In mezzo a tanti dubbi, che oggi hanno preso spunto da dati macroeconomici apparsi più deboli delle attese sia nel vecchio continente (andamento del Pil in Italia e in tutta Europa nel terzo trimestre) sia negli Usa (vendite al dettaglio salite a ottobre dello +0,1% contro attese di consenso pari a +0,4%, prezzi alla produzione calati sempre a ottobre dello 0,4% contro il previsto incremento dello 0,3%) ma che non dovrebbero far cambiare idea né alla Banca centrale europea, sempre più pronta già a inizio dicembre a ridurre i tassi o rafforzare il proprio programma di quantitative easing, né alla Federal Reserve, che al contrario li alzerà a metà dicembre, per l’Italia arriva nel pomeriggio una buona notizia.
Standard & Poor’s ha confermato il rating sovrano di lungo periodo sull’Italia a “BBB-” (ultimo livello considerato “investment grade”, sotto il quale il debito sarebbe considerato “junk”, cartaccia, e i tassi rischierebbero di aumentare nuovamente), segnalando che l’outlook resta stabile. Era importante che Standard & Poor’s, che a fine 2014 aveva limato di un “notch” il suo giudizio, lo confermasse perché si tratta del più basso tra quelli delle quattro agenzie seguite dalla Bce. Ma la cosa più interessante questa volta è venuta dalla motivazione: l’agenzie ritiene infatti che l’Italia si mantenga su un sentiero di moderata ripresa economica, con una crescita del Pil stimata pari all’1,3% annuo in media sia nel 2016 sia nel 2017.
Gli esperti americani sembrano dunque prevedere una ripresa più moderata ma continua di quanto non speri il governo, che per il prossimo anno prevede una crescita dell’1,6% e per quest’anno dello 0,9%, obiettivo che il +0,2% segnato dal Pil nel terzo trimestre mette seriamente a rischio visto che la variazione acquisita (ossia quella che si avrebbe a fine anno se in quest’ultimo trimestre la crescita fosse pari a zero) è pari allo 0,6%. Secondo gli analisti di Unicredit, che hanno subito commentato il dato, è pertanto “probabile che la crescita annua dello 0,9%, il target del Governo per il 2015, non si realizzi”, mentre sembrerebbe possibile “centrare il +0,8%, stimato da Unicredit per quest’anno”, anche se non è da escludere che ci si fermi a +0,7%.
In realtà che la ripresa fosse debole e a macchia di leopardo lo si poteva capire già dai dati relativi alla sola produzione industriale del terzo trimestre, diffusi pochi giorni fa dall’Istat, dai quali si poteva notare come a fronte di un incremento annuo dell’1,7% legato quasi interamente al settore della fabbricazione di mezzi di trasporto (+23,2%) e di coke e prodotti petroliferi raffinati (+12,3%) e molto più moderatamente di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+4,8%), gli altri settori avessero dato contributi prossimi o sotto lo zero, con la fabbricazione di macchinari e attrezzature (+0,3%), un tempo “fiore all’occhiello” dell’industria e dell’export italiano che sembra già risentire di un rallentamento degli ordini dall’estero (-2,6% è stato il dato mensile di settembre), in particolare dalla Cina.
C’è ben poco da fare: per il momento l’unico “treno” per la ripresa italiana si chiama Fiat Chrysler Automobiles e anche le nostre esportazioni sono legate a doppio filo al successo (o all’insuccesso) delle vendite di vetture prodotte negli impianti italiani ed esportate all’estero. In verità commentando il dato trimestrale l’Istat ha precisato, cosa che non era sfuggita agli esperti, che ad aiutare la ripresa questa volta è stata la domanda interna (e questo è certamente un bene visto la crisi attraversata in questi ultimi sette anni), mentre l’export ha fatto da “zavorra” (e questo è certamente un male). Ma le famose e finora alquanto fumose riforme strutturali del governo italiano?
Sempre Standard & Poor’s ha segnalato che l’outlook sul merito di credito sovrano dell’Italia è rimasto stabile proprio per le attese che il governo prosegua nella realizzazione di un “ampio piano di riforme strutturali e di bilancio”, potenzialmente favorevoli alla crescita e capaci di stabilizzare l’elevato debito pubblico italiano. Il bilancio di quanto realizzato resta comunque in chiaroscuro secondo gli esperti dell’agenzia, perché se la riforma del Senato (che deve ancora essere approvata in seconda lettura) e la riforma elettorale (ormai approvata) potrebbero “migliorare l’efficienza del processo legislativo” e le riforme del lavoro, della scuola e delle banche popolari paiono attestare la “determinazione” del governo Renzi “a realizzare il proprio programma di riforme”, altre come quella della Pa e della giustizia procedono lentamente e non sembrano poter subire un’accelerazione prima delle prossime elezioni politiche.
Ultimo ma non meno importante particolare, anche Standard & Poor’s ha notato che della spending review finora si è visto poco ed anzi essa è stata “significativamente e ripetutamente ridimensionata” mentre la prima bozza della Legge di Stabilità 2016 sembra indicare che il governo voglia rallentare il percorso di consolidamento fiscale. Questo, aggiungo io, significa che la poca crescita, ancora “a macchie di leopardo”, è di fatto finanziata a deficit, limitandosi per così dire a dare un calcio al barattolo sperando che la ripresa mondiale sia sufficientemente forte dal trarci tutti d’impiccio. Sperare non costa nulla, ma avere una chiara idea delle priorità e di come recuperare efficienza e credibilità agli occhi degli investitori italiani e mondiali sarebbe molto meglio, non solo per quanto attiene al rating sovrano ma anche per dare una prospettiva di ripresa al mercato del lavoro che vada oltre gli annunci propagandistici di questi mesi.