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Vincenzo Santopadre: “Conosco Sinner, i tennisti che lo criticano hanno problemi di invidia e gelosia”

Vincenzo Santopadre, reduce dagli US Open vissuti dal vivo come opinionista per Supertennis, ha concesso una lunga intervista a Fanpage.it. Dal fastidio per le reazioni dei colleghi di Sinner per il caso doping, Kyrgios in testa, al grande ritorno di Berrettini.
A cura di Marco Beltrami
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Vincenzo Santopadre, ex tennista e stimato coach, ha riscosso un successo notevole raccontando gli US Open ai microfoni di Supertennis. L'attuale allenatore di Luca van Assche, è rimasto ulteriormente colpito da Jannik Sinner non solo dal punto di vista tecnico ma anche mentale. Bravo l'azzurro anche a reggere il peso della pressione per il caso Clostebol e i commenti di tanti colleghi, qualcuno dei quali andato assolutamente oltre le righe.

Santopadre, in esclusiva a Fanpage.it, ha parlato della crescita di Jannik e del lavoro del suo team, soffermandosi anche sui suoi detrattori. Un'occasione anche per sottolineare il suo rapporto "magico" con Matteo Berrettini, nonostante la separazione e raccontare la sua nuova esperienza professionale come coach del promettente giovane tennista francese.

Vincenzo, partiamo dal caso Sinner-Clostebol. Che idea ti sei fatto?
"Mi sono documentato su tutto il ‘misfatto' e c’era poco da criticare Sinner secondo me. Non ho le competenze o le esperienze per giudicare, però capisco che un minimo di preoccupazione ci sia perché non sai mai come va a finire, anche se tutto lascia presagire una conclusione positiva. Quando si chiuderà ci sarà un sollievo, perché un minimo di rischio c’è sempre".

Da addetto ai lavori e uomo di sport, ti hanno dato fastidio le prese di posizione anti-Sinner di diversi suoi colleghi?
"Mi ha dato molto fastidio perché conosco che tipo di persone sono quelle del team di Sinner, che tipo di valori hanno e poi conosco anche le persone che criticano. Hanno dei problemi di invidia, gelosia, poca conoscenza e scarso approfondimento delle cose. Vedo da una parte chi ha la mentalità pulita, propositiva e vincente, dall’altra chi come mentalità sbaglia un dritto e cerca le colpe nella racchetta o nelle corde. Loro criticano tutto senza mettersi mai in dubbio. Tutti quelli che hanno criticato o sono ignoranti nel senso che ignoravano la cosa, oppure hanno un difetto di forma e non di conoscenza. Quando non conosci devi tacere, sono estremo in questo. Tanta gente parla senza conoscere".

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Molto elegantemente non hai fatto nomi, ma ne faccio io uno: Kyrgios è decisamente andato oltre. Non credi?
"Parlando di lui non facciamo altro che dargli visibilità. Purtroppo questo ragazzo non è per niente un buon esempio, nonostante sia piacevole per tanti da vedere giocare. I giovani vanno tutti a vedere le sue partite perché può succedere sempre qualcosa e magari può risultare anche simpatico. Però ripeto che non è un buon esempio, di cultura sportiva, dedizione al lavoro, di classe, modestia, eleganza, semplicità, umiltà. Valori diversi dal saper fare la palla che torna indietro o l’ace di seconda a 300 km/h: questo non c’entra niente col saper giocare a tennis o far divertire in campo. Lui fa ridere perché scherza col pubblico e sa fare spettacolo. Ma bisogna crescere con valori diversi. A maggior ragione apprezzo Sinner: sono due poli contrapposti, quello che va visto con grande piacere e quello che va visto per sapere quello che non devi allenare, ovvero la cultura dell’ignoranza e della maleducazione sotto quell’aspetto".

A proposito di Jannik, c'è qualcosa che agli US Open ti ha stupito di lui, per quanto sia difficile anche ripetersi?
"Mi ha stupito il percorso della sua carriera oltre che quello agli US Open. Lui con estrema facilità brucia le tappe, non è dove arriva, ma il tempo che ci mette per farlo e il risolvere le problematiche per migliorarsi. Ha un’apertura mentale talmente importante che non viene contaminato da niente e nessuno. Le situazioni di difficoltà non attaccano con lui, ma durano il tempo di un istante. Questo mi continua a sorprendere perché magari prima o poi… e invece no, perché ha una mentalità che gli permetterà di essere sempre così".

È un aspetto che secondo te è genetico o si può allenare e migliorare?
"È un sistema il suo, è talentuoso sotto questo aspetto e lo allena quotidianamente. Quando va in campo, e lascia fuori le problematiche del doping, dei rapporti interpersonali, della gestione del team, la fidanzata, la popolarità, le conferenze. Lui ha questa parola tatuata nel suo DNA che è ‘miglioramento'. In tutte le partite ha affrontato più o meno situazioni di difficoltà, ma lui le ha sempre risolte in campo e la cosa mi ha sorpreso per l'immediatezza e la semplicità. Il gestire tutti i momenti del match a livello tattico: ha fatto quello che andava fatto, in un attimo. Una scaltrezza tattica che ricorda Djokovic: sotto questo aspetto Jannik è l’unico come Nole".

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A proposito del dualismo tra Sinner e Alcaraz, è cambiato qualcosa? Ci faranno divertire ancora a lungo?
"Penso che ci divertiremo ancora a lungo con loro due perché sono ragazzi con caratteri diversi, stili di gioco un po’ diversi e il dualismo spesso nasce dai contrasti. Contrasti che partono da un livello identico più o meno di forza. Magari uno può vincere l’anno prossimo due Slam e l'altro zero, ma non sono due livelli diversi. Sono loro ad essere lontani, con Djokovic, rispetto agli altri, ai vari Tsitsipas, Rune, Rublev, Medvedev e via discorrendo".

Parliamo di te: come sta andando il lavoro con Luca van Assche?
"È stata una stagione dove ci siamo dovuti conoscere, iniziare un lavoro e portarlo avanti, anche egregiamente. Perché ci vuole equilibrio con questi ragazzi che faticano ad averne, e hanno sempre fretta. Bisogna farli stare centrati per non perdere l’obiettivo che deve essere necessariamente quello del miglioramento. Ecco perché mi piace molto Jannik e il lavoro che fa col suo team, perché hanno questa filosofia volta a migliorarsi sempre. Un lavoro molto bello perché sono tornato a collaborare con un ragazzo giovane, e ho la possibilità di continuare a formarlo sotto tanti aspetti. Non si tratta di un giocatore bello e finito, con il quale lavorare solo sui dettagli. C’è un lavoro di mentalità che va sicuramente fortificato e allenato in maniera importante".

Come giudichi gli inizi di questa collaborazione? Quanto è stato difficile?
"Ha avuto momenti complicati per i risultati, dovuti a una tranquillità che deve riuscire a trovare. Per fortuna c’è tantissimo da lavorare, ma parliamo di un giocatore che a 20 anni è nei pressi della top 100 del mondo. Deve fare il suo percorso e credo che sarà bello. Mi sono trovato molto bene dal punto di vista della relazione con lui e credo sia il primo passo: quando passi tanto tempo insieme, si crea un buon feeling, è molto più semplice lavorare e credere l’uno nell’altro. Poi sicuramente in gara fa fatica a portare quello che esprime in allenamento, ma col lavoro mirato e di qualità non può che migliorare. L’importante è che la mentalità sia quella giusta e allenata".

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Sicuramente sei felice di vedere Matteo Berrettini ad alti livelli nuovamente dopo i tanti guai fisici. La separazione "tecnica" non ha rovinato il vostro legame fortissimo.
"Sono molto contento per Matteo perché c’è un rapporto che il tempo ha dimostrato andare oltre quello lavorativo. Se così fosse non ci saremmo sentiti più. Sono felice perché so quanto lui fosse in affanno e in difficoltà e anche perché so quanto ha lavorato e quanto ci teneva. Perché penso che la cosa che ogni persona che ti vuole bene vuole per te è vederti felice, sereno, e col sorriso sulle labbra. Mi fa piacere rivedere il Matteo che so di aver vissuto, perché questi momenti comunque fanno parte del percorso della vita, con le difficoltà da superare. Rivederlo così è gioia pura. Sono convinto che per il Matteo tennista e il Matteo persona, dopo 13 anni insieme, io continuo ad esserci per lui e lui continua ad esserci per me. È una cosa reciproca e so che lui è contento se io sono contento e se il mio lavoro con Luca procede bene e ottiene risultati. So di avere un tifoso".

Chiudiamo con la tua ultima avventura su Supertennis come commentatore degli US Open, rivelatasi un successo. Quanto ti sei divertito?
"L’avevo già fatto tanti anni fa e mi ero divertito. L’ho rifatto, con il ricordo di quel piacere e con curiosità. Devo dire che sono stato contento di accorgermi che è aumentato il piacere del farlo. Con il passare degli anni so apprezzare molto di più ogni cosa e ho avuto tanti riscontri positivi di amici o di gente che ho visto al circolo. Un mio amico doppiatore mi ha dato un paio di consigli e sono contento che sia arrivata quella che è la mia interpretazione, ossia che il tennis è un gioco e bisogna dargli il peso specifico più corretto possibile. Bisogna viverlo con quella leggerezza necessaria che non impedisce però di approfondire la materia, sennò uno scambia leggerezza per superficialità, andando anche in fondo alle tematiche di lettura della partita, dal punto di vista tattico e mentale.

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Insomma, ti sei sentito perfettamente a tuo agio.
"A me piace molto e può aiutare chi la vede, il riuscire a farla vivere in maniera semplice ma partecipe. Mi hanno detto in tanti che sono riuscito a farli appassionare e chiarire delle idee con cose che loro non sono abituati a vedere. Non avevo studiato a tavolino, ma ho messo in campo me stesso ed era come se parlassi con un mio amico che magari è meno esperto di me di tennis perché fa altro di lavoro. È stato come vedere una partita dalla panchina e chiacchierarne. Per me non c’era il fatto della televisione o dell’appassionato da istruire perché io non faccio il professore, faccio quello che sta insieme a qualcuno che non è esperto e gli dico quello che vedo, semplice".

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