video suggerito
video suggerito

C’è una relazione tra depressione e invecchiamento: perché è più diffusa al crescere dell’età

La diffusione della depressione aumenta al crescere dell’età, in particolare dopo i 65 anni. C’è una relazione con la neuroinfiammazione.
A cura di Giusy Dente
36 CONDIVISIONI
Immagine

Si avvicina il 10 ottobre, il World Health Mental Day istituito nel 1992 dalla Federazione Mondiale per la Salute Mentale. I dati dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) identificano nella depressione la malattia del secolo, per il suo impatto epidemiologico: centinaia di milioni di persone al mondo ne soffrono. I dati mostrano delle differenze anagrafiche: sembrerebbe essere meno diffusa tra i giovani e gli adulti di età compresa tra i 15 e i 44 anni, per essere invece maggiormente diffusa al crescere dell’età, in particolare dopo i 65 anni. Ha confermato questo andamento Marco Colizzi, professore aggregato di psichiatria Università di Udine: "Il modo in cui la depressione si presenta varia sensibilmente a seconda dell’età di chi ne soffre".

Perché la depressione è più diffusa tra gli over 65

La depressione nella persona anziana ha sintomi diversi, rispetto a quella che si manifesta in giovane età. "Nell’anziano si caratterizza per la più alta presenza di malessere fisico, rallentamento e sintomi cognitivi". C'è una relazione con l'infiammazione cronica di basso grado, che non a caso viene identificata in inglese col termine inflammaging, proprio per indicare lo stretto rapporto tra l’infiammazione e l’invecchiamento. "L’infiammazione cronica di basso grado ha delle conseguenze nel breve e lungo periodo – ha spiegato l'esperto – Provoca danni collaterali al sistema nervoso periferico e centrale, neuroinfiammazione, ai vasi sanguigni, ai muscoli e a organi come il pancreas, il cuore, i reni e il fegato. Rispetto alla depressione ad esordio precoce, la depressione ad esordio tardivo è stata associata ad una più elevata mortalità, causata dall'invecchiamento vascolare, che espone la persona che ne soffre anche ad un rischio maggiore di evoluzione verso quadri di decadimento cognitivo".

La relazione tra neuroinfiammazione e depressione

L'infiammazione, di per sé, è un processo positivo per il nostro organismo, perché serve proprio a mantenere il corpo in salute. È un processo biologico naturale: il sistema immunitario si attiva in risposta a lesioni, infezioni o altre minacce percepite. Se questo non accadesse, ci si ammalerebbe molto più di frequente. Ciò su cui la medicina ha ancora poche risposte, però, sono le cause e le conseguenze dell’infiammazione cronica di basso grado. In questo caso l’organismo diventa più predisposto a patologie come diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, obesità e cancro. Ha un'influenza negativa anche sulla salute mentale, perché altera la barriera emato-encefalica e consente il passaggio dell’infiammazione al sistema nervoso centrale.

Una volta che diventa neuroinfiammazione, c'è un maggiore rischio di sviluppare disturbi neurologici come la depressione e il deterioramento cognitivo. La neuroinfiammazione, infatti, spinge il cervello al rilascio di citochine, molecole che interagiscono con la chimica cerebrale alterando i livelli di serotonina e dopamina, neurotrasmettitori fondamentali per il benessere emotivo. In alcune persone con depressione si riscontrano alti livelli di marcatori infiammatori nel sangue, responsabili di stanchezza, perdita di interesse e umore basso. Anche il disturbo bipolare e la schizofrenia mostrano correlazioni con l’infiammazione cronica. "Controllare l’infiammazione periferica e centrale (neuroinfiammazione) può rappresentare una valida strategia di prevenzione di diverse malattie fisiche e mentali, spesso correlate tra loro, consentendo una vita soddisfacente anche quando si è avanti con gli anni ed invertendo la rotta che porta allo sviluppo di depressione" secondo il professor Colizzi.

Come prevenire l'infiammazione

Si può agire sull'infiammazione secondo lo psichiatra: "Si può evitare o, quantomeno, ridurre. È spesso alimentata da cattivi stili di vita, inclusi una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e grassi saturi, la sedentarietà e l’assenza di esercizio fisico, lo stress cronico e l’esposizione a sostanze tossiche quali inquinanti e fumo di sigaretta. Va sottolineato anche il ruolo del sonno: passiamo un terzo della nostra vita dormendo e durante il sonno vengono riparati i danni cellulari accumulati. Un sonno inadeguato non permette questo importante meccanismo di protezione ed aumenta il rischio di infiammazione".

Uno stile di vita sano è quindi fondamentale: "Questo prevede almeno quattro strategie principali. L’attività fisica regolare, compreso anche il solo camminare, può ridurre i livelli di infiammazione nel corpo. La gestione dello stress è molto importante: tecniche di rilassamento come la meditazione e la respirazione profonda hanno dimostrato di essere efficaci nell’abbassare i livelli dei marcatori infiammatori. Un sonno di qualità è fondamentale per mantenere bassi i livelli di infiammazione. Ultima, ma non ultima, l’alimentazione gioca un ruolo essenziale: una dieta equilibrata, ricca di antiossidanti e grassi sani, come pesce ricco di omega-3, frutta, verdura fresca, noci e semi, aiuta contrastare l’infiammazione cronica".

36 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views