Fame nervosa, quando le emozioni prendono il sopravvento: perché cerchiamo conforto nel cibo
Il cibo è sopravvivenza, è ciò che effettivamente permette al nostro corpo di essere in piedi, di avere le energie per svolgere qualunque attività: di vivere, insomma. Ma oltre a fornirci nutrimento prezioso, come ci spiega la biologia, il cibo è anche un piacere. Eppure questo aspetto può venire meno: non sempre si mangia con gusto, con gioia. Nei disturbi alimentari si fa avanti un concetto stravolto di alimentazione: il cibo diventa un nemico. Per favorire una maggiore sensibilizzazione rispetto a questi disturbi viene annualmente organizzata la Settimana Lilla, dedicata appunto ad attività di prevenzione e psico-educazione sul tema. Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicoanalista, responsabile della U.O Riabilitazione dei Disturbi Alimentari e della Nutrizione presso Auxologico Piancavallo, intervistato da Fanpage.it si è soffermato in particolare sulla fame nervosa, la cosiddetta emotional eating. Non si mangia né per appetito né con gusto, ma si risponde col cibo (qualunque esso sia) ai sentimenti negativi momentanei. Può trattarsi di stress, noia, tristezza, solitudine, che dopo l'abbuffata lasciano spesso spazio al senso di colpa. "Il tema è governare le emozioni che ci sono di fondo" ha spiegato l'esperto.
Cibo ed emozioni hanno una relazione profonda
Il cibo non è solo strettamente connesso alla biologia, per la sopravvivenza, ma anche alle emozioni. Lo è per fattori cerebrali e psicologici, come ha spiegato l'esperto: "Come è noto noi non mangiamo solo per riequilibrare gli ormoni, la glicemia o le sostanze nutrizionali presenti nel nostro corpo e nel nostro sangue. Spesso l'alimentazione ha a che fare con fattori sociali e culturali: pensiamo alla frequenza con la quale mangiamo certi cibi durante l'anno, in determinati periodi. Ma un aspetto che regola anche il nostro comportamento alimentare sono le emozioni che incidono su alcune aree del cervello, le quali sono in stretto collegamento con altre aree del cervello deputate alla regolazione del comportamento alimentare. Per cui il nesso tra emozione e cibo è un nesso biologico intrinseco ad alcune aree di funzionamento cerebrale, ma anche e soprattutto rispetto ad alcuni fattori psicologici. Noi sappiamo che se siamo troppo emozionati tendiamo a mangiare di più o di meno in relazione a come noi ci sentiamo".
La tendenza ad aggrapparsi al cibo per consolazione è qualcosa che apprendiamo molto presto nelle nostre esistenze: "Ci appoggiamo al cibo per avere conforto, perché impariamo questo da quando stiamo al mondo. La nutrice, la madre, la persona che si prende cura di noi quando siamo lattanti, utilizza il cibo come elemento simbolico ma anche reale, per placare i nostri pianti, i nostri stati d'animo. Impariamo lì a capire che il cibo è una sostanza confortevole".
Purtroppo, però, il passo dal conforto al senso di colpa è molto breve. Come ha spiegato lo psichiatra Leonardo Mendolicchio: "Associamo il cibo alla vergogna, perché sul cibo proiettiamo molta inquietudine. E oggi, socialmente e culturalmente, questo è molto frequente. Io definisco la nostra società come cibofilica, per cui appassionata di cibo e cibofobica, impaurita dal cibo. E questa enfasi eccessiva spesso determina il sentimento di vergogna".
Come riconoscere e come gestire la fame nervosa
La fame nervosa non ha a che vedere con un vero bisogno di mangiare o col piacere di gustare qualcosa: "È la tendenza a mangiare quando non c'è un bisogno reale; è appunto caratterizzata da stati emotivi molto forti, che si possono spegnere solo attraverso la possibilità di mangiare qualcosa. Questo è un meccanismo abbastanza frequente in ognuno di noi che può diventare tendenzialmente ridondante. Ovviamente durante le crisi di fame nervosa, il tema del piacere del gusto non c'entra. Il tema è governare le emozioni che ci sono di fondo".
Ma rimettere in equilibrio l'asse alimentazione-emozioni è possibile: "Si rimette in equilibrio con una buona alfabetizzazione alimentare e una buona alfabetizzazione emotiva, ovvero la consapevolezza dei propri stati emotivi, associata alla consapevolezza di saper scegliere il giusto nutrimento. Questa è una buona via per essere nuovamente centrati". Il deterioramento progressivo del benessere psico-fisico diventa col tempo sempre più difficile da gestire. Come ha sottolineato l'esperto: "I disturbi alimentari resistono nonostante i danni, perché nella testa delle persone che hanno questo tipo di problematica il disturbo alimentare non è la malattia, ma una soluzione alle loro imperfezioni, inquietudini, insicurezze. Per cui più si aggrappano a disturbi alimentari e meno immaginano che debbano cambiarlo e meno guardano i pericoli. Tenendo conto che poi, quando i disturbi alimentari sono gravi, in quel caso le capacità di critiche sono in qualche modo anche ridotte".