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Vivere separati fa bene alle coppie adulte: “Mantenere la propria individualità non condiziona la relazione”

Sempre più coppie adulte scelgono di non vivere in case separate. I Lat (Living Apart Together) stanno diventando un modello di relazione anche qua in Italia, come spiega anche l’esperto: “È una forma di protezione, talvolta non si vogliono rivivere traumi”.
Intervista a Dott. Matteo Merigo
Psicologo, psicoterapeuta, sessuologo e consulente di coppia
A cura di Arianna Colzi
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Le coppie Lat (Living apart together) sono quelle coppie che stanno insieme ma vivono in due case separate. Si tratta di una tendenza che è tornata a crescere negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, ma che si è sempre registrata, anche con coppie famose che rivelavano la loro scelta vita, normalizzando il fenomeno di vivere in due luoghi separati. I più noti sono forse Simone De Beauvoir e Jean Paul Sartre, la cui storia d'amore ha travalicato i confini della letteratura, mentre nel mondo cinema è diventata celebra la storia d'amore tra Woody Allen e Mia Farrow, con lui che viveva dalla parte opposta di Central Park rispetto alla casa di lei. Negli ultimi anni, però, a sperimentare questa tendenza sono anche le coppie più adulte, composte da persone tra sopra i 50 o i 60 anni. Come spiega a Fanpage.it il dottor Matteo Merigo, psicologo, psicoterapeuta e consulente di coppia: "Ci possono essere due tipi di tendenze: ci sono le coppie che scelgono di vivere insieme durante il giorno in una modalità di reciproco aiuto e quelle invece sceglie di vivere insieme soltanto la sera. Il nostro corpo negli anni cambia e cambiano le esigenze: la tendenza a vivere separati sta crescendo anche in Italia".

Come vivere separati dopo la pensione: "Si coltiva un interesse e il giorno si sta con il partner"

Vivere in case separate dopo la pensione è un'altra faccia di questa tendenza di coppie Lat. "L’altro aspetto, invece, riguarda tutti coloro che, una volta andati in pensione, scelgono di vivere come se si continuasse la vita lavorativa anche dopo una certa età: ognuno ha un proprio interesse e decide di coltivarlo e portarlo avanti durante il giorno e poi la sera ci si ritrova con il compagno o la compagna, come dare un continuum rispetto alla vita prima del pensionamento", spiega a Fanpage.it il dottor Matteo Merigo.

Quella di vivere in due luoghi separati è una scelta che può avere un impatto anche psicologico sui componenti della coppia?

"Può far bene alla coppia perché in fondo è una scelta condivisa dalla coppia. Per arrivare a prendere determinate scelte di vita, due persone si mettono in discussione, cercando di capire se possa essere una scelta funzionale e si arriva alla decisione di vivere separati. Questa decisione non comporta necessariamente una minore intimità di coppia, ma semplicemente si sceglie una modalità di vita che possa essere utile a entrambi i soggetti della coppia".

Vivere separati può aiutare a essere una coppia più longeva?

"Sì, perché si coltivano i propri spazi personali. Non dobbiamo mai dimenticare che la coppia tradizionalmente intesa è fondata da due elementi: mantenere le proprie individualità non significa che venga poi a mancare la coppia. Riconoscendo le due individualità, la coppia migliora perché c’è uno spazio personale per coltivare i propri interessi, che non dev’essere vissuto con gelosia o con sospetto, semplicemente sono aspetti di vita singola, che poi aiutano la coppia a progredire".

Chi sceglie di non convivere in età adulta stabilisce un rapporto basato ancor di più sulla fiducia?

"Per arrivare a scegliere di vivere separatamente, si parte prima da una considerazione. Tante coppie che si formano tra persone che hanno dai 40 ai 60 anni vengono da relazioni precedenti che magari non sono andate a buon fine. Quindi è possibile che, dopo una separazione o dei figli, una persona si sia abituata a vivere il proprio spazio da sola. Questo non significa che non voglia entrare in una relazione, ma magari vuole entrarci mantenendo la propria individualità.

È anche una questione di abitudine, perché quando una coppia decide di andare a convivere può anche spegnersi quell’idillio dell’innamoramento che si era vissuto stando in case separate. Altre coppie, come per esempio era accaduto a Vincent Cassel e Monica Bellucci, dichiarano di vivere benissimo in case separate, pur avendo ovviamente un punto d’incontro. Alcune persone, infatti, vogliono mantenere la propria individualità e il proprio spazio e permettere anche una condivisione parziale di questi spazi. È come vivere una relazione senza che vi sia un eccesso di intromissione degli spazi privati. Forse è la soluzione più comoda, potremmo dire, ma in realtà è semplicemente un voler mantenere una propria indipendenza".

Spesso, però, soprattutto superata una certa età, scegliere di non andare a convivere, per molti equivale a non volersi prendere una responsabilità fino in fondo. È così?

"Per le persone più adulte non è detto che, alla base della scelta del vivere separati, ci sia una mancanza di impegno, anzi, è più probabile che, avendo vissuto già situazione impegnative in passato, non si vogliano rivivere traumi, oppure banalmente dopo una separazione alcune persone si abituano a vivere da soli. Non è tanto il non volersi prendere una responsabilità, perché le responsabilità si possono prendere in tanti modi".

C’è un’apertura mentale maggiore riguardo l’idea di vivere in due casa separate?

"C’è un’apertura diversa rispetto agli scorsi anni. Perché noi siamo fatti delle nostre storie, delle nostre insicurezze, dei nostri traumi e delle nostre risorse, quindi arrivare a determinate scelte è anche frutto di una profonda introspezione. Introspezione che ci porta a non voler rivivere determinate situazioni passate, pur avendo voglia di vivere la relazione attuale. Sicuramente per qualcuno non convivere sotto lo stesso tetto può rappresentare una forma di immaturità, ma direi che è più una forma di protezione. E tutti noi utilizziamo i nostri meccanismi per proteggerci da un eventuale dolore futuro".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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