Consulenti d’immagine per i politici? Filippo Sensi: “All’estero esistono, in Italia ancora no”
Non importa solo cosa dici, ma anche come lo dici. E cosa indossi mentre lo dici. L'intervista di Vogue a Elly Schlein e il polverone che ha sollevato hanno riaperto il dibattito sul complicato rapporto che c'è tra moda e politica. Nel corso di una lunga intervista, la segretaria del Partito Democratico ha ammesso di avvalersi dei consigli di un'armocromista, scatenando reazioni opposte: da una parte chi la critica, dall'altra chi sottolinea che anche l'immagine è parte integrante della comunicazione pubblica. Fanpage.it ha intervistato su questo tema Filippo Sensi, senatore democratico, ex portavoce ed ex capoufficio del presidente del Consiglio dei ministri (prima per Matteo Renzi e poi per Paolo Gentiloni). Esperto di comunicazione politica, Sensi spiega quanto influisca la comunicazione non verbale sul discorso politico e come sta cambiando lo "stile" dei politici.
Lei è stato definito uno spin doctor, ma che significa esattamente?
“Spin doctor è una parola che andava di moda qualche decennio fa ed è legata alla cultura anglosassone. Quindi ha una storia novecentesca, ma è assurta a consuetudine intorno agli anni Novanta. In ogni caso lo spin doctor è un comunicatore, in ambito politico e non solo, che si occupa di trasmettere in modo efficace il messaggio di una leadership. Credo che dentro quello ‘spin’ ci sia l’effetto, la curvatura che si dà a un messaggio per renderlo più azzeccato per il pubblico di riferimento".
In generale, quali figure affiancano i politici?
"La sfera dei consulenti è ancora molto “da film americani”. In generale, in Italia la comunicazione è ancora concentrata in due plessi: il primo è l’informazione, quindi i rapporti con i cosiddetti media tradizionali, il secondo è l’affinamento del messaggio sui social. È già più difficile trovare speech writer, cioè chi si scrive i testi: ci sono nelle istituzioni, ma nei partiti è già più complicato. I coach di vario tipo, però, sono molto difficili da trovare: a Palazzo Chigi ci sono i fotografi e i videomaker, non certo un mental coach".
Le scelte stilistiche dei politici sono suggerite da un consulente d’immagine?
"Non posso rispondere sui casi specifici, ma in generale credo di no. Ci può essere qualche suggerimento che arriva dalla stretta cerchia dei collaboratori, ma resta uno scambio d’opinione più che una figura professionale formalizzata all’interno di uno staff. Poi certo, tutto cambia: il social media manager fino a cinque anni era periferico, oggi è centralissimo".
Elly Schlein è stata la prima a parlare pubblicamente di una consulenza d’immagine?
"Il riferimento fatto da Elly Schlein nell'intervista a Vogue era, credo, privato: cioè nella sua vita personale si avvale dei consigli di una persona che ha una professionalità in questo ambito. Altra cosa è una persona assunta in uno staff politico per dare quel tipo di valutazione: non ci troverei niente di strano e niente di sbagliato. Poi è chiaro che il corpo del leader e il modo in cui ci presenta ha un impatto e una valenza politica notevole. Quindi forse sì, l’intervista di Elly Schlein era il primo caso in cui, almeno a memoria mia, si menzionasse una professionista chiamata a dare consigli nella vita di ogni giorno".
All'estero questa figura esiste?
"Non sempre. Nella mia esperienza diversi leader di Paesi, europei e non, hanno una figura che cura professionalmente il loro aspetto per presentarli al meglio nelle occasioni pubbliche. Nella mia esperienza questo riguarda figure istituzionali, quindi tutto un altro campionato rispetto ai leader dei partiti politici. Macron, per esempio, ha delle persone che lo aiutano a truccarsi. In Francia, in Spagna, in altri contesti esistono figure che si occupano dell’aspetto fisico dei leader. Non c’è nulla di strano: in America si fa da decenni, in Inghilterra e in Francia funziona così, non vedo perché non dovrebbe funzionare così anche da noi. Al momento, però, le cose sono diverse".
In un discorso pubblico, quanto è importante l’aspetto paraverbale?
"Tantissimo. Noi non comunichiamo solo con quello che diciamo, ma come lo diciamo. Comunichiamo anche per come ci vestiamo e per come ci presentiamo, siamo giudicati anche per quegli aspetti. Sono tutti aspetti che contribuiscono alla costruzione di una chimica tra il leader e il suo pubblico".
Ci fa un esempio?
"Mi è capitato di vedere da vicino Alexandria Ocasio-Cortez in un parco. Era la vigilia del primo giorno di scuola e quindi regalava degli zaini colorati ai bambini del suo collegio. Tutto era fatto con una cura meticolosa: dentro ogni zaino c’era una lettera per il primo giorno di scuola, i manifesti erano fatti da un grafico, lei si presenta con un cappellino, un giubbotto e un paio di jeans. Non c'era la scorta, ma una persona a distanza per la sicurezza e il suo staff con le t-shirt. Un’immagine completamente diversa da quelle a cui siamo abituati in Italia, dove i leader arrivano con la scorta, i familiari, gli uomini vicini del partito… lei poteva essere scambiata per un avventore qualsiasi del parco".
È un talento innato o c'è uno studio dietro?
"Tutto in quell’incontro era studiato: ragazzi gentili, colore, positività, attenzione alle singole persone. Non c’era il pigia pigia per un selfie: lei parlava con ognuno per dieci minuti, stringeva le mani agli uomini, abbracciava le donne, si abbassava in ginocchio a parlare con i bambini. Le scelte paraverbali erano perfette: questo insieme di attenzioni serviva a stabilire un rapporto di qualità con le persone. Avrebbero conquistato la Groenlandia a piedi per lei (sorride, ndr). Io lo definisco l’effetto Zerocalcare".
Cioè?
"I suoi firmacopie possono durare ore, lui si ferma a fare i disegni personalizzati per ognuno. Questo significa che la fidelizzazione è molto alta. Sicuramente c’entra il talento comunicativo di Ocasio-Cortez, ma anche e soprattutto una grande preparazione".
Qual è stato il momento in cui l'immagine è diventata fondamentale nella politica?
"Non credo ci sia un ‘anno zero' preciso perché la dimensione pubblica fa parte della politica sin dall'antichità, a partire dall'oratoria classica. Penso però che la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa abbia avuto un impatto in questo rapporto, prima con la radio, poi con la televisione e infine con i social media. Il come ci si presenta non è un inutile orpello, qualcosa di superficiale, al contrario: riusciremmo a pensare al successo di Apple senza il suo design e alla sua estetica?"
C'è ancora del sessismo quando si parla di leadership femminile?
"Le copertine le hanno fatto sia leader donne che uomini, ma sicuramente c'è un di più di sessismo nelle modalità in cui ci si approccia alla leadership femminile. Non è un pregiudizio che hanno solo gli italiani, ma indubbiamente nella nostra cultura è ancora forte: se una donna si occupa di come si veste viene vista come una vanità o come qualcosa di poco serio, quando invece è esattamente l'opposto".
È il caso anche di Elly Schlein?
"Le cose stanno cambiando, soprattutto per le generazioni più giovani. In generale non è una questione che interessa solo l'Italia: pensiamo a tutte le polemiche su Sanna Marin e i video della sua vita privata, oppure alle scelte di Jacinda Ardern… ma possiamo tornare indietro fino a Margaret Thatcher. Abbiamo fatto tanti passi avanti, ma è innegabile che ci sia un occhio diverso".
E invece Giorgia Meloni? Ha cambiato stile da quando è diventata presidente del Consiglio?
"Quello è un passaggio normale, ci si irreggimenta sempre un po' dalla campagna elettorale all'ufficio in sé. Un uomo farebbe lo stesso, probabilmente, passando dalle maniche di camicia alla giacca".
L'abito del potere è ancora il completo giacca e pantaloni?
"Indubbiamente oggi ci sono molte più possibilità anche per gli uomini, oltre alla classica giacca e cravatta. Pensiamo alle felpe, o alla camicia con le maniche arrotolate, o i look ‘vacanzieri' di Barack Obama. Il lavoro dentro le istituzioni però comporta un certo abbigliamento: in Senato si entra con la giacca. La leadership femminile si emanciperà mai dal tailleur? Bella domanda: un po' però sta già succedendo".
Ci sono esempi in questo senso?
"Una è la commissaria europea Margrethe Vestager, che ha scosso un po' i modelli classici con il suo abbigliamento. Un'altra è la premier francese Élisabeth Borne che usa moltissimo le gonne, per esempio. Comunque la società cambia, cambieranno anche le sensibilità su questo tema".