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Vagnozzi racconta la segretezza di Sinner positivo al doping: “Non potevamo parlarne con nessuno”

Il coach di Jannik Sinner, Simone Vagnozzi, racconta i mesi difficili del processo per doping del campione azzurro. Nessuno sapeva nulla della sua positività dello scorso marzo e di quello che ne poteva conseguire: “È stata una situazione complicata, non potevamo parlarne con nessuno al di fuori del team”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Ancora qualche giorno di attesa e Jannik Sinner potrà godersi senza più alcuna ombra la vittoria nello US Open, il secondo Slam stagionale portato a casa dopo l'Australian Open. Il dominatore del tennis mondiale è ancora sotto la spada di Damocle del possibile ricorso della WADA al TAS di Losanna: l'Agenzia Mondiale Antidoping ha ancora un po' di tempo per poterlo fare, visto che il termine ultimo di 21 giorni si conta dal giorno in cui ha ricevuto la documentazione completa dall'ITIA e non dal 19 agosto, ovvero dalla data della sentenza di proscioglimento di Sinner dalle accuse di doping dopo la doppia positività al Clostebol dello scorso marzo. Fu proprio quel giorno che tutto il mondo apprese di quei due test falliti da Jannik ed oggi il suo coach Simone Vagnozzi racconta come in pochissimi erano a conoscenza in questi mesi della vicenda e del processo in corso.

Vagnozzi racconta i mesi del processo: "Non potevamo parlarne con nessuno al di fuori del team"

"È stata una situazione complicata: non potevamo parlarne con nessuno al di fuori del team, è stata una prima volta per tutti – spiega Vagnozzi al Corriere dello Sport – Io e Darren (Cahill, l'altro coach, ndr) dovevamo capire i momenti cercando di aiutarlo quando possibile. Se in genere si pensa due o tre volte prima di esprimere un concetto, in quei mesi era necessario farlo anche dieci volte. Abbiamo provato a farlo vivere al meglio, con meno pensieri negativi in testa. In quei mesi complicati abbiamo cercato di fare la nostra parte, parlando il meno possibile con Jannik della vicenda doping se non per il minimo indispensabile. L'obiettivo era concentrarci sul lavoro. Noi abbiamo fatto il nostro, ma il grande merito è stato di Jannik perché alla fine ad andare in campo è lui. Non avere alcuna colpa ed esserne cosciente è stato l'aspetto più importante per superare quel lungo e complicato periodo. È stata una montagna russa di emozioni, ma il modo in cui l'ha affrontata a 23 anni è stato eccezionale. La forza mentale di Jannik è semplicemente incredibile".

Simone Vagnozzi con Jannik Sinner e Darren Cahill dopo la vittoria nello US Open
Simone Vagnozzi con Jannik Sinner e Darren Cahill dopo la vittoria nello US Open

Vagnozzi, che lavora con il campione azzurro dal febbraio del 2022 dopo l'addio con Riccardo Piatti, minimizza poi gli attacchi di quelli come Kyrgios che si sono schierati apertamente contro Sinner nella vicenda doping: "Jannik non ha subìto troppo gli attacchi da parte dei colleghi – devo dire pochi, tre o quattro – Non si possono controllare le persone, bisogna andare dritti per la propria strada. Tutti sanno che ragazzo sia Jannik e comunque bastava leggere le carte per comprendere l'accaduto".

Il ruolo del mental coach: l'esempio dello scalatore

Fondamentale nella cavalcata vincente dello US Open è stato il contributo dato dal mental coach di Sinner: "Abbiamo analizzato match dopo match. Riccardo Ceccarelli usa sempre l'esempio dello scalatore. Bisogna concentrarsi sempre su dove mettere la mano e poi di nuovo il piede, perché se guardi la cima rischi di cadere. Sapevamo che Alcaraz e Djokovic erano stati eliminati, ma eravamo anche consapevoli delle tante insidie". Una scalata conclusasi piazzando la bandiera italiana a Flushing Meadows: "A New York abbiamo vissuto un senso di liberazione a causa di tutto ciò che era accaduto", è la frase di Vagnozzi che dà il senso delle fortissime emozioni provate quando Jannik ha vinto l'ultimo punto della finale con Fritz.

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