Anche Uniqlo chiude in Russia: quali negozi sono aperti e quali non vendono più per via della guerra
La guerra in Ucraina ha fatto velocemente sentire i suoi effetti sull'economia globale, obbligando i brand a prendere decisioni immediate. Si allunga continuamente l'elenco dei marchi che hanno sospeso le vendite in Russia: da Prada a H&M, da Zara a Gucci, ogni ora che passa si abbassa una nuova serranda. Alla base della decisione dei brand ci sono sicuramente le difficoltà logistiche ma anche la volontà di dare un segnale forte, interrompendo i rapporti commerciali con il Paese che ha innescato il conflitto. L'ultimo in ordine di tempo è il marchio di abbigliamento giapponese Uniqlo, che appena tre giorni fa aveva annunciato la volontà di restare aperto per continuare a fornire un servizio essenziale ai cittadini russi. Anche se la maggior parte dei brand occidentali ha fermato le vendite, alcuni marchi continuano a garantire la loro distribuzione in Russia nonostante le minacce di boicottaggio.
Perché Uniqlo ha sospeso le vendite in Russia
Inizialmente il colosso Uniqlo aveva annunciato l'intenzione di tenere i negozi aperti per non privare i cittadini russi di un bene essenziale come i vestiti. Una scelta in controtendenza rispetto ad altre catene di abbigliamento, ma abbandonata dopo pochi giorni: "Ci è diventato chiaro che non possiamo più procedere a causa di una serie di difficoltà – annuncia una nota stampa del brand – Pertanto, abbiamo deciso oggi di sospendere temporaneamente le nostre attività". Il gruppo Fast Retailing inoltre ha espresso la propria posizione contraria al conflitto: "Condanniamo tutte le forme di aggressione che violano i diritti umani e minacciano l'esistenza pacifica degli individui". Il brand ha anche annunciato una donazione in denaro all'UNHCR, nonché l'invio di vestiti per i rifugiati e i profughi.
I brand che hanno chiuso i negozi in Russia
A distanza di pochi giorni l'una dall'altra, le principali case di moda hanno sospeso le vendite in Russia per via della guerra, chiudendo i negozi e bloccando le vendite online. Ha abbassato le saracinesche H&M, seguita a pochi giorni di distanza dallo stop del colosso spagnolo Inditex, che comprende Zara, Bershka, Pull&Bear, Stradivarius, Oysho, Massimo Dutti, Zara Home e Uterque. Anche le boutique di lusso hanno temporaneamente chiuso i battenti: Chanel, Gucci ed Hermès hanno chiuso le loro boutique. In generale, in Russia non operano più tutti i marchi di lusso appartenenti al gruppo Kering e al conglomerato LVMH, che ha chiuso 120 negozi pur continuando a sostenere economicamente le migliaia di dipendenti russi. Stesso discorso per le grandi piattaforme e-commerce Asos e Yoox, che hanno smesso di servire i clienti in Russia. La stessa scelta è stata presa anche da Rolex e dal gruppo L'Oreal.
Le aziende occidentali ancora attive in Russia
Diversa è la situazione dei marchi operanti nel settore della bellezza e della cura della persona. Unilever – gruppo che racchiude al suo interno anche Dove, Fissan, Axe e Mentadent – ha sospeso i nuovi investimenti in Russia, pur continuando a fornire "prodotti alimentari e igienici essenziali fabbricati in Russia alle persone nel Paese". La stessa scelta è stata presa anche da Danone, che ha sospeso gli investimenti in Russia pur garantendo la distribuzione di prodotti freschi e alimenti per i bambini "per rispondere ai bisogni alimentari della popolazione locale”. La situazione è costantemente monitorata da un osservatorio dell'università di Yale, che aggiorna continuamente la lista dei brand operativi in Russia. L'elenco di chi ha scelto di chiudere è infinitamente più lungo di chi è ancora aperto: tra i secondi spicca il nomi del brand italiano Ferragamo, insieme a Pirelli, Herbalife. Anche la catena di fast food Burger King rimane aperta pur impegnandosi a devolvere i profitti a sostegno di associazioni umanitarie. La situazione evolve rapidamente e non è escluso che abbassino le saracinesche: oltre ai problemi logistici di approvvigionamento non va sottovalutata la pressione del pubblico e le richieste di boicottaggio, che in altri casi hanno condizionato le scelte dei brand. Dopo Uniqlo, ad esempio, anche Pizza Hut e KFC hanno fatto marcia indietro e abbassato le saracinesche.