Giulia Lamarca, l’influencer che racconta la moda in carrozzina: “Non essere rappresentati è come non esistere”
Ci sono tanti modi per parlare di Giulia Lamarca. Si può dire che è una psicologa, che è una travel blogger o che lavora come influencer. Ma c'è qualcosa che lega tutte queste definizioni: Giulia vuole cambiare il mondo, anche quello della moda. La 32enne, dal 2011 in carrozzina dopo un'incidente, pubblica spesso contenuti sui viaggi che fa. Ultimamente punta anche a far vedere gli outfit che sfoggia. Il motivo? Mostrare ai suoi più di 400 mila followers che venire rappresentati dai brand di moda significa esistere. A Fanpage.it ha raccontato quale è il suo progetto per la Fashion Week a Milano.
Su TikTok hai pubblicato un video in cui dici che sei stanca di non vedere sfilare alla Milano Fashion Week persone in carrozzina. Cosa hai intenzione di fare?
Tutti i giorni pubblicherò un video con un fit check diverso dove mostrerò cosa sta bene alle persone in sedia a rotelle. Non parlo di capi creati appositamente per chi ha esigenze come la mia, anzi. Farò semplicemente vedere quali gonne sono più comode da indossare e quali tessuti scendono meglio. Ogni tipo di capo, dai pantaloni alle borse. È fondamentale.
Perché reputi importante un’iniziativa del genere?
La mia battaglia riguarda la rappresentazione di tutti i corpi non conformi, nello specifico quelli delle persone in sedia a rotelle. La settimana della moda a Milano si è aperta con la sfilata di donne guarite dal tumore al seno, una passerella in cui mostravano le loro cicatrici. Ma si trattava di persone in piedi. C’è bisogno di far entrare nell’immaginario comune che anche "una donna seduta" merita il proprio spazio. Io ho studiato psicologia, so quanto sia importante abbattere questo stereotipo, questa barriera.
In che modo la mancanza di rappresentazione di modelle o modelli in carrozzina incide su chi vive questa condizione?
È come non esistere. Faccio il mio esempio, non perché “Giulia Lamarca vuole entrare nel mondo della moda” ma perché mi piacerebbe diventare il volto di un cambiamento. Tagliare fuori un personaggio come me, per esempio non invitandomi alle sfilate della Fashion Week di Milano, significa escludere una fetta di mercato. In Italia sono milioni le persone con disabilità ma non c’è nessun marchio che presenti una pubblicità con una modella in sedia a rotelle. Non si può dire che i brand non ci abbiano pensato: quella di volerci escludere è una scelta. Anche chi mi segue sui social lo ha notato.
Cosa pensano i tuoi followers di quello che mostri su TikTok o Instagram a proposito della moda e del fashion?
Una volta ho pubblicato un video in cui mostravo come portare un trench e il papà di una bambina in carrozzina mi ha ringraziata. Anche sua figlia desiderava indossarlo ma non aveva idea di come fare. È questa la potenza della rappresentazione. La gente mi prende come esempio, ma in realtà ci ho messo 11 anni per capire che potevo mettere anche io le gonne. Per molto tempo ho usato i pantacollant al posto dei jeans. Non riuscivo a credere che potessero essere comodi anche per me.
Cos’è che ti ha spinto a cambiare stile?
Desideravo far emergere la mia personalità, la mia identità. Tramite la scelta di un abito puoi dire al mondo chi sei, senza bisogno di parlare. Io viaggio molto e devo dire che esempi come quelli che ci sono in America mi hanno aiutata tanto, alla New York Fashion Week c'erano sfilato di persone in carrozzina. Posso anche fare riferimento alla Corea del Sud. Lì ho visto la pubblicità dell’ente del turismo in cui era presente una persona in sedia a rotelle. Basta veramente poco.
Di cosa c’è bisogno affinché avvenga questa “rivoluzione”?
Ci vuole coraggio. I brand non devono aver paura di parlare del diverso, basta mostrarlo. La moda deve continuare a fare quello che ha sempre fatto: vestire bene le persone. La rivoluzione? Vestire bene le persone in sedia a rotelle. Questo discorso, in realtà, fa bene un po’ a tutti.
Quale è la tua speranza per il futuro?
Io credo nei giovani, questo cambio di rotta lo vedo già con i piccoli marchi. Sento che le cose miglioreranno con le nuove generazioni, loro non hanno paura di toccare questi argomenti. Sono stufi dei corpi perfetti.
Hai lanciato la campagna #dirittoalvolo che su Instragram ha avuto un grandissimo successo. Hai intenzione di fare lo stesso per la rappresentazione delle persone con corpi non conformi nel settore del fashion?
Non ci avevo pensato, ma potrei lanciarla una campagna così. Il fatto che non sia già presente un’iniziativa del genere la dice lunga su quanto ancora lavoro ci sia da fare in Italia.