Solitudine e memoria: perché stare da soli peggiora le nostre funzioni cognitive
Non è passato molto tempo in fondo, poco meno di due anni, da quando abbiamo dovuto fare i conti con una parola mai sentita prima, lockdown, che ha comportato un cambiamento radicale delle nostre abitudini: contatti con le persone ridotti al minimo, isolamento, zero possibilità di incontri, uscite limitate. E anche se oggi ci sembra un periodo lontano, del quale speriamo di dimenticarci più in fretta possibile, le conseguenze ce le porteremo dietro per un bel po', ma non solo dal punto di vista psicologico, anche dal punto di vista fisico. In particolare per quel che riguarda il decadimento cognitivo. "Nel corso dei due anni di pandemia ci siamo resi conto che l'isolamento forzato ha avuto degli effetti sulle nostre prestazioni cognitive. Ci è mancato lo stimolo sociale, il fatto di poter parlare con altre persone, interagire, uscire, ha rallentato alcune delle nostre funzioni cerebrali come la pianificazione della giornata" ha spiegato a Fanpage.it il professor Giuseppe Iannoccari, neuropsicologo e presidente dell'associazione Assomensana
Lo studio spagnolo che lega solitudine e problemi di memoria
A dimostrazione, anche se parziale, del legame tra solitudine e problemi di memoria, c'è stata una recente ricerca a cura dell'Università di Barcellona, pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Aging Neuroscience. Gli studiosi spagnoli hanno analizzato i dati di 1537 volontari di diverse fasce d'età (due gruppi di anziani, uno tedesco e uno svedese, e un gruppo di adolescenti danesi) partendo dalla misurazione dei loro livelli di solitudine. I risultati però non si sono rivelati coerenti tra i diversi gruppi: mentre infatti nel gruppo svedese i sentimenti di solitudine hanno evidenziato un legame con il decadimento della memoria, lo stesso dato non si è registrato tra i partecipanti tedeschi. Secondo la prima autrice dello studio, Cristina Solé-Padullés, «Le differenze culturali nel modo in cui le persone percepiscono e affrontano l'isolamento sociale potrebbero in parte spiegare le discrepante rilevate». Vero è che diversi studi, con campioni anche più numerosi, hanno dimostrato il legame esistente tra decadimento cognitivo e solitudine: nel 2013 una ricerca su oltre seimila anziani, curata dall'English Longitudinal Study of Aging (Elsa) aveva messo in evidenza come le persone con una vita sociale meno attiva avevano riportato, a distanza di quattro anni, un declino più rilevante delle funzioni cognitive (in particolare memoria e fluidità verbale).
L'importanza del capitale sociale
La solitudine, oltre che essere una situazione pratica, è anche una condizione mentale. "Il capitale sociale – spiega Iannoccari – é un elemento cardine della salute del cervello. Molti studi scientifici hanno dimostrato che la socializzazione è un fattore di protezione dal decadimento cognitivo, addirittura dall'Alzheimer o da patologie depressive". Costruire amicizie, rapporti sociali, in terza età è sicuramente più complicato rispetto a quando si è giovani e il lockdown ha contribuito a influire negativamente sulle relazioni al di fuori del nucleo familiare. "Nella terza età, quando si esce dal mondo lavorativo, fare amicizie è difficile. E il rischio è appunto quello di trovarsi con un capitale sociale ridotto, con una serie di effetti a catena sulla salute. È importante intervenire allora per tempo, senza scoraggiarsi. Ci si può iscrivere a circoli, associazioni, gruppi di camminata o di lettura. È fondamentale cercare nuovi stimoli e anche scambiare due parole con le persone per strada. Oggi si tende molto all'isolamento, il contatto con l'altro sembra provocare fastidio (è una conseguenza probabilmente proprio del lockdown), invece il confronto, parlare con gli altri è un fattore di salute, una medicina naturale. Non dobbiamo dimenticare che siamo fatti per stare insieme agli altri".
Come allenare la memoria
La plasticità del cervello ci consente di provare sempre a recuperare il terreno perso. "Se percepiamo di aver alcune funzioni arrugginite, come il linguaggio oltre che la memoria, oppure una scarsa capacità di pianificazione, possiamo provare ad allenarle – suggerisce Iannoccari – Certo, più avanzato è il declino, più sarà dura, ma nulla ci impedirà, con un certo impegno di ripristinare i livelli precedenti e magari anche di incrementarli". Il primo esercizio consiste nella rielaborazione di una notizia ascoltata in radio o in tv. "Dopo aver sentito il telegiornale o letto un quotidiano, scegliamo un argomento e proviamo a riassumerlo in dieci punti. Scegliamo i dieci punti che ci hanno colpito di più. Possiamo farlo anche dopo una conversazione con un amico, se la persona ci racconta di essere andata al ristorante, ad esempio, subito dopo proviamo a ricordare le informazioni più importanti che ci ha dato. In questo modo daremo stimolo a tante funzioni diverse e sentiremo subito crescere il vigore e l'efficienza della nostra mente". Un altro esercizio riguarda invece la pianificazione. "La pianificazione è una delle funzioni esecutive più ‘recenti' del nostro cervello. È il nostro regista interno, fa in modo che possiamo eseguire una procedura, svolgere delle attività in una certa sequenza. E si trova nel lobo frontale. Essendo una delle zone più recenti dello sviluppo del nostro cervello è anche più vulnerabile e non tenerla allenata può causare delle difficoltà. L'esercizio è semplice, consiste nel pianificare delle attività da fare nel pomeriggio, nello stilare una lista della spesa. E se proprio non abbiamo impegni pianifichiamo una valigia immaginaria, riempiendola con gli oggetti in ordine dal più grande al più piccolo. Oppure prendiamo carta e penna, scriviamo 20 numeri a caso, non in ordine e poi riscriviamoli in ordine decrescente, in questo caso il principio è mettere ordine dove c'è disordine e in questo modo verranno stimolate tutte le funzioni esecutive della nostra mente". Il consiglio extra? Fare questi esercizi in compagnia.