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Cosa ci rimarrà di questo Sanremo 2025? Look iconici, personalità di spicco, abiti che faranno la storia? Forse no. Solitamente pochi giorni prima dell'inizio del Festival della Canzone Italiana si sprecano i commenti degli esperti e gli articoli in cui si passano in rassegna i look di spicco delle precedenti edizioni. Fino a qualche anno fa nelle classifiche dei best look della storia di Sanremo i nomi e gli abiti erano sempre gli stessi: c'era l'abito corto con pancione di Loredana Berté, i vestiti metallici di Anna Oxa, i look di Patty Pravo, tutte dive apparse all'Ariston negli anni '70 e '80. Poi c'è un buco, quasi nulla dei primi anni duemila finisce nelle classifiche dei look iconici, solitamente viene citata Belén Rodriguez e l'abito "farfallina", magari appare la vita bassa di Anna Oxa e poco altro.
Renaissance sanremese: che fine ha fatto?
Parlando di stile, ma non solo, la renaissance sanremese si attesta negli anni della Direzione Artistica di Amadeus, gli anni in cui sul palco tornano ad apparire look iconici, che oggi ci sembrano troppo vicini ma che sono già entrati nell'immaginario collettivo. Pensiamo ai quadri stilistici di Achille Lauro nel Sanremo della pandemia, in cui il cantante è apparso come un alieno glam o vestito come una sposa per inscenare un matrimonio con Boss Doms sul palco. L'anno prima aveva raccontato una "storia ribelle" citando nei look, con tutine aderenti e copricapo di piume, personaggi che nelle loro epoche erano stati simbolo di rottura e libertà, dalla Marchesa Casati Stampa a San Francesco fino alla regina Elisabetta I.
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Achille Lauro in quegli anni è riuscito a catalizzare l'attenzione dando inizio a una vera e proprio rivoluzione di stile. Era dagli anni '80 che non vedevamo su quel palco abiti "significanti", abiti che non sono solo vestiti ma messaggi cuciti con la stoffa sul corpo. Poi ci hanno pensato Mahmood e Blanco, con i tacchi, le gonne, i mantelli e le camicie trasparenti a far progredire il racconto. Attraverso i loro outfit fluidi, in cui il maschile e femminile si confondono, hanno parlato di una generazione in cui non c'è più spazio per mascolinità tossica e in cui l'abito non definisce la persona, in cui il vestito diventa il tramite attraverso cui essere liberi, attraverso cui esprimere ciò che si vuole essere.
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Poi c'è stata Elodie, una delle artiste che all'Ariston ha portato l'immagine di una donna moderna, una donna che non è più oggetto ma soggetto, una donna che vuole essere sexy per se stessa e non per gli altri. La sensualità resta ma non diventa una debolezza, anzi. Ci sono stati i Maneskin, con le loro tutine trasparenti, che hanno portato a Sanremo un vero ciclone. Ma ci sono stati anche Big Mama, che con i suoi abiti in latex ha esortato tutte le ragazze a prendersi lo spazio che meritano, e Rosa Chemical, con le camicie bucate sui capezzoli e i riferimenti al bondage. C'è stata Chiara Ferragni con gli abiti gabbia e le collane a forma di utero, tutti outfit studiati intorno a messaggi particolari. C'è stato poi il duo La Rappresentate di Lista che, senza significati nascosti, hanno "semplicemente" portato a Sanremo spettacolari e teatrali abiti couture. simili a opere d'arte che potrebbero essere ammirate in un museo.
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Quando Sanremo ha mostrato una rivoluzione già in atto
Cosa hanno in comune questi look? Sono tutti lavori stilistici di rottura, che hanno mostrato una rivoluzione in atto, un cambiamento. Un cambiamento che nella realtà era già iniziato da parecchio, solo che la televisione generalista non lo aveva ancora raccontato. Quel cambiamento sul palco dell'Ariston non era ancora arrivato. Amadeus ha aperto le porte dell'Ariston a corpi non ascrivibili a un ideale classico di bellezza, a uomini con le gonne e i tacchi, ad artisti giovani, a musicisti indie, ai rapper. Tutti hanno portato il proprio mondo, fluido e senza barriere, su un palco che per anni aveva raccontato una realtà ormai antiquata. L'apertura verso nuovi stili musicali e verso un nuovo sistema di valori ha contribuito a far crescere la fama del Festival, ha contribuito a "pulire" l'immagine di uno show ritenuto fino a pochi anni fa kitsch. Uno show a cui gli artisti davvero Big non volevano partecipare, un palco su cui i grandi brand della moda non volevano salire. Che ne è oggi della renaissance del Festival?
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Come tutto è finito nelle mani del marketing
A Sanremo 2025 sul palco ci sono saliti i grandi nomi della musica italiana e anche i grandi nomi della moda. Quello che non abbiamo visto è la novità. In molti commentando i look di questa edizione hanno affermato: finalmente l'eleganza torna a Sanremo. Se eleganza vuol dire abiti neri e noiosi, poca ricerca, omologazione e uno stuolo infinito di outfit griffati, allora sì, l'eleganza è tornata a Sanremo. A parte rare eccezioni, gli outfit scelti per il palco del 2025 dimostrano come tutto è finito nelle mani del marketing. Gli stylist vengono scelti solo in base ai contatti che hanno con le case di moda perché l'obiettivo non è creare un look: il fine ultimo è creare un look griffato. Il brand serve, fa da traino, può donare all'artista uno standing diverso. Dunque a Sanremo è importante anche quale brand indossare. Tutto questo contribuisce ad appiattire la visione creativa, sul palco non si ammirano più lavori di styling ma vediamo sfilare look già belli e fatti, presi dalle sfilate della stagione. Sia chiaro anche nei look degli anni passati, che abbiamo nominato in precedenza, c'erano grandi marchi alle spalle degli artisti, ma almeno in questi casi la presenza del marchio ha contribuito a veicolare una narrazione nuova, a volte necessaria. Il marchio era il mezzo attraverso cui arrivare a qualcosa di significativo.
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Da Muse a testimonial sul palco di Sanremo 2025
Quando parliamo di moda parliamo sì di arte, ma parliamo di un'arte che si indossa e che quindi va venduta, è chiaro che parliamo anche, e soprattutto, di prodotti. Nulla di male, dunque, se i brand tentano in tutti i modi di far apparire abiti, gioielli e accessori sul palco più importante in Italia. Nulla di male se artisti e cantanti sfruttano la loro visibilità in quei giorni per guadagnare, o per migliorare il proprio percepito, associandosi a uno o più brand. Il problema nasce nel momento in cui sono i marchi a prendere il controllo creativo, nel momento in cui gli artisti non sono più Muse ma diventano testimonial. La creatività si appiattisce: non ci troviamo più davanti a un un progetto di styling ma vediamo passare sul palco dell'Ariston una serie di look che sembrano usciti da un catalogo pubblicitario.
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Spesso ci sono accordi commerciali tra i brand e gli artisti di Sanremo, a volte questi ultimi sono solo ambassador, dunque non ricevono un compenso ma sfruttano solo l'importanza del marchio che li veste per aumentare il proprio standing. C'è quindi un ritorno per entrambi anche senza accordi commerciali. Il problema è che, anche nel caso in cui non ci siano compensi economici di mezzo, è raro che un marchio dia il completo controllo all'artista. Ne deriva un possibile appiattimento creativo che riduce l'originalità, portando alla diminuzione dei look iconici, coraggiosi, audaci che possono creare scalpore e far quindi progredire il discorso legato alla modernità.
Cosa abbiamo visto di audace, coraggioso o straniante a Sanremo 2025? Molto poco, forse quasi nulla. Cosa ci rimarrà di questo 75esimo Festival della Canzone Italiana? Tanti abiti neri, funerei, una serie di collane nascoste, molti look che sembrano usciti da una campagna pubblicitaria e poca libertà.
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