Blackface, invisibilità, libertà: Steve McQueen in mostra all’Hangar Bicocca
Steve McQueen, Sunshine State, 2022. Veduta dell’installazione di Pirelli HangarBicocca, MilanoL’impatto con la mostra di Steve McQueen all’Hangar Bicocca, nel mio caso, è stato un impatto con Steve McQueen. L’incontro è avvenuto durante l’anteprima per la stampa nella navata centrale dell’Hangar, buia per esaltare i pochi schermi presenti. Appena entrata vedo procedere verso di me un signore, che presumibilmente stava camminando verso l’unica uscita. Mi dice con insistenza che non è possibile scattare foto o girare video. Mi scuso, gli dico che non lo sapevo, mi risponde “Now you know” e se ne va.
Come presumevo, si trattava dell’artista britannico. A quel punto, l’enorme video Static (2009) all’ingresso della mostra appariva ridimensionato dal dirompente impatto con l’autore, vincitore del Turner Prize e del Premio Oscar. In seguito, durante la conferenza stampa, capirò che, di base, a Steve McQueen non piacciono i social media e non gli piace vedere i suoi video sui social media. Preferisce che il visitatore esperisca i suoi lavori senza la mediazione della tecnologia. Quindi non è possibile fare foto o video alle sue mostre, come non lo è per altri artisti contemporanei, tra cui Bruce Nauman e Tino Sehgal.
Static, il video che apre Sunshine State, è una ripresa della Statua della Libertà da un elicottero. Girato nel 2009, quando il monumento venne riaperto al pubblico dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, riprende da vicino tutti quegli elementi della statua che siamo soliti vedere da lontano: la fiaccola, la tavola con la data del 4 luglio. Il rumore dell’elicottero è assordante, come ben sanno gli abitanti di Lower Manhattan, sorvolata continuamente da elicotteri turistici e privati. Il fuoco eterno della libertà rappresentato dalla torcia, le catene spezzate ai piedi, le punte della corona a rappresentare i sette mari e i sette continenti, sono applicabili anche alle tematiche post-coloniali magistralmente affrontate da McQueen in "12 anni schiavo", Oscar per il miglior film nel 2014. Sullo sfondo del video s’intravede Manhattan, set di "Shame", altro lungometraggio di McQueen con Michael Fassbender ambientato a New York.
La mostra procede con Cold Breath (1999), la proiezione di un close-up del capezzolo dell’artista. La violenza e l’intimità dei gesti dell’autore a tratti è fastidiosa quanto quella fisica del lungometraggio "Hunger" (2008). Su due schermi affiancati di grandi dimensioni, il video Sunshine State, presentato per la volta al pubblico in occasione della mostra a Milano. L’enorme video a due canali speculare proiettato fronte-retro è un’esperienza immersiva. La proiezione parte con un sole infuocato e prosegue con un estratto del musical "The Jazz Singer" (1927), il primo lungometraggio della storia con dialoghi in sincrono con le immagini. Tralasciando l’episodio di blackface, che domina il video, la voce dell’artista sussurra “Shine on me Sunshine State, shine on me”. In quest'opera McQuenn utilizza il negativo per rendere invisibile l’attore in un gioco di contrasti dalle dimensioni spiazzanti.
Forse, quando Steve McQueen dichiara che “L'arte è la cosa più difficile che puoi fare al mondo perché non ci sono regole, tranne la gravità”, oppure che “Il cinema è un mezzo giovane, non c'è giusto o sbagliato” intende la libertà che si riserva nelle sue mostre d’arte visiva. Questa, nello specifico, è stata realizzata in collaborazione con la Tate, mentre il film program verrà sviluppato in collaborazione con la Fondazione Prada. Come ha dichiarato in conferenza stampa, girare un lungometraggio prevede delle regole, mentre l’arte gli permette di sperimentare.
Un ottimo esempio di sperimentazione non narrativa è il film Western Deep (2002), girato in Super 8mm all’interno della miniera d’oro di TauTona in Sudafrica. L’artista ha seguito a tre chilometri sottoterra i minatori, cogliendo delle scene al limite dell’umano, anche dal punto di vista della resistenza fisica. La sala realizzata per la proiezione ricrea un ambiente isolato che permette di calarsi insieme a questo gruppo di minatori in quello che sembra essere l’inferno.
Al termine della presentazione, il regista con il nome più cinematografico del XXI secolo, ha affermato che spesso è il soggetto stesso a cambiare, anche visivamente, il corso della storia. Il regista, quindi, a volte è solo il medium. Steve McQueen è conosciuto al grande pubblico per i suoi pluripremiati lungometraggi, ma le mostre d’arte contemporanea rivelano un lato più intimo della sua produzione. And if you don’t know, come mi ha detto lui stesso, now you know.