Addio a Dan Graham, l’artista che ha rivoluzionato il rapporto tra l’arte e lo spettatore
Nel corso del 2021 ho vissuto a Manhattan, tra Battery Park City e Tribeca. Nel punto in cui il Rockefeller Park incontra Chambers Street, a fine marzo 2021, è apparso uno strano padiglione in vetro. Sembrava un’opera di Dan Graham, ma aveva sopra dei graffiti. Leggo la didascalia e noto che è un memoriale dell’Uragano Maria che devastò Porto Rico nel 2017. L’installazione è stata donata alla città di New York dall’allora governatore Andrew Cuomo, prima delle dimissioni avvenute nell’agosto 2021 in seguito a uno scandalo di natura sessuale e non si trattava, come pensavo, di un’opera di Dan Graham.
Dentro quel padiglione, una sera, attratta dalla musica, ho conosciuto un gruppo di persone che erano lì a festeggiare un compleanno. Sono diventata amica di due ragazze e, la sera stessa, siamo andate a una festa. Siamo tuttora in contatto. Perché parlo di questo? Perché l’installazione, forse ispirata ai padiglioni del più celebre artista statunitense Dan Graham, mi ha permesso di vivere uno dei momenti più conviviali e divertenti dei mesi passati in quella città. Gli Stati Uniti, e nello specifico Manhattan, prevedono che le persone vadano da A a B senza alcuna interazione di sorta nel percorso. Quel padiglione, così come l’arte di Graham, scomparso ieri a settantanove anni, ha permesso un interscambio sociale che, altrimenti, non si sarebbe mai verificato.
Daniel Graham (31 marzo 1942 – 19 febbraio 2022) è stato un artista visivo, scrittore e curatore americano. Ha pubblicato un’ampia gamma di scritti critici e speculativi su temi che spaziano dai dipinti dell’ex Presidente degli Stati Uniti Eisenhower, alla musica, fino agli show televisivi. Era autodidatta. Dopo aver diretto per un paio di anni una galleria d’arte che ha esposto i più grandi rappresentanti del Minimalismo statunitense degli anni Sessanta, sceglie di abbandonare il commercio per dedicarsi alla produzione artistica. Rifugge lo spazio elitario della galleria in favore dello spazio pubblico: quello della stampa, del video, e in seguito della città.
Inizia a scrivere su riviste ad ampia tiratura, più interessato alla realtà che alla semplice speculazione intellettuale elitaria tipica dell’arte contemporanea e alla sua pretesa atemporalità. Decide di utilizzare il video e la performance, analizzando il rapporto con lo spettatore, calando pienamente la produzione artistica nello stesso spazio e nello stesso tempo della sua fruizione, mettendo il pubblico al centro dell’opera. È un processo attivo e sociale che lo porta alla creazione degli iconici padiglioni che realizzerà a partire dagli anni ’80.
Storicamente, i padiglioni erano tende da campo destinate a sovrani e condottieri che, nel corso della storia, si sono trasformati in piccole e ricche costruzioni, una sorta di ville minori che, a partire dal Seicento, sorsero isolate nei parchi signorili. Nei padiglioni di Dan Graham, i protagonisti sono i visitatori e l’ambiente. L’arte, per Graham, ha lo scopo di mettere in relazione le persone con l’ambiente che le circonda, ma sopratutto con se stesse. Il Two Way Mirror (vetro a riflessione differenziata), tipico delle sue opere, è trasparente, ma riflette la luce al pari di uno specchio, variando in base alla rifrazione della luce circostante, creando un gioco di riflessi in costante evoluzione.
Una delle sue opere più iconiche è The Rooftop Urban Park Project, realizzato a New York per la Dia Art Foundation. Dan Graham ha trasformato il tetto dell’edifico tra la 548 West e la 22esima strada in un parco urbano su piccola scala per il quartiere di Chelsea. Il progetto è stato accessibile al pubblico dal 1991 al 2004, quando lo spazio espositivo della Dia Chelsea è stato dismesso. Era un padiglione architettonico in vetro “a due vie” che creava effetti visivi mutevoli e complessi con il cielo, il paesaggio circostante e le persone sul tetto. L’opera comprendeva anche un piccolo capannone convertito in bar/cinema, il cui programma video è stato elaborato attorno a tematiche scelte dall’artista. Il progetto era stato finanziato dal National Endowment for the Arts, un'agenzia federale statunitense che offre supporto e fondi ai progetti artistici più promettenti, e da altri enti e fondazioni benefiche senza scopo di lucro.
Quindi il padiglione finanziato da Andrew Cuomo di cui ho scritto all’inizio dell’articolo, con il senno di poi, che senso ha? È stato eretto per ricordare le 3.000 vittime deIl’Uragano Maria. Facendo ricerca per questo pezzo, ho scoperto che i graffiti al suo interno sono il testo di una bella composizione della poetessa portoricana Julia de Burgos, Farewell from Welfare Island. A differenza dei padiglioni di Graham, l’installazione dall'architetto portoricano Segundo Cardona e dall'artista Antonio Martorell manca però di due qualità: la rifrazione e la trasparenza. Queste due proprietà mancanti mi hanno fatto pensare a una frase di Filippo Turati, leader del socialismo italiano, che nel 1908, alla Camera di Deputati, pronunciò la celeberrima frase: “Dove un superiore pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell'amministrazione dovrebbe essere di vetro”.
Della serie nemo propheta in patria, così come Graham era più stimato e riconosciuto in Europa e in Giappone che negli Stati Uniti, ecco che, nel 2022, di strutture di vetro, in Italia, ne abbiamo ben poche. Il Palazzo di vetro per antonomasia è quello del Segretariato delle Nazioni Unite, un grattacielo fulcro del quartier generale dell’ONU a Manhattan, progettato dall'architetto brasiliano Oscar Niemeyer e dall'architetto svizzero-francese Le Corbusier. Questa sede, fino al 26 febbraio 2021, ha ospitato il celebre arazzo Guernica di Pablo Picasso, prestato dalla famiglia Rockefeller come monito degli effetti devastanti di tutte le guerre, e rimosso dal Palazzo di vetro fino all’8 febbraio scorso. Dal Palazzo di vetro dell’OMS – un istituto specializzato dell’ONU – ci stanno dicendo che forse, a breve, potremmo ritrovarci ad avere delle interazioni sociali all’aria aperta come quelle incentivate e promosse dalle installazioni di Graham. La guerra è finita. Che Dan Graham riposi in pace.