Da Cecilia Rodriguez a Diletta Leotta, perché tutte indossano lo stesso abito da sposa?
Quando un'influencer o una celebrity annuncia le nozze, immediatamente la curiosità principale si concentra su un unico e solo dettaglio: il vestito da sposa. Non a caso, questa informazione viene sapientemente taciuta fino all'ultimo, la diretta interessata snocciola pochissime informazioni, col solo scopo di tenere alta l'attenzione. Simona Ventura, per esempio, del suo look nuziale aveva solo anticipato che avrebbe rispettato la tradizione del bianco. Cecilia Rodriguez aveva portato fan e follower con sé in atelier, ovviamente senza mai mostrare la sua scelta finale. Diletta Leotta, ospite di Mara Venier a un mese dal matrimonio, aveva rivelato di non aver ancora scelto l’abito da sposa, per poi sfoggiarne addirittura quattro nel fatidico giorno del sì. Queste tre spose hanno qualcosa in comune: si sono affidate a un brand molto noto del settore wedding, che sembra piacere particolarmente alle vip. Negli anni sta crescendo il numero di donne del mondo dello spettacolo che si affidano ad Atelier Emé.
Atelier Emé fa parte di un colosso dell'abbigliamento
La storia del brand è iniziata nel 1961, quando il nome era però Atelier Aimeé. Il cambio di rotta si è avuto nel 2015, quando c'è stato il passaggio all'attuale nome in concomitanza con l'ingresso nel Gruppo Oniverse. Questo step è fondamentale, perché rappresenta una grossa evoluzione. Questa azienda è proprietaria di 8 marchi legati al settore dell'abbigliamento e non solo: Calzedonia, Intimissimi, Tezenis, Falconeri, Atelier Emé, Antonio Marras, ma anche Signorvino (vini italiani) e Cantiere del Pardo (yacht di lusso). In tutto ci sono oltre 5000 punti vendita monomarca dei brand del gruppo, in 55 Stati. L'azienda ha negli anni investito molto nella pubblicità, accostando il proprio nome a quello di influencer e personaggi molto noti. Hanno prestato il loro volto Gisele Bündchen, Sara Sampaio, Julia Roberts, Jennifer Lopez, Sarah Jessica Parker, Adriana Lima. Hanno collaborato anche Emma, Annalisa, Melissa Satta, Federica Nargi, Elisabetta Canalis e Chiara Ferragni.
Chi ha indossato Atelier Emé nel giorno del sì
L'estate è la stagione dei matrimoni e quest'anno sono convolate a nozze diverse celebrity. Unico comune denominatore: tutte in abiti firmati Atelier Emé. Diletta Leotta ha scelto ben quattro look: un abito trasformabile 3 in 1 e poi un mini dress con frange e cristalli. Cecilia Rodriguez ha puntato su tre outfit: due con schiena nuda e uno con maxi spacco. Cambio look anche per Simona Ventura, che ha stupito tutti coi pantaloni per poi sfoggiare un abito più tradizionale durante la festa serale. Come loro, appena pochi giorni fa, Carlotta Perego, la fondatrice di Cucina Botanica, passata da un look tradizionale a uno più sbarazzino. Prima di tutte loro si è affidata al marchio anche Francesca Ferragni, nel giorno del sì: abiti firmati Atelier Emé sia per lei che per le damigelle. Tornando indietro nel tempo la lista di amiche dell'atelier si allunga con Giorgia Palmas, Raissa Russi, Giulia Penna, Paola Turani.
È la pubblicità, bellezza
Sotto alle foto condivise in questi mesi dalle celebrity che sono salite sull'altare con abiti Atelier Emé spicca lo stesso hashtag: #adv. È presente sotto ai recenti post di Cecilia Rodriguez, Simona Ventura, Carlotta Perego, Diletta Leotta. A proposito di quest'ultima, lei è tra l'altro proprio testimonial di Intimissimi Uomo, che fa parte dello stesso gruppo del marchio bridal. La pubblicità oggi si avvale necessariamente anche dei social, canali preziosissimi per farsi conoscere, per raggiungere un pubblico ampio, per acquisire visibilità e avvicinare potenziali acquirenti. Le regole in materia sono state per lungo tempo piuttosto fumose. Tendenzialmente, c'è da parte degli influencer una certa difficoltà nell'essere chiari e trasparenti, perché si teme che il pubblico possa percepire negativamente un contenuto a tutti gli effetti pubblicitario. Da qui l'omissione dell'hashtag adeguato. In realtà, essere chiari sulla natura dei post non intacca la capacità degli questi di generare engagement. Inoltre questa percezione di negatività non è poi così certa: anzi, un contenuto dichiaratamente pubblicitario, se fatto con cura può comunque raggiungere gli obiettivi prefissati.
Di recente però, complice lo scandalo legato al caso pandoro Balocco-Ferragni, si sta prestando più attenzione a questo aspetto, palesando in modo più chiaro i contenuti con fini pubblicitari, quelli che nascondono accordi commerciali veri e propri. Nello specifico, si utilizzano alcune diciture, che differenziano le tipologie di contratti tra il content creator e il brand. Si usa #suppliedby quando un prodotto è stato fornito dal marchio per avere visibilità, senza stipulare un contratto o definire un compenso. Si usa #giftedby quando i prodotti vengono regalati all’influencer, che può decidere se mostrarli o meno ai followers. Diverso è il caso di #ad e #adv: stanno per "advertising": questi post sono pubblicità vera e propria e chi li realizza è stato pagato per la loro realizzazione.
Non si conoscono i compensi ricevuti per questa operazione pubblicitaria, in cui le spose hanno a tutti gli effetti fatto da testimonial al brand, come se i loro matrimoni fossero degli spot in piena regola. La visibilità è garantita, la circolazione del nome pure, che inevitabilmente diventa per giorni il più chiacchierato, il più ricercato da tutti coloro desiderosi di conoscere i dettagli dei look della celebrity. E nel bene o nel male, basta che se ne parli, questa è la regola aurea da sempre valida.