Diamanti: cosa raccontano i costumi e la storia del vestito rosso sul poster
Un mondo come quello della sartoria è un mondo variegato, fatto di tanti colori e tanti tessuti. Allo stesso modo, il mondo femminile è complesso e ricco di sfumature. Ferzan Ozpetek, nel suo nuovo film, ha voluto omaggiare proprio le donne (e la sorellanza), creando un grande affresco realizzato con un cast tutto al femminile: Luisa Ranieri, Kasia Smutniak, Mara Venier, Jasmine Trinca, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti. Diamanti, in uscita oggi nelle sale cinematografiche, è ambientato proprio in una sartoria dove si realizzano abiti per il cinema e il teatro, che fa da sfondo alle storie tutte diverse delle diverse protagoniste, vite fatte di solitudini, passioni, ansie, mancanze, gioie e dolori. I costumi affidati a Stefano Ciammitti si muovono quindi su un doppio binario: da un lato ci sono quelli che indossano le attrici per rivelare i caratteri dei loro personaggi, dall'altro ci sono le creazioni da sogno frutto del lavoro che queste donne fanno nella sartoria. Intervistato da Fanpage.it, Stefano Ciammitti (già costumista anche per Io Capitano) ha raccontato come ha lavorato con Ferzan Ozpetek.
I costumi di Diamanti
Con Diamanti siamo negli anni Settanta, in una sartoria specializzata in costumi per il cinema e il teatro. "Una delle idee che io e Ferzan condividevamo era poter mostrare gli abiti dei nostri film preferiti – ha raccontato Stefano Ciammitti – Molti di loro hanno una tale importanza e delicatezza che non si possono più indossare, ma grazie all’ambientazione avremmo potuto mostrarli sui loro manichini, creando una sorta di film museo. Da fanatico di cinema questa è stata una delle cose più affascinanti: ad esempio non avevo mai visto dal vivo gli abiti scultura di Piero Gherardi per Mina, nel periodo dal 1964 al 1970″. In una delle scene iniziali si vede quello indossato per Fumo Blu.
Alcune preziose creazioni arrivano direttamente dalla Sartoria Tirelli Trappetti: "Dino Trappetti ci ha permesso di far sfilare nella stessa inquadratura quattro abiti iconici del mio maestro Piero Tosi per Luchino Visconti: Il Gattopardo, Morte a Venezia, L’Innocente e Ludwig. Quando le attrici hanno visto questi abiti tutti assieme nel salone del set sartoria è calato un silenzio di profonda ammirazione e bellezza".
Disegno di Stefano CiammittiIl contributo della Sartoria Tirelli Trappetti si è rivelato fondamentale: "La sartoria ci ha accolto nei suoi archivi: l’archivio fotografico, l’archivio tessile e quello sterminato degli abiti, ma soprattutto ha accolto nei suoi spazi le attrici che hanno voluto conoscere e imparare direttamente dai gesti e dalle parole delle sarte, che ogni giorno lavorano senza sosta e con grande passione. La Prima di Roma è stata molto bella per me, perché siamo riusciti a invitare tutte le sarte che hanno realizzato gli abiti, i lavoratori che hanno conosciuto e aiutato le attrici ad entrare nei loro panni: un evento magnifico che raramente si avvera".
E ha aggiunto: "In ogni inquadratura compaiono abiti o copricapi delle opere più importanti del Novecento: quello di Turandot di Maurizio Millenotti, il Don Carlos di Tosi per La Scala, alcuni abiti di Medea e de Le Mille e una Notte di Donati per Pasolini e molti altri. Gli abiti del film per il film settecentesco che nel corso della vicenda vediamo costruire (grazie a una giovane rivoluzionaria che entrerà nella sartoria per nascondersi dalla Polizia) diventeranno sempre più simili a quelli di Danilo Donati per il Casanova di Fellini. E grazie alla gentile concessione di Luigi Piccolo della sartoria Farani, ad un certo punto diventano proprio loro, gli originali del capolavoro felliniano". C'è poi il vestito che una costumista cerca di realizzare per tutto il film senza apparentemente riuscirci: "È direttamente ispirato a Danilo Donati. Ho sempre sentito una certa affinità con la sua estetica e lo stesso Piero Tosi me lo diceva" ha ammesso Ciammitti.
La storia del vestito rosso
Nel poster del film si vede una donna di spalle che indossa un principesco e mastodontico vestito rosso con maxi gonna ricamata e corpetto che lascia le spalle nude: "Immaginarlo, è stata la parte più divertente del film". In realtà, però, non è lo stesso vestito che compare nella scena finale. Infatti il costumista ha raccontato: "Ferzan ha voluto che rimanesse giustamente segreto, deve rimanere una sorpresa per lo spettatore. Il manifesto è un'immagine poetica che rimanda al fiume di tessuto rosso utilizzato per realizzarlo. Lo abbiamo ultimato prima dell’inizio delle riprese nella Sartoria Tirelli Trappetti: ha richiesto più di 160 metri di tessuto. È tutto doppiato di crinolina nera e ci sono centinaia di piccoli prezzi di pvc trasparente attaccati a mano uno ad uno sul corpino e fino a terra"
C'è poi l’abito della Diva del Teatro per Giorni Felici di Beckett: "Realizzarlo è stata un'impresa, con la sua crinolina di otto metri di diametro, un'immensa gonna di stracci e un copricapo assemblato con dei pezzi di copertone di bicicletta laccati di nero".
Cosa indossano le attrici protagoniste
Ogni personaggio femminile del film ha una storia personale e un'indole tutta sua: questo si riflette anche nel loro abbigliamento. Basti pensare alle due sorelle: Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca) sono molto diverse. A tal proposito Stefano Ciammitti ha spiegato: "Ogni sarta, anche se parzialmente velata dal rigoroso camice blu e panna della sartoria Canova, ha un suo stile particolare che ne rispecchia la personalità. La costumista indossa capi di Alta Moda dell’epoca: degli YSL, Emanuel Ungaro, Pierre Cardin e molti altri. Luisa Ranieri ha tutto un guardaroba fatto in sartoria di camicie con fantasie ricercate e sahariane in lino irlandese molto simili tra loro, colorate, eleganti e rigorose, quasi a rimarcare l’ossessività della sua ricerca del dettaglio. Gli abiti di Jasmine Trinca sono un mix di rigore, ma spesso anche morbidi e floreali, a volte un po’ autunnali. L’abito che Kasia Smutniak indossa alla cena finale è un Caftano di Pucci rifatto quest’anno esattamente come un loro originale degli anni Settanta. Anche per Mara Venier il guardaroba è stato fatto interamente da capo guardando però questa volta al nostro meraviglioso cinema neorealista".