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Cos’è l’hype culture e perché ci mettiamo in coda per un paio di scarpe o per un orologio

La psicologia ci aiuta a capire perché alcuni capi – dalle sneakers alle t-shirt, fino agli orologi – diventano ossessioni collettive. Perfino fare la fila diventa un’esperienza da vivere, un rito collettivo e un’occasione di incontro.
Intervista a Prof. Vincenzo Russo
Professore Associato di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing Behavior and Brain Lab all' Università IULM
A cura di Beatrice Manca
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clienti in coda fuori da un negozio Primark
clienti in coda fuori da un negozio Primark

Che cosa spinge migliaia di persone a mettersi in coda per un orologio? Perché migliaia di ragazzini sono disposti a dormire fuori dai negozi tutta la notte? Come fa un paio di sneakers di seconda mano a costare come una borsa di lusso? La risposta è sempre la stessa: la hype culture, quel misto di desiderio, attesa e trepidazione che circonda alcuni pezzi di moda capaci di sbaragliare il mercato. Se non avete mai sentito questo termine, provate a guardare le file chilometriche fuori dai negozi Swatch per il lancio dell'orologio Bioceramic MoonSwatch, riedizione del celebre Speedmaster di Omega nato in collaborazione con Swatch. Il lancio dell'orologio, rivenduto online a cifre folli, ha riacceso il dibattito sulla hype culture. Per capire esattamente di cosa si tratta e come influenza i nostri desideri, Fanpage.it ha intervistato il professor Paolo Ferrarini, docente di Fashion and Industrial Design all’Università di Bologna e autore del podcast di design Parola Progetto. "L'hype è un fenomeno diverso dal semplice ‘essere cool' – spiega – si basa sul concetto di rarità ed esclusività tipico del lusso. Una cosa può essere cool e accessibile al tempo stesso, mentre l’hype lavora di sottrazione".

Che cos'è la Hype culture

Il termine hype indica la spasmodica attesa di qualcosa, una sorta di ossessione collettiva che spinge una massa di persone a cercare un determinato capo o accessorio che si carica di aspettativa perché è unico, è storico, è un cult. L'hype spinge le persone ad accamparsi fuori dai negozi per una felpa o a cercarla online a prezzi da capogiro, dieci, venti volte superiori del prezzo di mercato. L'esempio più clamoroso sono le code per le t-shirt in edizione limitata di Supreme, ma il fenomeno arriva da lontano. “Alcuni fanno coincidere le origini della hype culture con gli albori della cultura hip hop, quando i ragazzini erano disposti a tutto pur di avere gli ultimi vinili – spiega il professor Ferrarini – Un tratto fondamentale dell’hype, oltre la scarsità dei beni, è la capacità di raccontare una storia”. Collaborazioni, riedizioni di capi storici, accessori celebrativi per un anniversario: c’è sempre un valore che va oltre quello del semplice capo. "La hype culture si lega a doppio filo con lo streetwear: negli anni Dieci è esplosa con le sneakers e con le t-shirt. In un certo senso anche Swatch, negli anni Novanta, ha contribuito al fenomeno hype: ha scatenato un collezionismo pop, accessibile”. Supreme è tra i brand che hanno meglio saputo sfruttare la strategia dell'hype, ma non è il solo: tra gli esempi più famosi ci sono gli oggetti creati da Virgil Abloh per Ikea, la collaborazione tra Travis Scott e McDonald o le Satan Shoes firmate da Lil Nas insieme a un collettivo di artisti newyorkesi (diventate virali e sfoggiate anche Fedez).

Le file per il lancio della co-lab tra Supreme e Louis Vuitton
Le file per il lancio della co-lab tra Supreme e Louis Vuitton

Nel lungo elenco si inseriscono anche le sneakers di Lidl, definite dal professore “un esperimento, la ciliegina sulla torta del collezionista” più che una vera strategia. “Non esiste una formula del successo: la hype culture si basa sulla rarità, quindi se ci sono troppi pezzi non attecchiscono. In un certo senso sono più i flop che i successi, solo che i flop non vengono neanche comunicati”. Il rischio più grande, in questi casi, è fare una promessa non mantenuta al pubblico. "Un caso di insuccesso è il calendario dell’avvento di Chanel: un prezzo per molti difficile da comprendere in cambio di pochi gadget, che ha fatto sentire alcuni acquirenti presi in giro".

Perché il MoonSwatch ha scatenato l'hype

Il dibattito sulla hype culture si è riacesso in modo prepotente con il successo del MoonSwatch Omega x Swatch. "L’esempio del MoonSwatch è già un caso da manuale – spiega il professor Ferrarini – hanno preso qualcosa che conoscono tutti ma l’hanno resa nuovissima". La collaborazione tra i due brand funziona perché lo scambio è in entrambe le direzioni: Omega ha prestato a Swatch la grande eredità di un orologio andato sulla Luna, Swatch ha prestato a Omega un materiale innovativo, la bioceramica, che permette di avere dettagli più precisi e di sperimentare con il colore. Il successo è dovuto anche (e soprattutto) a una sapiente strategia di marketing, che punta tutto sulla quintessenza del lusso: la rarità. “Il MoonSwatch non è un’edizione limitata, ma è stata centellinata sapientemente. Il fatto di averlo venduto nei negozi fisici, poi, è stata una mossa vincente”. Swatch infatti ha annunciato che l'orologio non sarà venduto online, ma i (pochi) pezzi disponibili vengono distribuiti in alcune boutique selezionate. Una scelta strategica: da Milano a Napoli, migliaia di persone si sono messe in coda fuori dai negozi e quei video sono diventati parte integrante della strategia di marketing di Swatch.

Lo Speedmaster Moonswatch ispirato a Venere
Lo Speedmaster Moonswatch ispirato a Venere

C’è il fattore del vivere un'esperienza – aggiunge il professor Ferrarini – fare la fila è già parte dell’evento”. Un po’ come andare a un concerto in ultima fila per il gusto di poter dire ‘io c’ero”. La dimensione dell’esperienza fisica ha acquistato ancora più valore dopo due anni di eventi digitali: “Proprio perché l’esperienza fisica è diventata rara oggi è ancora più preziosa – precisa Ferrarini – In coda si crea una specie di comunità di ‘simili’ che si capiscono”.

La fila davanti allo store Swatch di Milano in Corso Vittorio Emanuele
La fila davanti allo store Swatch di Milano in Corso Vittorio Emanuele

I meccanismi psicologici dietro a un successo commerciale

A più riprese si parla della morte della hype culture, termine usurato dai continui lanci e drop di collaborazioni e capsule collection. I video delle persone in coda fuori dai negozi Swatch però sembrano indicare il contrario. Nell’era dello shopping online e della gratificazione istantanea, cosa spinge le persone a stare in fila per ore, pur sapendo che quando sarà il loro il turno gli orologi saranno esauriti? Lo abbiamo chiesto all’esperto di neuromarketing Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei Consumi all’Università Iulm Milano.“Partiamo da una premessa – spiega l'esperto – non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano. La dimensione delle emozioni predomina su quella razionale. Il nostro cervello quindi si lascia ingannare, o influenzare, da alcuni meccanismi psicologici. Due, in particolare: lo scarsità e il conformismo". Quando un bene è scarso, banalmente, si può rivendere, ma non solo: "Permette di differenziarmi dagli altri ed entrare in una cerchia ristretta. Però siamo sempre animali sociali, quindi siamo mossi dalla riprova sociale: se tutti vogliono lo stesso prodotto deve essere interessante". Se le nostre scelte fossero puramente razionali, un prezzo troppo alto o una fila troppo lunga dovrebbero farci desistere dall'acquisto. Invece in molti casi l'effetto l'opposto: "Se vediamo un ristorante affollato e uno semivuoto, istintivamente sceglieremo quello con più persone. Il messaggio che passa è che se c'è folla è per una buona ragione". La spinta emotiva è alla base dell'acquisto di lusso e della scelta dell'oggetto cult, dall'iPhone alla moda: "Compriamo alcune cose non per l'efficacia ma per il valore identitario. Se una volta l'identità era legata alla famiglia, alla scuola e il lavoro, oggi la costruiamo anche attraverso cosa compriamo, come ci vestiamo, cosa mangiamo". Nel momento in cui scegliamo di spendere in una borsa piuttosto che in un'altra, o in un orologio piuttosto che in un altro, tendenzialmente lo facciamo per due motivi: "Ci può essere un rapporto complementare, in cui io scelgo il prodotto che mi somiglia di più, oppure compensatorio: compro prodotti che mi danno quello che io non ho". Anche l'acquisto di un orologio, quindi, racconta qualcosa di noi: chi vogliamo essere, chi aspiriamo a diventare e in quali valori crediamo. Compro dunque sono, direbbe Cartesio.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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