I corpi inutili di Elmgreen & Dragset: alla Fondazione Prada il presente è distopico
La mostra "Useless Bodies?" di Michael Elmgreen e Ingar Dragset alla Fondazione Prada si appropria dello spazio espositivo per raccontare una storia che non c’è, con dei protagonisti assenti, forse inesistenti, forse tramutati in sculture. Non ci è ben chiaro cosa possa essere accaduto ma abbiamo un’unica certezza: deve essere stato qualcosa di terribile. Questa riflessione sull’inutilità del corpo nella società contemporanea ha un che di post-apocalittico. In 3.000 mq la coppia di artisti s’interroga sul valore generato dai corpi negli avanzati meccanismi produttivi della società contemporanea. Nel Podium, il visitatore è accolto da una serie di sculture contemporanee affiancate a numerosi esempi di statuaria classica e moderna. Anche in questa sezione della mostra, è facile cogliere le differenze, anche solo posturali, dell’eroe classico, teso e fiero, rispetto alle pose più lascive, rilassate e quasi apatiche dei corrispettivi scultorei contemporanei.
Così come in Powerless Structures (2012) Elmgreen & Dragset hanno rovesciato i canoni del monumento equestre ergendo a icona un bambino su un cavalluccio a dondolo, allo stesso modo il mondo prevalentemente infantile presentato nel Podium ci mostra degli esseri umani schiacciati dalle sovrastrutture sociali e architettoniche in cui sono immersi. Il bambino dorato che fissa un fucile dello stesso materiale, a ricordarci la natura prepotente, violenta e spesso infantile dell’essere umano; la sirenetta di Eriksen in versione maschile, il bambino con il visore per la realtà aumentata, il baywatcher sul piedistallo d’oro. Tutti personaggi apatici, impauriti o semplicemente annoiati. A ricordare forse che il potere d’acquisto non fa la felicità, eccetera eccetera.
L’unica donna in questa sezione è una domestica incinta che guarda un bambino offeso, impaurito o che sta semplicemente facendo i capricci. Il titolo dell’opera è Pregnant White Maid (2017), a sottolineare che le donne in questa visione distopica e, a tratti, dispotica del mondo non ci sono e se ci sono hanno il ruolo di domestiche o genitrici. Cool.
Al piano superiore, un ufficio anni ’90 svuotato dei suoi abituali animatori presenta tracce di un’umanità svanita. C’è la foto delle vacanze, il disegno del figlio appeso alle pareti del cubicolo, la statuetta di Marx, la tazza di caffè dimenticata sulla scrivania, per citare il titolo di un’opera del 2006 del duo, It's The Small Things In Life That Matter Blah Blah Blah. Il calore dei ricordi umani, delle piccole cose, dei piccoli retaggi familiari, culturali e politici (sempre e solo di sinistra) sembra fare da contraltare all’abitazione asettica ricreata da Elmgreen & Dragset nella galleria Nord. L’installazione ricorda concettualmente “The Collectors”, il padiglione danese e nordico curato da Elmgreen & Dragset alla 53a Biennale di Venezia (2009). L’abitazione, inabitabile e di estrema vanità, a metà tra un bunker e un ambiente futuristico, non ha niente di vitale. Potrebbe essere ovunque, ma molto probabilmente non è sulla terra, come si evince dal piccolo buco in cui è possibile guardare il pianeta da lontano. Anche il cane robotico è guidato dall’intelligenza artificiale. Tocco di classe: la camera mortuaria in salotto.
Il percorso continua nella cisterna, con spazi deputati alla cura del corpo e prosegue nel cortile. In cortile troviamo un pezzo del muro di Berlino con un bancomat tedesco, una panchina “for gay only”, mentre l’altra, presumibilmente per etero, presenta un’unica seduta. Nel cortile c’è anche un’auto con una coppia iperrealista di artisti stipati nel bagagliaio con le loro opere.
Più che una mostra sull’inutilità dei corpi, sembra uno scenario post-apocalittico in cui gli unici che hanno avuto la fortuna di sopravvivere alla devastazione sono i corpi omosessuali. Oltre alla domestica incinta, di donne non c’è traccia. Sicuramente una mostra ben prodotta, che incuriosisce l’addetto ai lavori come il grande pubblico, ma esattamente, qual è la riflessione che induce? Il lavoro manuale è stato sostituito dalla tecnologia, ma pensare che le persone come i corpi non abbiamo più un’utilità è una lettura postfordista tanto semplicistica quanto banale.
La produzione industriale di massa basata sull’impiego di lavoro ripetitivo senza qualifiche e specializzazioni è sempre stata alienante e umiliante per l’essere umano. L’adozione di tecnologie e criteri organizzativi che pongono nuova enfasi sulla specializzazione, sulla qualificazione e sulla flessibilità dei lavoratori è un’evoluzione inevitabile, conseguenza del progresso. Secondo il comunicato stampa, il futuro dei corpi è messo a rischio dalla mercificazione dei dati personali. Io penso che prima dell’avvento dei cellulari doveva essere molto più complesso incontrarsi. Punti di vista.
La mostra è tanto Instagram friendly quanto concettualmente reazionaria, al limite del banale. I lavoratori e i loro piccoli oggetti personali, la casa fredda del collezionista in cui domina la morte, il bambino ricco, capriccioso e annoiato, un insieme di stereotipi e luoghi comuni realizzati con un budget considerevole. La ricerca della perfezione asettica e priva di emozioni rende il lavoro del duo di artisti nordici estremamente appagante e attraente dal punto di vista estetico, ma concettualmente lontano dalla realtà.
Sicuramente avrete visto su Instagram delle immagini di Prada Marfa, il negozio di Prada realizzato da Elmgreen & Dragset nel deserto del Texas. L'opera, progettata per assomigliare a un negozio Prada, include scarpe e borse scelte e fornite da Miuccia Prada in persona. L’installazione non avrebbe dovuto essere oggetto di manutenzione, prevedendo, quindi, un lento degrado che la integrasse nel paesaggio desertico circostante. Pochi giorni dopo il completamento, la struttura è stata danneggiata e depredata di tutto il suo contenuto. I vandali, prima di andarsene, hanno completato l’opera scrivendo “dumb” sui muri. L’installazione è stata immediatamente riportata al suo stato originale ed il contenuto ripristinato. Le nuove borse Prada esposte nelle vetrine hanno un sistema di sicurezza che allerta la polizia quando vengono spostate.
Ecco questa mostra a mi fa venire voglia, non so, di fare un’ulteriore buco sul Concetto spaziale di Fontana presente nella sala da pranzo della galleria nord. Perché, come suggeriscono Elmgreen & Dragset, se l’uomo non ha più un ruolo nella catena produttiva, dovrà pure riappropriarsi in qualche modo del suo spazio, anche concettualmente. Oltre a portarsi a casa sei borse e quattordici paia di scarpe, i vandali di Prada Marfa hanno costretto il duo di artisti nordici a ripensare l’obsolescenza programmata della loro scultura. Se non è un’operazione concettuale questa.