Eman Fathy, 10 anni fa la scelta di portare il velo: “A volte sento parole che mi danno fastidio”
Con la leggerezza dei suoi 25 anni e con la serenità che deriva dall'aver potuto compiere una libera scelta, Eman Fathy parla del velo con il sorriso. È una ragazza nata e cresciuta in Italia, ma i suoi genitori (madre egiziana e padre marocchino qui dall'89) sin da piccola hanno fortemente voluto che conoscesse le sue radici, le sue origini. Le domeniche in moschea, che ricorda con affetto e tenerezza, le sono servite per imparare l'arabo (che oggi parla fluentemente), per saper leggere il Corano, per capire a fondo la religione musulmana, per entrare in contatto con altri fedeli della sua stessa religione. Attorno a sé aveva da un lato i compagni di classe italiani, dall'altro i musulmani con cui pregava, le donne della sua famiglia, tutte con il velo. Questo indumento ha sempre fatto parte della sua vita e inizialmente per emulazione poi con convinzione ha deciso di portarlo anche lei. Sono passati 10 anni da quella fatidica decisione, che ha raccontato a Fanpage.it ribadendo l'importanza che venga fatta unicamente per una spinta personale, per un desiderio intimo, che nulla ha a che vedere con la costrizione e l'obbligo.
Il velo: libertà e scelta
Eman Fathy è di religione musulmana e questo elemento ha sempre avuto grande rilevanza nella sua vita. Oggi si ritiene abbastanza vicina all'Islam, pratica il Ramadan, indossa il velo. Questa decisione risale a una decina di anni fa, quando aveva circa 14 anni e frequentava il liceo. Per sua stessa ammissione, inizialmente lo ha fatto per emulazione, perché vedeva attorno a sé le zie e la madre indossarlo. "Un giorno mi sono alzata e ho deciso di portare il velo – ha raccontato a Fanpage.it – Molte ragazze hanno cominciato a portarlo dopo di me, anche mie amiche, che magari avevano paura di fare questo passo. È piaciuto anche alle ragazze italiane, che mi facevano i complimenti per l'outfit". Nel tempo questo indumento ha acquisito sempre maggiore valore per lei, è qualcosa che indossa con fierezza, con convinzione. Non lo vive con un obbligo, non si sente minacciata nella sua libertà: "È stata una decisione mia, i miei genitori non mi hanno costretto. Anzi mio padre mi aveva messo in guardia, aveva un po' di timore, aveva paura che potessi sentire qualche commento".
Del primo giorno in cui si è presentata a scuola coi capelli coperti ha un ricordo molto nitido: "Tutti mi conoscevano con i capelli sciolti e all'improvviso mi hanno trovato con il velo. Alcuni professori mi hanno chiesto se fosse stata una mia decisione, temevano mi avessero costretto i genitori. È piaciuto molto questo questo cambiamento, ricordo che una professoressa mi disse di portare a scuola il velo e di indossarlo davanti ai miei compagni. Hanno fatto uscire i maschi dalla classe, hanno lasciato solo le ragazze e ho insegnato anche a loro come portarlo". La decisione di portare il velo non è obbligatoria: "Ci sono molte ragazze che non lo portano. Ad esempio mia madre l'ha messo all'età di 33-34 anni, che era ormai sposata" ha raccontato Eman. E non è del tutto irreversibile: "Ci sono molte ragazze che non portano il velo, ma sono anche più vicine a Dio, non c'entra niente. Altre, anche amiche mie, portavano il velo e poi l'hanno tolto".
I social come strumento di inclusione
Attorno a sé Eman Fathy ha sempre percepito, da parte dei coetanei una sana curiosità, in parte anche merito dei social: "Oggi i ragazzi conoscono molte cose della mia religione che a volte nemmeno io so! Trovo difficoltà con le persone anziane, ad esempio quando prendo l'autobus o sono in metro sento a volte molte parole che mi danno fastidio, ma dalle persone anziane che non sanno niente della nostra religione. Può essere anche per ignoranza, mi scrivono: togliti questo straccio. Invece i ragazzi, grazie ai social network, cominciano a sapere molte cose del velo, del Ramadan. Su Instagram mi commentano anche ragazze italiane e mi scrivono: che bello questo velo, che bei colori. All'inizio pensavano che le persone portassero il velo come obbligo solo per coprirsi i capelli. Invece ogni ragazza musulmana in casa ha tantissimi veli di tutti i colori e ogni volta che esce li abbina con l'outfit. I social fanno avvicinare anche alle altre culture".
Tanti veli, ma anche tanti costumi da bagno, o meglio burkini. Sì, perché le ragazze musulmane possono andare al mare, ma con un abbigliamento specifico coprente: "Noi andiamo al mare e abbiamo il burkini, che è un costume proprio per le ragazze musulmane. Mi ricordo che all'inizio, quando avevo sempre 14-15 anni, la prima volta che sono andata al mare vedevo tutte le persone che mi guardavano e mi sono vergognata tantissimo. Però adesso, quando vado al mare, vedo che ormai è un'abitudine per tutti". Anche nella quotidianità ci sono dei codici da rispettare: "Possono vedere i miei capelli mio padre, i miei zii, fratelli, sorelle, zie e le ragazze. Non posso mettere magliette a mezze maniche e pantaloncini corti, non posso mettere vestiti stretti, devono essere larghi perché il fisico non deve essere visto".
La testimonianza di Eman Fathy, in un periodo storico così complesso e delicato per le donne di alcuni Paesi del mondo, restituisce un quadro importante per capire il valore della libertà individuale, che non andrebbe mai calpestato. Poter scegliere liberamente del proprio corpo e avere potere sulla propria vita sono cose che non andrebbero mai sottratte a un essere umano, soprattutto in nome della religione, un aspetto intimo e personale da vivere in serenità e con amore, verso il prossimo e verso se stessi, che è prorpio quello che viene fuori dalla sua storia.