credibilità: se rendiamo la periferia cool è perché lo è veramente.
È vero che hai fondato il tuo brand a trent'anni perché non trovavi lavoro?
È vero! Ho passato mesi a fare colloqui e non trovavo il mio posto. Se non mi fossi trovato in quella posizione sicuramente non mi sarei azzardato a provare a fare questo passo. Per mia natura però tendo a reagire in maniera provocatoria rispetto alle situazioni: mi sono buttato ed è stato un disastro (ride, ndr).
Tanto male non è andata…
No, alla fine no: è stato il primo momento in cui ho scoperto che mi piaceva. Mentirei però se dicessi che da piccolo sognavo questo: volevo continuare a lavorare nella moda e in quel momento nel panorama c'era una finestra per poter dire delle cose, un vuoto da colmare. Poi si sono unite delle persone a me ed è stata la più grande lezione di vita: se parti, qualcuno ti segue.
Tra grandi dimissioni e eterne gavette il mondo del lavoro è al centro del dibattito pubblico: tu che ne pensi?
Sono felice che in questi giorni si parli di questi temi. Quando ho deciso di lanciarmi avevo proprio questa esigenza: non trovo lavoro, allora me lo invento io. Ho lo spirito dell'imprenditore? Non credo, però ho un'idea del lavoro molto precisa: il lavoro deve essere dignitoso. Questo è un tema politico, è scritto nella Costituzione: il lavoro deve dare dignità alle persone, non le deve far sentire frustrate o umiliate.