Vavassori: “Con Shelton è finita, mi ha preso in giro. Agli altri sta bene che Sinner stia fuori”

Andrea Vavassori è un campione Slam, grazie al successo agli US Open di doppio misto con Sara Errani, ma soprattutto è un ragazzo pulito che ha sempre vissuto lo sport e il tennis nel modo più sano anche grazie ad una famiglia di sportivi. Doppista di livello assoluto, capace di vincere 9 titoli e di raggiungere 3 finali di un Major (2 Australian Open e un Roland Garros), con il trionfo nella Coppa Davis 2024, si è tolto qualche soddisfazione anche a livello di singolare.
Vavassori, seguito da sempre dal papà (e maestro) Davide, oggi condivide il campo oltre che con il “gemello” Bolelli anche con il fratello Matteo. Andrea è uno che non si tira mai indietro, neanche davanti al microfono. Nessuna ipocrisia e dichiarazioni sempre sincere e dritte al punto. A Fanpage, ha affrontato diversi argomenti partendo dall’infortunio rimediato a causa di una pallinata di Shelton, passando poi alla stima per Sinner. Un’occasione importante anche per spiegare alcuni aspetti del doppio e dare un’idea di quanto sia difficile la vita del tennista.
Andrea, come procede il recupero dall'infortunio per la pallinata di Shelton?
"Ho avuto questa infrazione alla costola, di un millimetro. Niente di grave, ma devo stare una decina di giorni senza giocare. Meglio non farlo sopra il dolore perché si allungherebbero i tempi di recupero. Fino a quando non si forma il callo osseo devo lasciargli il tempo di sfiammarsi. Mi dà fastidio soprattutto al servizio. Nei giorni precedenti alla botta avevo preso un Brufen per un fastidio al gomito, mi ha aiutato a coprire il dolore. Era un condizionamento più che altro a livello mentale, perché mi sono reso conto di essermi fatto male".
Con Shelton la cosa è finita lì, con quella battuta di cattivo gusto?
"Con Shelton penso sia finita lì, anche per il futuro. In generale (ride, ndr). Non mi è piaciuto come si è comportato. Poi dipende da lui, se viene e chiede scusa dopo avermi preso in giro per avermi causato un’infrazione costale… Sono uno che perdona sempre, posso dimenticarmi le cose anche subito. Se invece lui non fa un passo, di certo non lo faccio io".
Qual è la cosa che ti ha dato più fastidio? Mi pare di capire che non sia stato il colpo.
"Non sono assolutamente un doppista che dice che non devi tirarmi addosso, però io gli ho detto: ‘Fai attenzione quando tiri così forte, da così vicino. Puoi far male. E mi hai fatto male, qualcosa alla costola sicuramente'. Ero incavolato per essermi infortunato e riguardando il video mi è spiaciuto che mi abbia schernito. Praticamente mi ha fatto male e mi ha preso anche in giro".
Tirare al corpo nel doppio (e non solo) fa parte del gioco.
"Non è che non tiro addosso, se posso evitare di cercare il corpo evito volentieri. Ma se lo fai non prendermi in giro, mi chiedi scusa e stop. Se devo spezzare una lancia a suo favore, forse non si era reso conto che mi fossi fatto male, perché io non ho fatto pensare in nessun modo che mi fossi infortunato. Me la sono presa, ma non è che ho detto chissà cosa. Non mi è piaciuto neanche l'atteggiamento di Bopanna e quando ne avrò l'occasione con lui parlerò a tu per tu".
La vostra è una famiglia che vive di sport, quanto ti ha aiutato?
"Posso parlare per me. A me ha aiutato tantissimo, ho fatto un percorso molto normale rispetto ad altri. Quand’ero piccolino non ero un talento, non ero sicuro di sfondare. Mi sono fatto la mia gavetta, con i tornei regionali, non ho fatto un’attività junior sostenuta perché andavo al liceo. La mia famiglia mi è stata molto vicino, anche i soldi da investire non erano tantissimi perché mio padre era maestro di tennis full-time e mia madre lavorava part-time e si occupava di casa, famiglia, ecc. I primi anni sono tosti ma è stato un bel percorso. Adesso, arrivato a questo punto, con questa classifica, me lo godo anche di più dopo periodi tosti".
Insomma, tanta fatica per arrivare in cima e ora il panorama è più bello.
"È stato un percorso lungo anni, e solo dopo il liceo ho intrapreso l’attività professionistica con Futures, Challenger. Il doppio mi ha sicuramente aiutato a bruciare le tappe e così sono arrivati i tornei ATP. Appena ho avuto soldi da investire, ho deciso di portare il team insieme a me. All’inizio viaggiava mio padre, poi Davide Della Tommasina e solo di recente si sono uniti a noi anche il preparatore atletico e il fisioterapista. Questo è sicuramente molto importante. Adesso c’è anche il percorso di mio fratello che sta cominciando, spero di poterlo aiutare".
Com'è giocare il doppio insieme?
"Io ho 29 anni, mia sorella 27 e mio fratello 20. Lui è il più piccolino. In doppio vale già una classifica superiore e secondo me è già avanti, mentre nel singolo sta iniziando adesso a fare esperienza. Sono il fratello maggiore e mi sento responsabilizzato quando gioco con lui, perché lavoro su me stesso e c’è un pochino di pressione che devo gestire al meglio. A Minorca ha giocato molto bene ed ero contento per quella settimana".
Se dovessi spiegare a un bambino la difficoltà, ma anche la bellezza del doppio, cosa diresti?
"La cosa più bella del doppio è che in uno sport fortemente solitario c’è la possibilità di condividere un percorso con una persona che può diventare un grande amico. Prima di tutto è importante costruire un rapporto di amicizia col proprio compagno. Una programmazione insieme di un anno è lunga, anche perché l’obiettivo è quello di entrare nel Masters insieme perché si gioca sulla Race".
Tu e Simone Bolelli siete ormai a dir poco rodati, non solo in campo. Quanto lavoro e fatica ci sono dietro il vostro percorso?
"Ho avuto la fortuna di incontrare Simone e conoscerlo meglio. Siamo diventati molto amici. Giocare insieme, vincere e perdere insieme è una bella cosa. Il singolo non ti dà queste cose, perché vinci da solo. Poi è un gioco diverso e devi avere altre peculiarità rispetto al singolo. Ormai il doppio è molto focalizzato su servizio, risposta e gioco di volo. È anche molto studio, perché devi studiare schemi e avversari quasi più che nel singolo. Lì c’è un rivale su cui puoi imporre il tuo gioco, mentre nel doppio è importante sapere punti forti e deboli di tutti. Per esempio sul punto secco è importante sapere dove devi servire: 2-3 punti possono cambiare l'esito delle partite e devi farti trovare preparato".
Tra l'altro, bisogna essere sempre positivi anche quando il proprio compagno magari sbaglia e non è facilissimo.
"Ho imparato a dar peso a quello che posso gestire io, senza farmi il sangue amaro su cose che non posso cambiare. Quando gioco con Simone è normale che ci siano partite in cui gioco meglio io e altre in cui gioca meglio lui e dove o io o lui facciamo la differenza. L’importante è far sentire il proprio sostegno e dare sempre la giusta carica. La cosa bella della nostra partnership è che non ci sono mai state litigate o screzi: abbiamo sempre gioito delle vittorie, prendendo in maniera giusta la sconfitta, e ne abbiamo prese anche di pesanti. Bisogna sapere accettare e continuare a lavorare per migliorare insieme senza fermarsi mai ai risultati, ma focalizzandosi sul percorso".
In Coppa Davis Volandri ha preferito puntare su due singolaristi top come Sinner e Berrettini, piuttosto che su una coppia di doppisti eccezionale. Scelta sempre difficile, vero?
"È sempre molto soggettivo. Se parli con un singolarista ti dice una cosa, se parli con un doppista ne dice un’altra. La scelta in quell’occasione è stata del capitano (Volandri, ndr) e il peso se l’è preso lui. Alla fine ha avuto ragione perché Jannik e Matteo hanno fatto un gran doppio. Noi abbiamo la fortuna di avere il numero uno del mondo, che tra l’altro è in grado di giocare il doppio molto bene, quindi è una scelta che va benissimo. Poi Matteo ha giocato alla grande perché ha avuto fiducia dal singolare. La cosa brutta del nostro sport è che se avessero perso, ci sarebbe stata una polemica incredibile. Hanno vinto ed è andato tutto bene. Sarebbe stato uguale se avessimo giocato noi".

Quello che è certo, comunque, è che non è detto che singolaristi top siano anche dei doppisti performanti.
"L’equilibrio è sottile e i complimenti si fanno solo in base alle vittorie e alle sconfitte. Ci sono giocatori singolaristi che si adattano bene al doppio, come Jannik che serve e risponde benissimo e da fondo è il più solido di tutti, oltre che forte mentalmente. Ma non sono tutti così i top 10: penso a Jannik e Alcaraz per il doppio, ma altri singolaristi lo giocano male. Sembra quasi strano che singolaristi forti non siano in grado di replicare in doppio".
Tu hai dimostrato in più di un'occasione di essere sempre molto diretto anche nelle dichiarazioni. Oggi non pensi che qualcuno esageri spesso nelle critiche?
"Cerco sempre di essere rispettoso di tutti ma a volte non ce la faccio a stare zitto e quando penso delle cose devo dire la mia opinione, questo l’ho preso da mio padre. La cosa giusta che hai detto è che prima si leggevano solo gli articoli o i commenti dei giornalisti specializzati, magari sui quotidiani, ora invece ognuno può farsi sentire anche sui social con messaggi privati, commenti, raggiungendo determinati professionisti. C’è anche la piaga delle scommesse che è venuta fuori negli ultimi anni e che sfocia in un odio ingiustificato. La vita del giocatore è difficile, tra viaggi, cose varie. Alla fine il tennista di base è un perdente perché sono pochi quelli che vincono".
Agganciandoci a questo, quanto è difficile la vita di un tennista di alto livello?
"La vita del tennista, come tutti, ha tanti aspetti negativi e altrettanti positivi. Abbiamo uno stile di vita privilegiato perché viaggiamo nel mondo e se riesci ad arrivare ad un certo livello di classifica guadagni bei soldi. Se volessimo paragonarlo ad altri sport è molto duro, perché viaggiamo ogni settimana, facciamo fronte alle spese dei team da soli, perché quelli che guadagnano bene sono pochi rispetto a chi gioca. A livello Challenger sono quasi più le spese che i guadagni. Poi appunto ci sono gli infortuni e non ti puoi sostenere perché non puoi giocare. Insomma ci sono tante cose che alla lunga sono toste da gestire".

Poi c'è l'antidoping e la necessità/obbligo di essere sempre reperibili.
"Ho un aneddoto simpatico, perché mi sono spostato in una casa nuova a novembre e non ho ancora il campanello. Nel programma per l’anti-doping ho chiesto che mi chiamino in caso di controllo. Ho scoperto stamane che posso farlo solo negli ultimi cinque minuti dell’ora che tu inserisci per la visita. Questo signore quindi bussava a più riprese e io ero in camera da letto. Siccome stanno facendo dei lavori in casa pensavo stessero martellando. Mi sono alzato per andare in bagno e quando ho aperto la porta avevo già fatto la pipi. Quindi ho dovuto bere due tè, acqua e lui ha dovuto aspettare. Era un signore molto gentile e ci ho messo un’ora e mezza per fare tutto, tra esame del sangue e urine. Poi sono andato in palestra".
Un impegno costante, che ti vincola e non poco.
"A parte quando giochiamo i tornei, dobbiamo sempre dire dove siamo e dare un’ora di reperibilità al giorno in modo che possano venire. Io do sempre la mattina così poi passano e io poi sono libero".
Perché tu hai deciso di insistere sul doppio, più che sul singolare?
"Un argomento delicato perché è stato un divenire di situazioni. Nel doppio ho bruciato le tappe rispetto al singolo, però mi ha sempre aiutato a migliorare fiducia e gioco. C’è stato un momento, quattro anni fa, in cui stavo privilegiando il doppio e la mia classifica di singolo stava scendendo. Poi di colpo ho fatto risultati buoni che mi hanno permesso di fare le qualificazioni Slam, così sono riuscito a riagganciarmi al singolo. Mi sono qualificato a Wimbledon e al Roland Garros, ma facendo i Challenger di doppio riuscivo di fatto a giocare entrambi. L’anno scorso, quando ero 130 in singolo e 50 in doppio, abbiamo fatto la finale in Australia con Simone ed è cambiato tutto, perché ci siamo ritrovati top 10. Con i risultati che abbiamo fatto ho messo da parte il singolo. I miei obiettivi erano quelli di arrivare alle Finals di Torino, giocare la Davis e le Olimpiadi. Sono riuscito a centrarli tutti, ma il singolare è rimasto un po’ indietro".
In singolare ti sei tolto comunque soddisfazioni, come quella di impensierire per ben due volte Alcaraz. Cosa ci dici di Carlitos?
"Carlos è uno di quelli che mi piace di più tra i top del circuito. Con Jannik c’è un bel rapporto perché l’ho conosciuto a livello personale anche in Davis. Alcaraz lo conosco dai tempi in cui giocava i Challenger, quando lui ha iniziato, e in un paio di occasioni abbiamo approfondito la conoscenza. Ho avuto la possibilità di sfidarlo ed è una persona molto positiva e solare, con un grande team dietro. Per come lo vedo io, che faccio sempre attenzione a salutare, lui saluta sempre tutti quando arriva al circolo. Sono quelle piccole cose che fanno piacere, rendono l'idea della semplicità e grandezza di una persona".
Su Sinner, invece, tu sei stato uno dei primi ad esporti su di lui, manifestando sostegno per il caso Clostebol. Che atmosfera si respira nel circuito, anche considerando questo periodo di sua assenza?
"Alla fine, considerando anche quello che mi è successo nei giorni scorsi (il colpo ricevuto da Shelton, ndr), il tennis è uno sport fortemente individualista e ognuno pensa a se stesso. È brutto da dire ma se uno come Jannik sta fuori dal circuito agli altri sta bene, è così. Molti hanno detto delle cose pensando a questo. Non voglio fare polemica, a me faceva solo piacere stare dalla sua parte e fare sentire il mio sostegno. Penso che lui si sia dimostrato in molte occasioni una persona super positiva. E anche verso di noi ha fatto dei gesti che mi hanno fatto molto piacere. Volevo restituirgli qualcosa e garantirgli il mio sostegno".

Com'è il vostro rapporto? Vi sentite spesso?
"Alla fine la stampa vorrebbe che fossimo tutti super amici. C’è grande rispetto tra di noi, ma con Jannik non sono cresciuto insieme e dal punto di vista personale non posso dire di essere un amico stretto. L’ho conosciuto bene in Davis, ma ho più rapporto di amicizia con le persone con cui sono cresciuto. Ho grande rispetto per lui e penso che quella sia una delle cose più importanti. Mi ha impressionato in Davis come atleta e come persona, e quindi è un bell’esempio per le generazioni che crescono in Italia. È quello che tutti vogliamo lasciare, un bell’esempio per chi ci guarda. Sento grande sostegno e questa è la cosa più bella"
Cosa ti porti dietro del trionfo in Davis, un momento che non dimenticherai mai?
"Porto nel cuore il momento in cui Jannik stava giocando l’ultimo game contro Griekspoor. Era 7-6, 5-2 e ha iniziato il turno in battuta, c’era silenzio sulla panchina e io mi sono messo a piangere pensando al percorso che ho fatto per arrivare lì, mi è tornato tutto davanti. Poi ho guardato mio padre, anche lui anche lui era con le lacrime. È stato come dire: ‘Ce l’abbiamo fatta'. Anche con Simone Bolelli, ci siamo messi un braccio dietro le spalle e ci siamo messi a piangere. È stato un bel momento. C'era un gran clima tra di noi, con tutti, Muso, Jannik e anche gli altri. Una bella storia".