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È inutile provare a salvare il partner, non ci riuscirai: cos’è la sindrome della crocerossina

“Superficialmente chiede il cambiamento, ma a un livello profondo l’altro non deve cambiare: verrebbe meno ciò su cui il legame si fonda” ha spiegato l’esperta.
Intervista a Lucia Montesi
Psicologa psicoterapeuta
A cura di Giusy Dente
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La chiamano "sindrome della crocerossina", con un termine volutamente declinato al femminile: il fenomeno in realtà non riguarda solo loro, ma sono la maggioranza, essendo predisposte per motivi prevalentemente socio-culturali. Sono quelle persone che mettono il partner al primo posto. I suoi bisogni e le sue necessità prendono il sopravvento; assecondare l'altra persona, accudirla, aiutarla a risolvere i problemi diventa uno scopo di vita. Ci si annulla completamente in nome della felicità dell'altro, che solitamente è un partner con problemi relazionali e comportamentali di vario tipo. È a tutti gli effetti una relazione tossica, da cui è difficile uscire, perché è la crocerossina stessa ad alimentare inconsciamente il processo, come ha spiegato a Fanpage.it la psicologa psicoterapeuta Lucia Montesi.

Che cos'è la sindrome della crocerossina

L'esperta ha spiegato: "Descrive la condizione di quelle persone che tendono ad annullare sé stesse per soddisfare i bisogni degli altri, a scapito dei propri. Sono sempre pronte a soccorrere familiari, amici, conoscenti e anche estranei, ma la tendenza si manifesta specialmente nei confronti dei partner, che vengono anzi scelti con determinate caratteristiche". Questi partner da salvare a tutti i costi, infatti, hanno caratteristiche tossiche in comune e sono proprio quelle a generare un fascino a cui è impossibile sottrarsi: "Sono partner problematici e sofferenti che manifestano difficoltà di vario tipo: immaturità, depressione, alcolismo, dipendenza da sostanze, problemi comportamentali, aggressività, incapacità a mantenere un impiego". La crocerossina si accosta a questa tipologia perché è quella che meglio si presta alla loro necessità di sentirsi indispensabili: "Dedicano ogni sforzo ad accudire e aiutare l’altro perché questo dà senso alla loro vita, anche rinunciando ai propri bisogni. Prendersi cura di un bisognoso da salvare è anche un modo per garantirsi la sua gratitudine e il suo amore, per scongiurare il rischio di essere abbandonate e di restare sole, cosa che temono enormemente. Inoltre nella crocerossina c’è anche un’ inconscia fantasia di onnipotenza nell’essere colei che renderà finalmente felice l’altro, o gli farà mettere la testa a posto".

La crocerossina è sempre donna?

Non è un caso che si parli sempre di crocerossina, dunque con un termine declinato al femminile. L'espressione è un riferimento alle infermiere volontarie della Croce Rossa impegnate in guerra le quali erano, appunto, donne. Questo rispecchia in parte la realtà: "C'è una nettamente maggiore frequenza del problema nelle donne rispetto agli uomini. Ci sono certamente anche uomini crocerossini, ma le donne corrono un rischio maggiore di sviluppare questa tendenza: sono più predisposte per motivi socio-culturali. Storicamente, infatti, le donne sono quelle che maggiormente si sono dedicate alla cura dell’altro, che si tratti di figli, familiari o altri membri della comunità, e su di esse è più forte la pressione e l’aspettativa sociale verso l’accudimento degli altri. Inoltre le donne hanno sviluppato, per gli stessi motivi, una particolare inclinazione all’empatia e alla comprensione dell’altro e delle sue necessità".

Perché la crocerossina non può salvare il partner

Nonostante i costanti sforzi per la felicità dell'altro, per soddisfarne i bisogni, accudirlo, proteggerlo, salvarlo dai suoi demoni, la missione della crocerossina è persa in partenza. I motivi sono due: "Non solo, banalmente, perché il partner problematico può salvarsi solo se prende in prima persona la consapevolezza delle sue difficoltà e la responsabilità di affrontarle. Ma anche per un meccanismo più sottile che in genere è messo in atto inconsciamente". La crocerossina (o il crocerossino) ha effettivamente bisogno di quella dinamica, che lega i due partner indissolubilmente: "Mette un contributo attivo al perpetuarsi di questo gioco relazionale in cui uno ha il problema e l’altro lo aiuta. Ha essa stessa bisogno di un partner perennemente problematico da modificare, perché questo la fa sentire utile, importante, potente, sana, giusta, o le consente di riparare ferite o traumi del passato. Il suo amore, che poi amore non è, ha come condizione un altro da cambiare e perciò, anche se a un livello superficiale lei chiede e auspica il cambiamento, in realtà a un livello più profondo l’altro non può e non deve cambiare: se cambiasse davvero, verrebbe meno ciò su cui il legame si fonda e si mantiene. L’altro è quindi condannato a non evolvere, a non maturare e a restare in una posizione di inferiorità".

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