Pioggia e freddo in primavera: come il cambiamento climatico influisce sulla nostra salute mentale
Aprilgennaio. Così i giornali e gli utenti dei social media hanno ribattezzato questo mese che finalmente sta finendo. Chi aveva già fatto il cambio di stagione negli armadi – dopo il primo weekend di aprile che aveva sfiorato temperature tali da potere fare il bagno a mare – non ha potuto fare altro che tornare sui suoi passi e ricacciare da sgabuzzini, ripostigli e letti contenitore, cappotti, maglioni e giacche a vento. C'è chi si limita a lamentarsi perché non sa cosa mettersi al mattino e chi invece vive questo clima così schizofrenico con ansia. E siccome abbiamo un nome per ogni cosa ecco che arriva l'ecoansia.
Che cos'è l'ecoansia
La Treccani definisce l'ansia climatica o ecoansia come "la profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali". A differenza dell'ansia patologica che trova la sua origine sempre in qualcosa di irrazionale, l'ecoansia affonda le sue radici in qualcosa di scientificamente provato e oggi anche tangibile, come spiega lo psichiatra Matteo Innocenti autore del volume "Ecoansia" edito da Erickson "L'ecoansia non si può mettere in discussione, il cambiamento climatico in atto è vero, i problemi che derivano dall'inquinamento sono reali. Non si può lavorare sull'ecoansia come si lavora sull'ansia patologica". In molti casi poi l'ecoansia si manifesta anche in chi ha vissuto in prima persona una catastrofe come un uragano, un'inondazione oppure da chi ha sperimentato il problema della siccità sui campi coltivati.
L'ecoansia: un problema dei più giovani
Da uno dei più grandi studi fatti sul legame tra salute mentale e clima, un sondaggio globale del 2021 che ha coinvolto 10.000 giovani provenienti da 10 paesi (l'ecoansia è molto legata ai giovani più attenti e sensibili al cambiamento climatico pensiamo a Greta Thunberg e ai suoi Fridays for Future o agli attivisti di ultima generazione) su come si sentivano riguardo al cambiamento climatico e alle risposte dei governi, è emerso che più della metà delle persone di età compresa tra i 16 e i 25 anni si sente triste, ansiosa e impotente o prova altre emozioni negative a causa del cambiamento climatico. Dati alla mano, secondo i ricercatori, questo stato d'animo deriva dal fatto che i giovani sentono di stare subendo le conseguenze di scelte poco accorte delle precedenti generazioni e di avere poche risorse da mettere in campo per poter cambiare le cose, il 40% degli intervistati ha infatti affermato che le proprie preoccupazioni sul cambiamento climatico erano state ignorate o respinte.
L'ansia per il cambiamento climatico e il sentiment sui social
Per capire ancora di più l'impatto dell'ecoansia sui comportamenti e lo stato d'animo delle persone, i ricercatori Kelton Minor, del Data Science Institute della Columbia University di New York e Nick Obradovich, esperto della relazione tra salute mentale e clima presso il Laureate Institute for Brain Research di Tulsa, Oklahoma, hanno analizzato oltre otto miliardi di post su Twitter (ora X) tra il 2015 e il 2022 scritti da persone che avevano scelto di condividere anche i propri dati di geolocalizzazione. Partendo da parole chiave positive come buono, bene, nuovo o amore, e negative, come cattivo, sbagliato, odio e ferito, gli studiosi hanno collegato i post ai dati climatici del momento in cui erano stati scritti. E non stupisce vedere che durante le ondate di caldo o le precipitazioni estreme i tweet con sentiment negativo erano nettamente di più rispetto a quelli scritti nei giorni di controllo (ovvero stesso luogo e stesso periodo dell'anno) quando le condizioni meteorologiche non erano estreme. E anzi nel corso degli anni le reazioni avverse sono ampiamente peggiorate e ciò ci fa capire che non bisogna essere meteoropatici per subire le conseguenze del cambiamento climatico sul proprio umore.
Tutte le eco-emozioni
Ecoansia, ecoparalisi: il clima e il cambiamento climatico non possono lasciarci indifferenti. C'è chi si limita a soffrire, chi non vede il problema a parte al mattino quando non sa cosa indossare e chi agisce, protesta, alza la voce. Le nuove generazioni sono le più sensibili ed attente e ancora una volta si sta verificando quel fenomeno solo apparentemente anomalo in cui i più giovani insegnano qualcosa ai più anziani. Dalla differenziata al riciclo, passando per un consumo più moderato di carne, all'attenzione verso la plastica, ai mezzi di trasporto elettrici. Oggi i giovani e i giovanissimi, con o senza ecoansia, sono più attenti dei loro genitori e dei loro nonni a non avvelenare il pianeta. Scelgono oggetti riciclati, fanno caso ai brand che propongono tessuti che non inquinano e in alcuni casi come gli attivisti di Ultima Generazione si mettono in gioco in prima persona per far sì che i governi riconoscano i problemi climatici e entrino in azione.
L'ecoansia può avere un risvolto positivo (quando non è aggravata dall'ecoparalisi) perché ci rimette in moto, ci fa scattare in uno stato di allerta ma ci fa agire per ottenere un cambiamento, anche nelle piccole cose. Portare una shopper per la spesa ed evitare le buste di plastica, ridurre al minimo il cibo confezionato, camminare a piedi anziché in auto, azioni in grado di impattare sull'ambiente e soprattutto sul nostro stato d'animo. Ma altrettanto importante è esigere dalla classe dirigente e dai governi dei provvedimenti in grado di contrastare globalmente e concretamente il problema del cambiamento climatico senza rinviare ancora alla generazione successiva la gestione di quello che potrebbe essere un disastro annunciato.