Dormi, consuma, crepa: l’esistenzialismo di Maurizio Cattelan all’HangarBicocca
Ci sono mostre che, nel complesso, valgono più della somma delle singole opere esposte. E che vanno visitate dal vivo. “Breath Ghosts Blind”, la personale di Maurizio Cattelan all’HangarBicocca, è una di queste. Gli spazi industriali dell’Hangar sono semivuoti, bui, e accolgono solo le tre opere che danno il titolo alla mostra. La reazione sensoriale del visitatore al buio è immediata. L’unica luce presente nello spazio ci guida verso la prima scultura, Breath, una riproduzione in marmo bianco di Carrara di un uomo con un camice operatorio che dorme in posizione fetale di fianco a un cane. Proseguendo in questa enorme cattedrale post-industriale, appare Ghosts: ci ritroviamo circondati da migliaia di piccioni appollaiati sulle pareti e sul soffitto, tutti veri, tutti imbalsamati, che ci osservano dall’alto. La terza opera esposta è Blind, un parallelepipedo di 17 metri con un aereo incastonato in cima.
Roberta Tenconi, co-curatrice di "Breath Ghosts Blind" insieme al direttore artistico Vicente Todolì, ci parla così della genesi della mostra: “Siamo partiti dalla fine, dall’opera Blind. Quando abbiamo invitato Maurizio a lavorare insieme a un progetto in Pirelli HangarBicocca, nel 2018, subito abbiamo deciso di presentare quest’opera a cui lui pensava da anni e che ancora non era riuscito a realizzare. Lo spazio del Cubo era perfetto per ospitare Blind e da lì in poi è stato un percorso che ha messo insieme la ricerca di Maurizio con le caratteristiche dell’architettura dell’Hangar, che nel suo essere uno spazio enorme e privo di pareti divisorie, suggerisce comunque un incedere in tre momenti. La mostra ce la siamo quindi immaginata come un’unica drammaturgia, una partitura in tre atti che rappresenta simbolicamente il ciclo della vita, e di fatto mette in circolo le riflessioni e gli interessi che da trent’anni accompagnano il lavoro di Maurizio”.
Blind è un esplicito riferimento agli attentati dell’11 settembre 2001. Ghosts, i piccioni appollaiati, sono stati esposti anche alle Biennali di Venezia del 1997 e del 2011, rispettivamente con il titolo di Tourists and Others. Mentre Breath, l’uomo in posizione fetale, sembra richiamare la nascita, il primo respiro, il venire alla luce. Personalmente, ho interpretato la mostra come una metafora della vita dell’uomo contemporaneo, che nasce, vive sotto l’attento scrutinio di migliaia di entità che lo osservano dall’alto, e muore accecato dalle bugie del potere. Ma l’interpretazione è libera. Maurizio Cattelan pone al visitatore degli interrogativi, diversi per ogni individuo che ha l’opportunità di visitarla.
La curatrice Roberta Tenconi sembra avallare questo punto di vista: “È una mostra esistenziale. Maurizio Cattelan non è impegnato politicamente in senso stretto, ma l’arte per lui serve a far riflettere sul mondo in cui viviamo. In questo senso è un artista socialmente attivo, i suoi lavori hanno sempre a che fare con la società e i suoi simboli, con la storia, anche nei suoi aspetti più disturbanti o drammatici. La mostra “Breath Ghosts Blind” evoca infatti l’esistenza in tutte le sue complessità e contraddizioni, rappresentando sentimenti e situazioni contrastanti come l’amore e il dolore, il senso di collettività e di solitudine, la fragilità e i sistemi di potere e controllo. La forza del lavoro di Maurizio credo risieda proprio nel fatto che non è mai didascalico, anche quando parte da un’immagine specifica, o da un evento familiare, ne fa un simbolo che riflette speranze o paure universali. È attuale, ma senza inseguire la cronaca”.
Visitando la mostra, mi sono venuti in mente i War Pigeons utilizzati nel corso della Seconda Guerra mondiale dagli Alleati per scambiarsi informazioni belliche. Ma qui non si tratta di guerra, per quanto gli attentati abbiano effettivamente scatenato la Guerra in Afghanistan (2001-2021). L’11 settembre 2001 è stato un atto di matrice terroristica. E qual è il principale stato terroristico del mondo? Personalmente non ne ho idea, ma secondo il linguista, accademico, scienziato cognitivista, teorico della comunicazione, attivista politico e saggista statunitense Noam Chomsky, sarebbero proprio gli Stati Uniti. Prendiamo questa sua affermazione come un’iperbole dell’aggressiva politica estera statunitense, ma senza dubbio Chomsky non sbaglia nel dichiarare che solo chi è accecato dalla propaganda di stato può crede alla guerra dei buoni yankee contro i cattivi islamici. Ed ecco che il titolo Blind (cieco) della scultura inizia ad avere un senso. Fu il Pentagono, nel 1985, a posizionare un camion imbottito di esplosivo davanti a una moschea nel momento di massima affluenza.
Allo stesso modo, sorprende scoprire che nel luglio del 2000, i Talebani misero al bando la coltivazione dell'oppio nelle aeree sotto il loro controllo, decisione che portò a una riduzione del raccolto del 94%. Poco dopo l'invasione dell'Afghanistan del 2001, la produzione di oppio crebbe nuovamente. Nel 2005 l'Afghanistan aveva riconquistato la sua posizione di primo produttore di oppio, producendo il 90% dell'oppio mondiale. La crescita è da collegare al conflitto, infatti la produzione è sensibilmente inferiore nelle aree stabili. E, dopotutto, l’individuo della scultura in marmo posta all’ingresso della mostra ricorda un tossicodipendente. Ma ancora, le mie sono associazioni libere e personali.
A mio avviso, la mostra di Cattelan parla proprio di questo, del rapporto tra l’individuo e il potere, non inteso come potere politico, ma come entità “altra” che ci osserva e ci manipola malgrado la nostra supposta “libertà d’azione”. La riflessione di Maurizio Cattelan è tanto sottile quando pungente, perché sensorialmente pervasiva. Non è necessario che l’artista ti spieghi che i piccioni ti stanno osservando, perché sei tu, visitatore, a sentirti osservato. Non è necessario che i piccioni ti defechino letteralmente in testa, perché presumi che potrebbero farlo in qualsiasi momento. Non è necessario che qualcuno ti dica che dovresti sentirti piccolo di fronte a una torre di 17 metri, perché alla fine del percorso espositivo ti senti già come l’uomo della statua di marmo all’ingresso: inerme.
Ne approfitto per chiedere a Vicente Todolì, direttore artistico dell’HangarBicocca, qual è l'opera più rappresentativa dell'intera carriera dell’artista: “Ricordo ancora la prima volta che ho visto un’opera di Maurizio Cattelan, era un buco che aveva scavato nel pavimento di un museo, Le Consortium a Digione, nel 1997. Era una fossa rettangolare e i detriti tolti erano stati perfettamente accumulati ed esposti accanto. Qualcuno pensava rappresentasse la tomba di Maurizio, a me è sempre piaciuto considerare quel buco il negativo di una scultura. Da una parte era una finestra sul mondo reale, dall’altra, faceva vedere qualcosa che non c’era. Ecco, penso che tutti i grandi lavori di Maurizio facciano questo, offrono uno sguardo diverso sulle cose”.
La prima scultura in mostra, Breath, mi ha ricordato I like America and America likes me di Joseph Beuys. E' una performance del 1974 in cui l’artista tedesco arriva negli Stati Uniti, viene prelevato da un’ambulanza, avvolto da una coperta di feltro, convive tre giorni nella galleria con un coyote, cercando forse di addomesticarlo e, così com’è arrivato, se ne torna in Germania. Così come Beuys – che era stato un pilota di caccia durante la guerra – cercava di curare le ferite psichiche della società, allo stesso modo Cattelan sceglie d’indagare uno dei traumi impressi nell’inconscio collettivo globale.
"Breath Ghosts Blind" parte da un evento collettivo per indagare la condizione dell’uomo moderno, così come i Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer – opera permanente esposta all’interno dell’Hangar – di cui Blind richiama la verticalità. Il direttore artistico Vicente Todolì ce ne parla così: “Con I Sette Palazzi Celesti, Anselm Kiefer ha fatto esplicito riferimento alla mistica ebraica, il titolo cita un omonimo trattato della cabala, e si inserisce in una sua ricerca pluriennale sul tema della salvezza e della memoria storica. Mentre direi che il caso di Blind è molto diverso, perché Cattelan ha volutamente lasciato aperta la lettura dell’opera, senza suggerire alcun rimando – e questo ovviamente significa anche che qualsiasi interpretazione di Blind è lecita. A me, ad esempio, ha fatto venire in mente da subito altre opere d’arte del passato, dalla Colonna infinita di Brancusi a una scultura dell’artista americano Tony Smith, Die, del 1962: un cubo in acciaio che, nel gioco di parole del titolo e della forma, si riferisce sia alla morte, sia al caso. Kiefer è nato in Germania nel 1945, alla fine della guerra. La riflessione sulle rovine e l’idea di un mondo segnato da battaglie è il suo grande tema. Nel caso di Cattelan, dagli anni novanta passa metà del suo tempo a New York, era lì il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle e quello che ha visto gli è rimasto dentro. Ne ha fatto un’opera, un memoriale, che evoca tutta la fragilità della condizione umana”.