Abiti rovinati, perché buttarli via? Il laboratorio dove i rifugiati danno nuova vita ai vestiti firmati
«Nei Paesi Bassi il tasso medio di disoccupazione è attualmente attorno al 3%; per la popolazione rifugiata è molto più elevato. Perché? Sono meno intelligenti? Sono meno qualificati? Non è giusto». Con questo spirito Thami Schweichler, 38 anni, ha dato vita ad Amsterdam all' United Repair Center, un laboratorio dove vengono riparati molti capi di grandi brand. I lavoratori sono tutti migranti, rifugiati o ex rifugiati, le cui competenze vengono messe in pratica per recuperare i vestiti. "Repair is the new cool" è il motto di questo progetto che incarna perfettamente i principi dell'economia circolare.
Il laboratorio per recuperare abiti di grandi brand
Come raccontato dal Guardian, il progetto è partito con la collaborazione di Patagonia, poi sono arrivati altri marchi tra cui Decathlon. Avviato nel 2022, il laboratorio adesso è composto da 19 dipendenti e conta di arrivare a 140 sarti nel 2027. Un grande passo per una piccola realtà partita con quattro impiegati poco più di un anno fa. L'obiettivo del fondatore Thami Schweichler è quello di coniugare le competenze nel settore tessile di molti migranti con l'obiettivo di ridurre sprechi ed emissioni. "Vogliamo creare un senso di comunità e di appartenenza tra persone che troppo spesso vengono marginalizzate, gratificandole con un lavoro che hanno le capacità per svolgere".
Amsterdam, città a zero emissioni
Il laboratorio si colloca in una realtà come Amsterdam che da tempo ha abbracciato un'economia circolare, puntando su aree verdi e mobilità leggera e sostenibile. La città, infatti, punta a diventare completamente sostenibile entro il 2050. In poche parole, significa che la città olandese punta a non creare rifiuti e a non produrre emissioni. Negli ultimi anni, inoltre, i Paesi Bassi hanno cercato di implementare la svolta green anche nel settore tessile. Ed è qui che si colloca l'arrivo di Patagonia. L'azienda statunitense, impegnata nella lotta alla cambiamento climatico, stava cercando di espandere la sua rete europea di riparazioni, un servizio gratuito che offre ai propri clienti per cercare di ridurre i consumi. Il fondatore dello United Repair Center aveva già fondato una startup che si occupava di moda circolare e, con la collaborazione del brand, ha dato vita al nuovo laboratorio.
La resistenza al cambiamento sostenibile
"Purtroppo non cambiamo il passato di una persona, ma possiamo aiutarla a costruire un nuovo futuro sulla base delle proprie competenze", ha detto Schweichler. In parallelo all'attività al laboratorio, lo United Repair Centre sta attivando un progetto per coinvolgere altri giovani ex rifugiati e migranti che sono da poco arrivata ad Amsterdam. A febbraio 2024, infatti, l'URC lancerà un programma di formazione, la United Repair Academy, ai cui primi 10 partecipanti sarà garantito un posto in laboratorio al termine degli studi. Ambrose, un 20enne palestinese, ha raccontato al Guardian, in cosa consistono nel dettaglio le sue mansioni :
"Il primo passo è il controllo dei pacchi di abiti inviati direttamente dai clienti o dai marchi (l'URC conserva l'imballaggio: tutto viene restituito nella scatola o nella borsa in cui è arrivato, ndr). Stilo una prima analisi della riparazione necessaria realizzando un piccolo schema e poi passo i pacchi ai miei colleghi. In questo ambiente multilingue, è il modo migliore per assicurarsi che tutti capiscano".
Nonostante la realtà coniughi due principi per una società più equa e giusta, non tutti hanno sposato la filosofia del progetto. Schweichler ha detto al Guardian di essere sorpreso dalla resistenza al cambiamento che vede ancora nel settore al di là della sua "bolla verde". "All'inizio eravamo più entusiasti, ora siamo più realisti".