Se sei stanco forse non è colpa del lavoro: “Usiamo troppe energie per evitare le emozioni”
È vero: la vita quotidiana ci espone a ritmi frenetici a cui non sempre è facile stare dietro. Il lavoro, le incombenze varie, le scadenze, gli impegni, quella riunione impossibile da rimandare, quella visita prenotata mesi prima che salta all'ultimo momento, il saggio di danza della nipotina, l'aperitivo con la collega: e la giornata è fatta solo di 24 ore, che a volte sembrano non bastare. Sentirsi stanchi e affaticati è il minimo, in tutto questo correre continuo. Ma questa spossatezza fisica potrebbe invece essere un sintomo a sua volta, non una causa. Potrebbe derivare da qualcosa di ben più profondo, da un malessere interiore più personale, più difficile da ammettere: nascondersi dietro il troppo lavoro a volte è più facile, di riconoscere un momento di difficoltà ed eccessiva pressione psicologica.
Quando la stanchezza nasconde il malessere interiore
"Trattenere la rabbia, trattenere le lacrime: utilizziamo un'enorme quantità di energia per cercare di evitare le nostre emozioni. Ed è estenuante": è la conclusione a cui è arrivata Moya Sarner. La psicoterapeuta è anche autrice di When I Grow Up – Conversations With Adults in Search of Adulthood. Nel libro racconta proprio la difficoltà di crescere e diventare adulti, un percorso che espone a esperienze certamente migliorative, ma a volte anche paralizzanti. Nel suo caso, la maternità è stata ambivalente: "Uno dei momenti più devastanti è stato riprendermi dal trauma di un anno di privazione del sonno. Probabilmente sarò stanca per i prossimi 25 anni, quando sarò stanca perché sarò vecchia".
Proprio a quel punto si è chiesta, cercando dentro di sé una risposta sincera: cosa significa davvero essere stanchi e perché lo siamo? La conclusione a cui è giunta è che non sempre è una stanchezza che riguarda il corpo. Ha spiegato a The Guardian che spesso si tratta proprio della stanchezza che deriva dall'imporsi lo stare bene a tutti i costi, senza mai fermarsi. La psicoterapeuta ha spiegato:
A volte, sentirsi stanchi fa bene. È appagante sentire il dolore nei muscoli dopo una lezione di pilates, una nuotata in mare. Ma a volte sento una diversa qualità di stanchezza che mi attraversa. Lo noto in modo più acuto, come per la maggior parte delle cose, quando sono con il mio psicoanalista. È un crollo da esaurimento nervoso. È lo svuotamento di energia che deriva dal lavorare molto, molto duramente, inconsciamente, per evitare certe emozioni che preferirei non permettere alla mia mente cosciente. È l'esaurimento che deriva dalla tensione: digrignare i denti per trattenere la rabbia o serrare ogni muscolo facciale per trattenere le lacrime. Nella mia esperienza, queste sono le emozioni più estenuanti da reprimere, ma tutto è un lavoro estenuante, e spesso non sappiamo nemmeno di farlo. Questo tipo di stanchezza non migliora con il sonno o il riposo; anzi, sembra peggiorare. A differenza del tipo di stanchezza che segue l'esercizio fisico o qualche altra attività vivificante, questa fatica deriva da un intorpidimento del nostro interno. Un avvizzimento. Avvizzito è come mi sento quando ciò di cui avevo veramente bisogno era di lasciarmi andare e farmi sentire.
E per queste situazioni ovviamente farsi una bella dormita non è sufficiente, non è come far riprendere i muscoli dopo una sessione intensa di workout. Il percorso è più difficile e più doloroso: bisogna concedersi il diritto di stare male, di piangere, di farsi vedere in difficoltà, di ammettere un cedimento e chiedere aiuto. Bisogna dare vita al proprio io più emotivo, senza reprimerlo.
Questo è ciò che mi ha portato a scrivere il mio libro su cosa significa crescere, cosa significa essere una persona. Non mi sento più vuota, o molto raramente. Mi sentivo così perché mi stavo impegnando duramente per svuotare tutti i sentimenti di cui non volevo sapere nulla. Tutta la rabbia, il dolore, la vergogna, il senso di colpa, l'invidia, l'odio, il terrore. Tutta la rabbia e le lacrime. Ho scoperto che è molto meno faticoso provare rabbia che lavorare sodo per non sapere della mia rabbia. È più faticoso piangere che tendere ogni muscolo del viso, della mascella e della gola per trattenere le lacrime. Quindi, anche se anche questo è un duro lavoro, continuerò a cercare di capire me stesso e i miei sentimenti. L'alternativa è troppo estenuante da contemplare.