Cos’è l’effetto sold out: i meccanismi psicologici su cui fanno leva i brand per registrare il tutto esaurito
In principio c'è l'hype. Un profilo Instagram che viene completamente ripulito. Una serie di indizi più o meno enigmatici. Un countdown da segnare sul calendario dell'iPhone. La curiosità cresce e nell'utente, anzi, potenziale cliente, comincia a nascere l'aspettativa. E sa che se vorrà essere sul pezzo per accaparrarsi una borsa, un paio di scarpe o chissà cos'altro dovrà impostare la sveglia per essere il più veloce del web. Il rischio infatti è quello di rimanere a bocca asciutta e che nel giro di poche ore, o addirittura pochi minuti, vada tutto tutto esaurito. Non è un caso se gli psicologi per spiegare questo tipo di meccanismo del marketing parlino di effetto sold out.
Dall'hype all'effetto sold out
Per convincerci a comprare un prodotto le aziende, soprattutto i brand di lusso, prima ancora di parlare di qualità, fattura e caratteristiche intrinseche al prodotto in sé, lavorano sul trasformarli in oggetti del desiderio. "È a questo che serve l'hype. A suscitare aspettative, stimolare un senso di attesa e curiosità – spiega a Fanpage.it la dottoressa Chiara Cilardo, psicologa e esperta di digital marketing – L’hype genera e rafforza una forte connessione emotiva col pubblico e aumenta la awareness, la notorietà del brand. La vendita, e tutto ciò che la precede, è vista dal consumatore come un'esperienza più che come un acquisto e basta". Questo tipo di strategia di marketing trova terreno fertile su beni di lusso, ancor di più se in edizione limitata. "Si genera un effetto scarsità come leva per suscitare scalpore e interesse. In questo caso scarsità implica anche distintività e unicità e quindi giustifica il costo elevato e la difficoltà ad ottenerli".
Che cos'è l'effetto sold out
La potenziale unicità di un prodotto, la difficoltà a ‘conquistarlo', il costo elevato, sono elementi che fanno leva sulla sfera emotiva del consumatore. "Questi prodotti assolvono a funzioni identitarie più che pratiche, non sono commodity, cioè beni di prima necessità, anzi, di solito sono esattamente l’opposto, cioè qualcosa di non essenziale. – continua Cilardo – I messaggi che ci comunicano che c'è una ridotta o limitata possibilità di acquistare il prodotto che desideriamo ci incalzano, ci inducono ad affrettarci perché presto non sarà più disponibile". L'ultimo eclatante caso riguarda il ritorno di Phoebe Pilo, stilista inglese, storica designer di Chloé e Céline, che ha lanciato sul mercato, dopo anni lontana dalle passerelle, una nuova linea che porta il suo nome. I pezzi più costosi della collezione (borse da circa 6000 euro) sono andati esauriti in poche ore. "Un altro meccanismo che entra in gioco è la sensazione che stia accadendo qualcosa di importante intorno a noi (come il ritorno di una stilista ad esempio) e che non possiamo non essere inclusi, non possiamo perdercelo. L’aspetto curioso è che, anche quando non si riesce ad accaparrarsi il pezzo, permane nella mente dell’utente quel senso di valore ed esclusività, sia relativamente al brand che al prodotto in sé. Questo perché l’intero processo di hype marketing crea una connessione emotiva con i consumatori, li fa entrare nel proprio mondo e li coinvolge. A quel punto il prodotto è più parte di una esperienza che un bene in sé. A volte per indicare, per esempio, un paio di scarpe le chiamiamo col nome del brand, come nel caso de “le Louboutin”. Quindi non si tratta più dell’oggetto, ma di tutto il mondo creato attorno al brand".
L'effetto sold out e la FOMO
Molte sono le affinità tra l'effetto sold out, la delusione del consumatore nel non riuscire a comprare la borsa o le scarpe desiderate e la FOMO, ovvero la Fear Of Missing Out, la paura di essere tagliati fuori. "La sensazione di esser tagliati fuori da quello che sta succedendo, di non avere qualcosa che altri hanno e che li rende speciali, è uno dei meccanismi su cui si basa l’hype marketing. La FOMO viene opportunamente amplificata attraverso campagne pubblicitarie molto elaborate". Non a caso questo tipo di strategia commerciale si muove su diversi canali, sia offline che online: televisione, affissioni, stampa, social: "Siamo bombardati da messaggi, immersi in un ecosistema di iperinformazione. In poche parole, si circonda il consumatore promuovendo il prodotto così tanto e su così tanti mezzi allo scopo di trasmetterne l'importanza, il valore, il prestigio e la popolarità. E, quindi, indurre il bisogno ad averlo. La FOMO viene intensificata attraverso varie strategie come il mostrare le offerte esaurite o in scadenza: sugli e-commerce a volte troviamo, in rosso, una scritta che indica la disponibilità scarsa, sui siti di prenotazioni vengono mostrate le offerte a disponibilità limitata accanto a quelle terminate, tutto allo scopo di rafforzare il senso di urgenza e l'impatto della scarsità".
I rischi dell'effetto sold out
Forzare la mano però può essere un rischio. La strategia del "Tutto esaurito" potrebbe infatti generare nei consumatori due tipi di reazioni differenti. "In alcuni casi – avverte Cilardo – porta gli utenti ad acquistare le altre opzioni disponibili (che variano per colore, per esempio). In altri casi può indurre un fenomeno psicologico chiamato reattanza, una sorta di avversione, di insofferenza, dovuta a situazioni in cui le persone sentono che la loro libertà di scelta viene limitata da fattori esterni. Anche se questo fenomeno è meno saliente in alcune circostanze, come quando non si acquista qualcosa per sé ma per altri, forzare la percezione di scarsità del prodotto e l’effetto sold out conviene ma entro certi limiti: cadere nella trappola della reattanza psicologica è molto facile. L’ideale è dosare questa strategia mantenendo la percezione di distintività, di prodotti disponibili per una élite, ma senza esagerare per non rischiare che la delusione del consumatore si tramuti in vero e proprio fastidio e che venga danneggiata la reputazione del brand. Non dimentichiamo che mantenere la connessione emotiva coi propri clienti è essenziale".