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Cosa fare se mio figlio è un bullo? I comportamenti da tenere sotto controllo e come intervenire

Nella giornata mondiale contro il bullismo e il cyber bullismo abbiamo intervistato la psicologa dell’infanzia Serena Costa per capire cosa fare se ci accorgiamo che nostro figlio si comporta da bullo.
Intervista a Dott.ssa Serena Costa
Psicologa dell'infanzia
A cura di Francesca Parlato
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Il 7 febbraio ricorre la Giornata Mondiale contro il Bullismo e il Cyberbullismo, secondo un'indagine delle Nazioni Unite, uno studente su tre, tra i 13 e i 15 anni, ha subito nella vita almeno un episodio di bullismo e in Italia poco più del 50% degli 11-17enni (numeri che arrivano da uno studio ISTAT) ha subito un episodio offensivo, non rispettoso o violento da parte di altri ragazzi. Spesso episodi di violenza, fisica o verbale, tra ragazzi sono considerati normali, sono minimizzati ma è importante invece capire come riconoscere e distinguere un semplice litigio da un comportamento prevaricatore, prepotente, dove c'è un'asimmetria di potere e soprattutto l'intenzionalità di fare del male o offendere o anche escludere un compagno da un gioco o da una situazione di gruppo. Come indicano le statistiche, di bullismo si parla quasi sempre superati gli 11 anni, quando iniziano le scuole medie, quando delle dinamiche comportamentali sono già strutturate. "Ma prima capiamo come evitare di arrivare al bullismo, meglio è. – ha spiegato a Fanpage.it la dottoressa Serena Costa, psicologa dell'infanzia e autrice del blog "Connettiti alla psicologia" – Più facile sarà intervenire con i nostri figli per chiarire cosa c'è di sbagliato in certi comportamenti". 

Mio figlio è un bullo? I comportamenti da controllare

Per un genitore può essere emotivamente complicato rendersi conto di alcuni comportamenti del proprio figlio, eppure ci sono dei segnali piuttosto chiari, che possono farci capire che siamo di fronte a degli atteggiamenti preoccupanti. "Intanto dobbiamo notare se il bambino ricorre a metodi aggressivi per ottenere quello che vuole. Se è pretenzioso, se ha un atteggiamento di superiorità nei confronti dei compagni, se tende a sottometterli". Oltre ai segnali che riguardano la sfera della rabbia però ce ne sono altri che hanno a che fare con la capacità di gestire le emozioni. "Di solito sono bambini che fanno fatica a esprimere le loro emozioni e i loro bisogni. Non provano dispiacere o senso di colpa se si accorgono che hanno ferito qualcuno, fisicamente o prendendolo in giro, addirittura sono quasi contenti. E questo succede sia a casa con i genitori che con i fratelli e le sorelle o con i compagni di classe". Moltissimo contano anche le dinamiche familiari. "Se i genitori sono aggressivi, se ricorrono a questo tipo di modalità comunicative o di relazione, è probabile che anche i figli lo faranno, perché riflettono ciò che vedono". 

Cosa fare se ci rendiamo conto che nostro figlio è aggressivo

Se ci accorgiamo che nostro figlio mette in atto questo tipo di comportamenti, la prima cosa da fare è cercare di riaprire un canale comunicativo. "Dobbiamo cercare di entrare in sintonia con lui, con i suoi bisogni reali. Cerchiamo di capire cosa ha scatenato quei comportamenti e di provare a sviluppare le sue capacità emotive". Uno dei punti deboli di un bambino aggressivo è spesso la gestione della frustrazione. "I genitori dovrebbero imparare anche a lavorare su questo aspetto. Bisogna allenare i ragazzi a questa competenza. Si è visto che ci sono due stili genitoriali che favoriscono l'insorgere di comportamenti da bulli: uno stile autoritario, fatto di troppe regole e divieti, che ingabbia i bambini e uno stile troppo permissivo, che va sempre incontro ai bisogni del bambino, che crescerà credendo che tutto sia dovuto. Per questo è importante trovare un equilibrio, un bilanciamento". 

Un bambino bullo va punito?

Punire, sgridarlo, tentare la strada del dialogo? Cosa fare se nostro figlio si è comportato in maniera scorretta con un altro bambino? "Vale sempre la pena dialogare – suggerisce la psicologa – Facciamoci intanto raccontare la sua versione, facciamogli capire che lo stiamo ascoltando, siamo accoglienti. Non limitiamoci a criticarlo. Aiutiamolo ad analizzare quello che dice: se si deresponsabilizza, dicendo "Non ho fatto niente" facciamolo ragionare sulle sue emozioni, chiediamogli se per caso ha paura di essere sgridato. Spieghiamogli che non esiste solo il suo punto di vista e che bisogna ascoltare tutte le versioni di quello stesso episodio. E invitiamolo a riflettere sulle conseguenze di quel comportamento". Se però questi atteggiamenti aggressivi non sono sporadici ma diventano un’abitudine, allora è il caso di stabilire delle conseguenze negative. "Una punizione serve a scoraggiare un comportamento negativo, ma non deve essere umiliante. Deve sempre essere costruttiva. Ad esempio se nostro figlio ha ferito con le parole qualcuno la punizione potrebbe essere scrivere una lettera di scuse. L'obiettivo è responsabilizzarlo". Chiedere scusa però non deve essere neanche un atto imposto o un semplice escamotage per risolvere un problema, è importante trasmetterne il valore reale. "Si chiede scusa per riparare, ma non dobbiamo obbligare a chiedere scusa se il bambino non ne capisce il motivo. Bisogna lavorare proprio sull'empatia". 

Quando è il caso di rivolgersi a un esperto

È molto importante quando un bambino mostra degli atteggiamenti di questo genere non identificarlo con il suo comportamento. Oggi è facile dire “sei un bulletto” ma è più corretto dire che si sta comportando come un bullo: "Non etichettiamo mai il bambino che si comporta da bullo come tale. Analizziamo e critichiamo anche i suoi atteggiamenti ma senza identificarlo con la parola bullo. Preserviamolo, si tratta sempre di un bambino che deve essere aiutato. Il rischio è andare incontro a una profezia che si autoavvera ‘Tutti mi dicono che sono un bullo e allora mi comporto come tale’”. In questi casi stringere alleanze con educatori e insegnanti è essenziale per intervenire sul bambino. "Facciamogli capire che nessuno lo vuole punire e basta ma che vogliamo aprire un canale comunicativo, che vogliamo accogliere i suoi bisogni. Se lo capisce sarà più disponibile a parlare, altrimenti inizierà a temere l'adulto, a pensare che voglia limitare la sua libertà e si chiuderà sempre di più. Sicuramente non è un lavoro facile, ma più si è alleati con le figure educative di riferimento, più si riesce ad essere efficaci". In alcuni casi può essere anche utile rivolgersi a uno psicologo o a un terapeuta. "A volte un genitore può rivolgersi a un esperto anche solo per  per avere un semplice consiglio, un aiuto che può rivelarsi importante. In alcuni casi invece, quando al bambino non si riesce a far capire l'importanza di cogliere le emozioni degli altri, quando non si riesce a mettere un freno a certi comportamenti può essere utile proprio avviare un percorso più strutturato. Prima si interviene meglio è. Se ci accorgiamo che esistono queste dinamiche di esclusione, se se la prende con qualcuno in maniera ricorrente cerchiamo di muoverci presto, più si va avanti più diventerà complicato affrontare questi comportamenti".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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