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Squinzi e la tana del Bianconiglio

Giorgio Squinzi ha ragione a chiedere una riforma del fisco che alleggerisca il peso che grava consentendo alle stesse di tornare ad investire. Ma è illusorio sperare che accada in misura rilevante e immediata, purtroppo.
A cura di Luca Spoldi
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Giorgio Squinzi si dispera e quasi grida disperato: occorre “ridurre il cuneo fiscale, al 53% nel 2012, eliminando il costo del lavoro dalla base imponibile Irap e tagliando di almeno 11 punti gli oneri sociali che gravano sulle imprese manifatturiere”. La proposta sarebbe pienamente condivisibile e certamente è meglio della favoletta propagandistica di una rimodulazione, chissà per chi, chissà per quanto, dell’Imu, presunta “imposta più odiata” usata come cavallo di battaglia elettorale da un Centrodestra che resta disperatamente appiattito sulla figura del suo “leader” Silvio Berlusconi, interessato unicamente a coprirsi le spalle, tramite un ampio sostegno popolare, dalle condanne giunte al termine di processi che lo stesso Berlusconi ha cercato per anni di insabbiare, allungare, sviare (in un modo che per quanto possa essere considerato “legittimo” dal suo proprio punto di vista, non è certamente quello che qualsiasi altro cittadino italiano avrebbe potuto utilizzare, minando così gravemente il concetto di “uguaglianza di fronte alla legge” che evidentemente in Italia lascia il posto al “ciascuno per sé e Dio per tutti”).

Sarebbe, ho detto, e non “è” in quanto sappiamo aimè che semplicemente è un sogno sperare che dall’oggi al domani si taglino di 11 punti percentuali degli oneri sociali che gravano sulle imprese. Il perché è presto detto: rifacendoci ai dati forniti dall’Eurostat nel suo Rapporto 2013 sui trend della tassazione nei paesi dell’Eurozona (che esamina il periodo dal 2000 a fine 2011, quando il peso del fisco era pari nel complesso dal 42,5% del Pil, dato salito ulteriormente lo scorso anno visto che il Pil è calato del 2,4% mentre le entrate fiscali sono salite del 2,8%) si nota come nel nostro paese la tassazione sia “spalmata” quasi equamente su tre grandi categorie di imposte. Le imposte dirette (Iva, accise e altre imposte sui consumi) pesavano a fine 2011 il 14,4% del Pil (e ammontavano in tutto a poco meno di 227 miliardi), le imposte dirette (sul reddito personale e d’impresa) ad un 14,6% ossia circa 233 miliardi di euro e infine i contributi sociali al 13,4% (211,5 miliardi).

Di questi ultimi quelli che ricadevano sulle imprese rappresentavano il 9,2% ossia 145 miliardi. Se si riferisce a questa voce Squinzi sta auspicando una riduzione di almeno 15 miliardi di euro, il che richiederebbe, non volendo/potendo fare nuovo debito, tagliare di altrettanto la spesa pubblica o, più probabilmente, incrementare altre imposte in modo tale da compensare la riduzione di gettito dalle imprese. Analizzando gli stessi dati di cui sopra l’Eurostat segnala che, per quanto riguarda in particolare il lavoro, le imposizioni e contributi sociali raccolti nel 2011 sono arrivati ad un totale di quasi 344 miliardi (il 21,8% del Pil) ovvero guardando alla sola quota che grava sulle aziende per rapporti di lavoro dipendente a 169,5 miliardi (il 10,7% del Pil). In questo caso l’11% di minori oneri sociali equivarrebbe a quasi 19 miliardi e di nuovo: come si coprirebbe il minor gettito, con tagli o con incrementi di altre imposte?

Se ricordate vi ho già fatto notare come l’Imu sulla prima casa su cui i partiti cercano di mantenere l’attenzione degli italiani per distrarli da questioni più serie ha raccolto circa 4 miliardi di euro dei 23,7 miliardi raccolti complessivamente. Ora: qualcuno di voi crede veramente che se non si riesca a trovare il modo di “coprire” il costo di una “manovrina” che potrebbe costare circa 4 miliardi di euro l’anno di entrate fiscali sarà più facile e immediato dare il via a una riforma fiscale vera, profonda e se vogliamo anche assolutamente necessaria che però ha il piccolo difetto di costare quattro volte tanto? Se lo credete auguri, avete scelto per la pillola blu, domani vi sveglierete in camera vostra e crederete a quello che vorrete. Altrimenti continuate a leggermi, scegliete la pillola rossa, restate nel paese delle meraviglie e provate a scoprirequant’è profonda la tana del bianconiglio”.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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