Come prima, peggio di prima verrebbe da dire. L'eterno ritorno delle angosce da spread in effetti sembra essere il fattore politico più incidente degli ultimi anni e dopo aver affossato la parabola di Silvio Berlusconi alla guida del Paese, si prepara a mietere un'altra vittima. Questa volta però non si tratta tanto del futuro a breve termine del Presidente del Consiglio, quanto della possibilità che gli italiani siano chiamati alle urne prima della scadenza naturale della legislatura. Una eventualità, esclusa più volte dai principali leader politici fino a qualche settimana fa, ma tornata prepotentemente alla ribaltà nelle ultime ore, non soltanto a causa della tremenda risalita dello spread.
In effetti ciò che angoscia i partiti è ben altro. E tutto parte da una considerazione quasi deprimente. Fuori di metafora, come scrive Luca Ricolfi sulla Stampa, "sono davvero pochi gli italiani che si rendono conto di quanto sia drammatico questo momento […] nessuno sa quanto è probabile che l'euro crolli o che lo Stato italiano fallisca e ci trascini tutti nel baratro. Però questa eventualità, che era decisamente remota fino a qualche tempo fa, ora non è più trascurabile. Può succedere". Può succedere, così come può succedere che ad affrontare il momento peggiore della crisi non siano gli attuali protagonisti della politica. Uno scenario che le stesse istituzioni europee giudicano "insostenibile", un salto nel buio che potrebbe esporre il Paese ad un vero e proprio dramma. Eppure, come ricorda Francesco Verderami su Repubblica, si tratta di un "timore fondato" e "sono i numeri a spiegarne il motivo: Pdl, Pd e Terzo Polo occupano attualmente l'85% dei seggi parlamentari, prima della Amministrative vantavano il 70% dei consensi, mentre oggi nei sondaggi arrivano appena al 55%. Il rischio insomma è che la strana maggioranza non sia più maggioranza la prossima primavera, ecco perché si è aperta la finestra elettorale di novembre, ecco cosa ha indotto Monti al gesto, ecco perché Napolitano ha posto delle condizioni ma non si è opposto".
Insomma, i partiti hanno paura. E restare altri mesi al traino di un Governo impopolare non sembra la migliore delle soluzioni. Anche dando per buona una autentica preoccupazione per le sorti del Paese, quell'assillo della responsabilità di cui su tutti è "vittima" il segretario democratico Bersani. Perché è abbastanza evidente che la legittimazione popolare non è qualcosa di cui un esecutivo chiamato a compiere (ancora) scelte durissime ed impopolari può fare a meno. Anche se "gli eventi" obbligassero a scegliere la continuità con il Governo attuale, con o senza Monti alla guida. Però serve una nuova legge elettorale e nessuno può pensare di andare al voto con il Porcellum, per una serie di ragioni fra cui la volontà di dar vita ad una grosse koalition "dopo" il voto e non "prima". Una legge elettorale che deve essere discussa nei prossimi giorni, pena l'impossibilità pratica di "utilizzarla" nella finestra di novembre. Con un accordo che è però ancora lontano anni luce: del resto (e purtroppo) prima che ai conti del Paese, questa politica pensa ai propri. Di conti, ovviamente.