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Giornata Mondiale della Salute Mentale: “Ci vogliono sempre felici, non c’è posto per il malessere”

Si parla abbastanza di salute mentale? Benché soprattutto i giovani siano più disposti a chiedere aiuto e riconoscere le difficoltà, resistono molti pregiudizi.
Intervista a Dott.ssa Lucia Montesi
psicologa psicoterapeuta
A cura di Giusy Dente
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Il 10 ottobre è la Giornata Mondiale della Salute Mentale, istituita nel 1992 per iniziativa di Richard Hunter, vice segretario generale della Federazione mondiale per la salute mentale. Ogni anno viene scelto un tema di riferimento: per l'edizione 2024 è It's time to prioritize mental health in the wokplace. L'obiettivo è sensibilizzare governi, datori di lavoro, organizzazioni che rappresentano i lavoratori a impegnarsi per creare ambienti sani, dove non venga minacciato il benessere psicologico. Tutelare la salute mentale dovrebbe essere una priorità per tutti eppure non è così: ci sono ancora molte difficoltà nell'affrontare questo argomento, come ha spiegato a Fanpage.it la psicologa e psicoterapeuta Lucia Montesi.

Perché si ha difficoltà a parlare di salute mentale

La ricerca condotta lo scorso febbraio da BVA Doxa per Serenis (piattaforma digitale per il benessere mentale) ha rilevato che 6 persone su 10 non parlano di salute mentale, neanche ad amici o familiari o al partner. Per certi versi è ancora un tabù. L'esperta ha spiegato: "Aprirsi agli altri confidando un proprio disagio mentale fa sentire vulnerabili, diversi, esposti al giudizio. Il timore induce a minimizzare i sintomi, a cercare di ignorarli, ad attribuirli a una fase passeggera, a nasconderli anche agli altri. Inoltre, la cultura attuale ci vuole sempre performanti, attivi, dinamici, felici, divertiti e divertenti. Non c’è posto per il malessere psicologico, che deve essere occultato, pena apparire perdenti, noiosi, poco brillanti".

Ci sono però delle differenze anagrafiche e generazionali: "Le persone più giovani appaiono maggiormente in grado di riconoscere in sé una problematica psicologica, di ammetterla e di cercare un aiuto. A questa maggiore consapevolezza e normalizzazione hanno contribuito anche numerosi personaggi del mondo dello sport, della musica, dello spettacolo e dei social network che hanno condiviso le loro esperienze di sofferenza mentale, incoraggiando a parlarne, a non vergognarsi e a rivolgersi agli specialisti, come per qualsiasi altro problema di salute. I ragazzi e le ragazze di oggi hanno inoltre una maggiore conoscenza ed esperienza della figura dello psicologo, presente in parte degli istituti scolastici e quindi percepita in modo meno stigmatizzante rispetto al passato. Quanto alla differenza tra uomini e donne, permane una maggior facilità delle donne a prendersi cura della salute mentale propria e altrui, per motivi principalmente culturali. Le donne sono da sempre state deputate alla gestione degli aspetti emotivi, di cui sono maggiormente esperte e in cui si muovono con minor impaccio rispetto agli uomini, educati a non sostare a lungo nel dolore ma piuttosto ad agire. Le donne sono anche quelle che più facilmente chiedono aiuto specialistico o spronano altri a chiederlo, perché socialmente sono state maggiormente legittimate, rispetto agli uomini, ad esperire ed esprimere disagio e sofferenza emotiva, a condividere il proprio stato emotivo e a chiedere aiuto, piuttosto che reprimere o cercare di risolvere da sé".

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Di base, permane quella netta contrapposizione tra la normalità e l'anormalità: la sfera del malessere psicologico viene relegata a qualcosa di grave e anormale da cui fuggire: "Evoca un’immagine che turba: quella del malato di mente. Molte persone hanno pregiudizi e anche molta disinformazione sui disturbi mentali. Ma se sfogliassero il Manuale Diagnostico e Statistico usato in tutto il mondo per porre diagnosi di disturbo mentale, scoprirebbero che i disturbi mentali comprendono quadri molto diversi per gravità. Il disturbo mentale non è nettamente separato dalla normalità: ciò che fa la differenza è la gradazione, l’intensità, la pervasività, il grado di disagio e di compromissione provocati. Lo stigma e le convinzioni errate sui disturbi mentali purtroppo persistono, influiscono negativamente sulla qualità di vita di chi ne è affetto e ostacolano l’accesso alle cure".

La stessa disinformazione c'è anche sulla figura dello psicologo stesso, una professione a cui ne sono associate altre con competenze diverse, che spesso si ignorano. La dottoressa ha fatto chiarezza: "Lo psicologo è laureato in Psicologia e può occuparsi di prevenzione, diagnosi, sostegno psicologico, riabilitazione, ricerca e didattica. Non è un medico e non somministra farmaci. Lo psicoterapeuta è uno psicologo (o più raramente, un medico) che si è formato per almeno quattro anni in una delle diverse forme possibili di psicoterapia, che è propriamente la cura del disturbo psicologico. Lo psicologo e lo psicoterapeuta si occupano in piccola parte anche della patologia mentale più grave (come le psicosi), ma principalmente trattano problematiche comuni a molti: disturbi d’ansia, difficoltà tra genitori e figli, problemi scolastici, fasi o momenti della vita particolarmente stressanti che tutti possono attraversare. Lo psichiatra è la figura che maggiormente evoca lo spettro della malattia mentale grave. È un medico che ha conseguito la specializzazione in psichiatria. Si occupa di tutti i disturbi mentali e non solo di quelli più gravi, etichettati nel pensiero comune come pazzia. Può esercitare la psicoterapia ma soprattutto conosce e sa utilizzare nel modo migliore gli psicofarmaci, necessari in alcune condizioni e affiancabili alla psicoterapia per un esito ottimale".

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Come prendersi cura della salute mentale

Molti fattori contribuiscono positivamente sulla salute mentale: "Dovendo generalizzare, possiamo identificare delle aree importanti da coltivare: l’esercizio fisico regolare, che influisce positivamente sull’umore, sull’ansia, sull’autostima, sull’immagine corporea; uno stile di vita salutare con una alimentazione equilibrata e con attenzione all’uso di alcol; un sonno di durata sufficiente (almeno 6 ore); attività piacevoli che siano, a seconda dei bisogni individuali, rilassanti, o attivanti, fonte di realizzazione personale e di gratificazione, o occasione di socializzazione; comunicare con gli altri in modo efficace e possibilmente assertivo, ovvero né troppo passivo e sottomesso, né troppo aggressivo, esprimendo le proprie necessità in modo chiaro e rispettoso degli altri; essere in contatto con i propri stati emotivi, riconoscerli, accettarli, normalizzarli ed esprimerli, dando spazio anche alle emozioni e ai pensieri negativi".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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