La mostra dal cruento titolo "Le tre Pietà di Michelangelo. Non vi si pensa quanto sangue costa", visitabile fino al 1 agosto 2022 presso il Museo dell'Opera del Duomo di Firenze, può essere eretta a emblema del vuoto sensazionalismo dei titoli dei giornali italiani, oltre che dei valori profondamente patriarcali delle società occidentali.
Sul web proliferano articoli dal titolo “Le tre Pietà per la prima volta a confronto” e ancora “Le tre Pietà per la prima volta insieme” e via discorrendo. Partiamo dal fatto che l’unica Pietà di Michelangelo in mostra è la Pietà Bandini – conservata stabilmente nel Museo dell'Opera del Duomo – e che le altre due sono calchi della Pietà Vaticana e della Pietà Rondanini. Il titolo della mostra richiama una frase scritta da Michelangelo in un disegno della Pietà donato alla marchesa di Pescara Vittoria Colonna. La locuzione, contenuta nel Canto XXIX del Paradiso dantesco, è tratta dal passaggio in cui Beatrice si scaglia in una dura invettiva contro i cattivi filosofi e i falsi predicatori, chiarendo a Dante alcune questioni riguardanti gli angeli e la ribellione di Lucifero, riflettendo sul sangue sparso per diffondere la parola di Dio.
Quasi ad anticipare la teoria Nietzschiana contenuta nell’Anticristo, secondo cui Gesù altro non era che un prigioniero politico che riuscì a farsi condannare a morte da una delle società più apolitiche di sempre e che fu quindi autore del proprio destino – morendo per se stesso e non per gli altri – allo stesso modo Beatrice, in questo cantico, sostiene che, per far mostra di sé, alcuni falsi predicatori inventano menzogne diffuse con eccessiva leggerezza. Beatrice afferma che gli uomini credono a qualsiasi cosa sentano, ingenuità di cui approfittano i frati dell'Ordine di sant'Antonio Abate, ma non solo, per ingrassare i propri maiali, ovvero per arricchirsi a scapito del popolo credulone.
Il concetto stesso di pietà, nell’accezione contemporanea, è un sentimento profondamente cristiano. In epoca classica la pietas era la devozione per le divinità, la patria e la famiglia, da cui è stata tratta la famosa triade associata all’ideologia fascista. L’emblema dell’eroe in questo caso è Enea, colui il quale, durante la fuga da Troia, si fa fisicamente carico del padre e del figlio, senza preoccuparsi della madre Afrodite, intenta a difendere l’eroe troiano Anchise. Gli antichi greci erano pagani, quindi le donne avevano vari ruoli, oltre a quello di madri. Se dovessimo associare una scultura di Michelangelo a questa accezione della pietas, di Enea, dell’eroe che si fa carico dei famigliari, della figura forte e prestante, probabilmente sarebbe il David, emblema di forza e potenza fisica. Le pietà in mostra a Firenze sono invece le pietà cattoliche, in cui una madre, addolorata per l’uccisione di un figlio povero e senza padre, appare patetica, ovvero genera un sentimento di malinconia, di compassione, di pietà, di sofferenza. Questa rappresentazione non è riconducibile a nessun racconto presente nei Vangeli, né nei testi apocrifi che narrano le vicende della vita di Cristo.
Il soggetto della pietà nell’arte è ispirato ai dolori della Passione, di Maria e Gesù, affinché i fedeli, compatendone le sofferenze, potessero trovare conforto per le proprie miserie umane. Questo ribaltamento cattolico patriarcale riunisce in sé tutti gli elementi che portarono Nietzsche, sempre nell’Anticristo, a definire il cattolicesimo una religione contro natura. Nello specifico, il filosofo tedesco scrive: “Il cristianesimo si chiama religione della pietà. La pietà è in antitesi alle affezioni toniche che accrescono l’energia del sentimento vitale: ha un effetto depressivo. Quando si compatisce si perde forza. La perdita di forza che la vita ha già subito per la sofferenza è ulteriormente aumentata e moltiplicata dalla pietà”. D’altronde, solo chi si considera un perdente può gioire nell’essere compatito da qualcuno. E le donne, fino a poco tempo fa, anche nelle più progredite società occidentali, non avevano in alcun modo la possibilità di vincere.
Fortunatamente, nel 2022, questa visione patriarcale della figura femminile appare oltremodo patetica. Una religione in cui la madre del profeta è venerata solo in quanto "Madre di Dio", e non santa, suona ridicola. La santità della Madonna è riconosciuta solo dalla comunione anglicana e dalle confessioni protestanti, come quella luterana. In Italia, ad esempio, l’art. 724 del Codice Penale sancisce che “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità [o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato] è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309”. Ciò non si applica evidentemente a Maria, che non è considerata una divinità ma solo la madre di una divinità. Per i cattolici, si sa, la donna esiste solo in relazione agli uomini, padri, mariti o figli che siano.
Ed ecco che le tre pietà di Michelangelo si rivelano in tutto il loro intento didattico e patriarcale di mero annichilimento della figura femmile. Un’umiliazione fatta a scultura. Ritornando alla frase di Beatrice sui falsi profeti scelta per il titolo, cosa c’è di vero in questa mostra? Due delle tre pietà esposte sono dei calchi. La scena stessa della pietà non è presente nei Vangeli e quindi aveva un unico intento: quello di educare i fedeli e soprattutto le fedeli alla sofferenza. Di relegare il corpo della donna alla funzione di genitrice, ma non solo concettualmente, anche visivamente.
La Pietà Vaticana è l’unica opera di Michelangelo che porta la firma dell’artista. Dove? Sulla fascia a tracolla che lega il manto della Vergine si legge: MICHEL.A[N]GELVS BONAROTVS FLORENT[INVS] FACIEBAT, ovvero “Michelangelo Buonarroti, fiorentino, lo fece”. Inserire l’iscrizione, non so, sul basamento piuttosto che su una fascia che lega il corpo di Maria sarebbe stato, a mio avviso, senza dubbio più elegante.