Sinner non aveva capito: “Alex al telefono mi fa ‘no Jannik, sei positivo al doping’. Buio totale”
"Non vorrei che qualcuno passasse quello che ho passato io. È davvero dura": comincia così il racconto di Jannik Sinner sui giorni più bui dell'ultimo anno, quelli che lo hanno visto coinvolto all'interno del caso doping. In un attimo tutto è crollato e il numero 1 del ranking è caduto nel suo incubo peggiore, quello di perdere tutto ciò che con sudore e fatica aveva conquistato in campo. Sono state settimane durissime per l'italiano che dopo la grande ascesa nel mondo del tennis ha dovuto fare i conti anche con le sue ombre.
In una lunga intervista concessa a Esquire UK Sinner ha spiegato per la prima volta nel dettaglio come ha saputo di essere al centro di un'indagine per doping. Per lui è stato un colpo inaspettato, con la telefonata del suo manager che all'inizio era stata addirittura fraintesa. Per l'italiano è stato un periodo complesso e alla vigilia dell'esordio alle ATP Finals di Torino ha voluto raccontare cosa c'è stato dietro alla facciata del campione.
La telefonata del manager e la positività
Tutto è cominciato mentre il tennista si trovava nella sua casa di Montecarlo. La vita per lui scorreva tranquilla finché una telefonata non lo ha gettato nello sconforto più totale: "Ero nel mio appartamento a Montecarlo. Alex (Vittur, manager di Sinner ndr) mi chiama e mi dice: ‘Jannik, sei positivo' e io gli rispondo: ‘Sì, Alex, Sono sempre positivo'. ‘No, sei positivo al doping'. Ho avuto un momento di buio totale. Non sapevo cosa dire. Non mi usciva nulla".
Sinner non si sarebbe mai aspettato una notizia simile ed è rimasto attonito, in balia degli eventi. Ancora oggi non riesce a dare una spiegazione a ciò che è accaduto: "Ho cercato subito di capire come fosse potuto accadere, perché non avevo fatto assolutamente nulla. Non volevo nemmeno crederci. Mi sono sentito perso. Ancora ancora oggi non lo capisco".
Le difficoltà di Sinner
Per lui sono state settimane davvero complicate, anche perché la situazione lo ha costretto a chiudersi in sé stesso senza poter cercare l'appoggio esterno o anche soltanto un volto amico al quale affidare le sue confidenze. Era da solo davanti a un'accusa enorme che avrebbe potuto distruggergli la carriera: "È stato un periodo difficile, non potevo parlarne con nessuno. Non potevo sfogarmi o chiedere aiuto. Tutte le persone che mi conoscevano e mi guardavano giocare capivano che che c'era qualcosa di sbagliato in me. Notti insonni, perché anche se sei certo della tua innocenza, sai che queste cose sono complesse. Tutti hanno detto subito la verità e questo mi ha permesso di giocare".
L'angoscia che si portava dentro si rispecchiava anche in campo. Non era più brillante come al solito e anche il rapporto con il suo pubblico era cambiato perché sospettava di tutti: "A Wimbledon, in campo, ero bianco e avevo paura. E anche dopo, il mio sentimento nei confronti della gente era paura. Andai ad allenarmi nella in un club di Cincinnati e pensavo: ‘Come mi guardano? Cosa pensano veramente di me?' Ho capito chi sono i miei veri amici".
La crescita personale
Il 20 agosto Sinner era stato prosciolto per il caso Clostebol ma a settembre la WADA ha fatto ricorso e adesso il tennista e tutto il suo team dovranno aspettare nuove notizie, anche se sa già a cosa andrà incontro. Nonostante tutto il numero 1 al mondo non ha perso colpi, continua a macinare vittorie e a togliersi grandi soddisfazioni in campo. In che modo? "Accettando me stesso. Sono maturato, mi capisco di più. Può sembrare sciocco, ma conoscere se stessi è fondamentale. Ci ho lavorato molto con Riccardo Ceccarelli (il suo psicologo sportivo ndr). A volte perdevo le partite perché spendevo tante energie: sono iniziati i crampi, il disagio. Ma quando ho iniziato ad ammettere di aver sbagliato, ho fatto piccoli passi avanti. Nel gioco, per me è più facile: dimentico l'errore errore con facilità. In allenamento, invece, cerco subito di migliorare. Questo è sbagliato".