Azzurra Rinaldi: “C’è bisogno di un’economia femminista: l’indipendenza delle donne passa dai soldi”
La violenza di genere in Italia passa anche da quella economica, un fenomeno silenzioso ma che racconta molto del Paese che siamo. Tra il divario salariale tra uomini e donne e una ritrosia culturale diffusa a parlare di denaro, le donne nel nostro Paese si trovano troppo spesso in situazioni economiche complesse, che hanno ripercussioni sulle loro vite quotidiane. Sui social, dove la divulgazione per sensibilizzare e informare riguardo la violenza di genere è molto presente, troviamo anche alcune figure che cercano di rendere il vocabolario del mondo economico commestibile a più persone possibili. Azzurra Rinaldi, economista, docente di Economia Politica all'Unitelma Sapienza di Roma, scrittrice e divulgatrice, si definisce "economista femminista": proprio partendo da quest'espressione, ha raccontato a Fanpage.it come l'indipendenza delle donne da una cultura finanziaria troppo spesso machista, passa dall'iniziare a parlare di soldi.
Che cosa significa essere un'economista femminista nel 2024?
Essere un'economista femminista nel 2024, nel nostro Paese, sembra un'affermazione radicale, in realtà l'economia femminista è riconosciuta a livello internazionale come un ambito di studio. Quest'ultimo, a differenza dell'economia di genere, è più che mai attuale perché si pone in contrapposizione con i modelli che troviamo alla base della globalizzazione e di tutto i meccanismi capitalistici di sfruttamento. L'economia femminista prevede una serie di aspetti da sempre esclusi dall'economia mainstream, come ad esempio la circolarità, la sostenibilità e la cura: tutti fattori che, dopo la Pandemia, abbiamo capito essere necessari. Inoltre, in Italia questi due termini insieme (economista e femminista, ndr) danno anche un po' fsastidio. Ma la rivoluzione passa anche da un iniziale senso di fastidio.
Quanto il femminismo passa dal denaro e dall’emancipazione economica ? Crede che molte donne sottovalutino l’importanza di un’indipendenza finanziaria?
Il femminismo in un'economia capitalistica è molto legato al denaro. La divisione dei ruoli è soprattutto una divisione dei lavori: tra questi c'è anche quello di cura, che si svolge in casa ma che non viene retribuito, finendo per mettere la donna ai margini della famiglia e della società. Questa divisione dei compiti e del lavoro è stata fatta per genere: alle donne viene attribuita una tendenza naturale alla cura, invece gli uomini escono di casa, guadagnano i loro soldi e soprattutto li gestiscono.Tutto questo ha a che fare con il femminismo perché chi non ha denaro o chi non lo gestisce è una persona meno libera, anche nel portare la propria voce all’interno della coppia. Molte ricerche ci dimostrano che chi guadagna nella coppia ha il cosiddetto "bargaining power", ossia il potere contrattuale, il che si traduce in scelte diverse e magari non condivise sui figli, sulle scuole che frequentano, per la salute. I soldi danno potere: ecco perché il femminismo passa dal denaro.
Ma perché ancora oggi le donne, o coloro che si rapportano con le donne, hanno timore o pudore a parlare di soldi?
In Italia, per fattori culturali, c'è un generale pudore ad affrontare il tema del denaro: anche gli uomini raramente parlano di soldi. Quando ho presentato il mio libro, "Le signore non parlano di soldi", circa il 30% delle persone che assistevano agli incontri erano uomini e molti mi hanno confessato la loro difficoltà a parlare di soldi, a chiedere un aumento. Quindi sul tema c'è proprio una ritrosia culturale. La femminilità, che viene associata alle donne in una società patriarcale, prevede che le ragazze siano graziose, silenziose e soprattutto non si occupino di politica e di tutti quei temi più "cerebrali", che potrebbero diventare per loro strumenti di potere. Invece ci sono molti studi, come quello operato dalla società di ricerca Child Wise, che ci dimostra come i genitori diano ai maschi, a parità di età, il 20% in più di paghetta rispetto alle femmine, questo fino agli 11 anni: dai 12 il divario aumenta fino al 30%. L'idea alla base è che il bambino e il ragazzo debba poter provvedere anche alla ragazzina che gli piace, mentre le bambine e le ragazze debbano abituarsi a una condiziona di subalternità: così alle donne, fin da piccole, non viene mai insegnato a gestire i propri soldi.
In una tua recente intervista hai detto che quasi 4 donne su 10 non hanno un conto corrente. Se le giovani donne rivendicano il diritto a una parità salariale, la divulgazione sui social può aiutare anche le donne più adulte a comprendere l’importanza della libertà economica?
La ricerca di Episteme ci mostra questo dato preoccupante, reso ancora più allarmante dal fatto che l'Italia è un Paese del G7, Il fatto che quasi 4 donne su 10 non abbiano un proprio conto corrente ci racconta anche quanto tendiamo a fare confusione sul tema del denaro: avere due conti correnti, in una coppia, significa possedere uno strumento di libertà, perché se qualcosa si incrina i soldi diventano uno strumento di potere nelle mani degli uomini, come da anni raccontano anche le operatrici dei Centri Antiviolenza. Purtroppo è ancora diffusa l'idea folle e priva di senso del "ci amiamo e quindi abbiamo un conto in banca unico", ma i soldi sono soldi. Il fatto che le giovani donne, come sta accadendo, abbiano molto meno pudore a parlare di soldi, ha risvolti positivi in termini di un possibile cambiamento culturale. La mia attività di divulgazione non si limita solo ai social, ma si sposta anche in tv, sui giornali e perfino a teatro, dove ho portato un pièce che si chiama Piacere Denaro: l'obiettivo è quello di poter raggiungere anche le donne più adulte che sono meno presenti sui social.
Cosa può fare l’informazione per cambiare il modo in cui si parla o non si parla di disparità salariale?
Si deve provare a cambiare la narrazione, perché troppo spesso la prima reazione davanti al gender pay gap non è "non è giusto", ma "questi dati non sono veri". Ma i dati, dal World Economic Forum alla Banca Centrale, convergono tutti su questo tema. Proprio il WEF ci dice che la differenza di salario tra uomini e donne, in tutti i settori del nostro Paese, è di 24 punti percentuali. L'osservatorio dell'Inps ha condotto una ricerca sui dipendenti pubblici che, lo scorso dicembre, ci ha restituito un dato incontrovertibile: in questo settore, gli uomini guadagnano 8mila euro in più l'anno rispetto alle donne. Quello che dobbiamo riuscire a fare è facilitare una transizione culturale, affinché si possa iniziare a parlare di soldi tra donne. E in questo l'informazione ha un ruolo cruciale.
Quali sono le tre azioni o atteggiamenti nel quotidiano con i quali ogni donna può cambiare il suo rapporto con i soldi?
Smettere di delegare. Il denaro non si può delegare: se all'interno di un nucleo famigliare si ha la tentazione di lasciare al al partner alcune incombenze, deleghiamo sulla lavatrice ma non sui soldi. Ogni donna deve lavorare, è necessario avere un impiego. Infine, bisogna iniziare a parlare di soldi anche con le amiche, abbattendo questo tabù.