“Quando si parla di Peng Shuai, in TV mostrano questo”: in Cina c’è un buco nero
#WhereIsPengShuai, dov'è Peng Shuai? Che fine ha fatto questa donna rimasta invischiata in una vicenda più grande di lei, che in una sera di inizio novembre ha deciso di compiere un atto che sapeva avrebbe travolto la sua esistenza ficcandola in una situazione di non ritorno? Questa e tante altre domande affollano in queste ore di angoscia le teste e i cuori di chi in tutto il mondo sta twittando a più non posso quell'hashtag quasi disperato, temendo che la 35enne campionessa di tennis possa aver pagato a caro prezzo la sua denuncia di violenza sessuale subita da parte dell'ex vice premier cinese Zhang Ghaoli.
Dopo le parole di Novak Djokovic e il post di Naomi Osaka (il cui profilo è subito stato bannato in Cina), sono arrivati i tweet di Serena Williams, Andy Murray, Gabriela Sabatini e tantissimi altri. La campagna di mobilitazione affinché non si spengano i riflettori sulla vicenda è una marea montante che cresce di ora in ora ed approda alle massime istituzioni non solo sportive. Se la WTA ha preso posizione decisa e sembra intenzionata ad arrivare fino alla misura estrema del boicottaggio della Cina – togliendole la decina di tornei, incluse le Finals, già programmati per il 2022 – adesso scende in campo anche l'ONU, per bocca della portavoce dell'Ufficio per i Diritti Umani, Liz Throssell: "Sarebbe importante avere la prova che Peng Shuai sta bene e inoltre vorremmo che ci fosse un'indagine trasparente sulle sue accuse di violenza sessuale".
Nessuno crede che la tennista, ex numero uno al mondo di doppio e 14 del singolare, stia riposando a casa e che vada tutto bene, per citare le parole della sua presunta email inviata al CEO della WTA Steve Simon e il cui screenshot è stato mostrato da un network cinese controllato dal partito comunista. Una email che appare artefatta e i cui toni sono molto simili ad altre ritrattazioni attribuiti in passato a dissidenti politici, secondo un triste e al tempo stesso spaventoso copione che sembra ripetersi. Nessuno crede che Peng Shuai possa aver smentito in maniera così burocratica e fredda quegli abusi raccontati in maniera molto passionale e con tanti particolari nel suo lunghissimo post su Weibo, rimosso dopo neanche mezzora, dove ha scoperchiato il calderone di una relazione extraconiugale col potente politico che andava avanti da anni. L'unica cosa certa è che da quel 2 novembre la 35enne è letteralmente sparita, inghiottita in un buco nero che la Cina sembra intenzionata a mantenere tale.
Nelle scorse ore si è palesato su Twitter Hu Xijin, direttore del Global Times, tabloid di pura propaganda dedicato alle questioni internazionali, anch'esso ovviamente controllato dal partito comunista, il quale ha ribadito l'estraneità dell'apparato cinese alla sorte della tennista: "Come persona che ha familiarità con il sistema cinese – ha premesso – non credo che Peng Shuai abbia ricevuto le ritorsioni e repressioni ipotizzate dai media stranieri per le cose di cui si parlava". Dove per "le cose di cui si parlava" si intende quello stupro che neanche intende nominare. Sotto il suo post, peraltro, gli ha risposto un cinese che vive negli Stati Uniti e quindi può far arrivare la sua voce al mondo senza censure, disegnando uno scenario cupo che non fa che accrescere le paure: "I miei account social (in Cina, ndr) sono stati bloccati dalla censura di Internet per aver discusso di Peng Shuai, un argomento ad alto rischio. I nomi di Zhang Gaoli e Peng Shuai non possono essere pronunciati per intero, altrimenti il dipartimento di sicurezza di stato verrà a cercarti".
Un muro di gomma, una voragine di nulla, una donna la cui esistenza è stata cancellata. Peng Shuai "sta solo riposando a casa", ma è davvero difficile crederlo, dopo che aveva scritto, alla fine del suo post rivolto all'amante che prima l'aveva violentata, poi fatta diventare sua concubina per tre anni ed infine trattata come un oggetto da buttare via: "Non importa se sto colpendo una roccia con un uovo o se sono una falena che vola verso la fiamma, io sto dicendo la verità su quello che è successo tra noi". Sono le parole di una donna fragile che prende la disperazione a due mani e la trasforma in atto d'accusa durissimo che sa che la rovinerà.
La censura cinese è stata velocissima dopo quelle parole: il messaggio è sparito dopo pochi minuti, non prima tuttavia che qualcuno ne salvasse lo screenshot e poi lo diffondesse, il profilo su Weibo della tennista cancellato e poi riattivato ma senza la possibilità di commentare i post, i nomi incriminati resi non citabili in alcuna conversazione visto che se si prova a farlo compare un messaggio di errore (oltre ai rischi di essere tracciati dalla polizia), il portavoce del Ministero degli Esteri a eludere qualsiasi domanda rispondendo come un disco rotto che "non è una questione pertinente". Un muro di gomma e una negazione di qualsiasi accusa all'estero, che diventano cancellazione totale all'interno dei confini nazionali, dove avere notizie sulla vicenda o parlarne è praticamente impossibile, visto che per i media non esiste e i social network come abbiamo visto sono controllatissimi. Bisogna quindi seguire percorsi alternativi che sul web richiedono conoscenza di manovre avanzate per aggirare la censura, a cominciare da una buona VPN.
Il livello di occultamento di quanto accade o viene riportato nel resto del mondo, è dimostrato da cosa succede in questi ultimi giorni al segnale televisivo della CNN diffuso in Cina: "Ogni volta che la CNN copre questa storia, il governo cinese blocca il segnale", ha detto il corrispondente da Taipei del network statunitense. Al posto del servizio sulla vicenda va in onda un segnale fisso con delle barre colorate e con una scritta: "CNN China Live Feed". E torna quella domanda: dov'è Peng Shuai?