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Pistolesi racconta l’unicità di Nadal: “A 14 anni giocò con la racchetta rotta, lezione di mentalità”

Claudio Pistolesi, colonna del tennis italiano ai microfoni di Fanpage ha raccontato un intrigante episodio su Nadal, parlando anche di Sinner e del loro primo incontro.
A cura di Marco Beltrami
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Il tennis è il pane quotidiano di Claudio Pistolesi, vera e propria colonna del mondo della racchetta. Un passato da tennista, che gli ha permesso di vincere il prestigioso Orange Bowl oltre al torneo di Bari (più giovane azzurro a vincere un titolo sulla terra rossa), gli Assoluti italiani e di issarsi fino alla 71a posizione del ranking.

Un’esperienza che gli è tornata utile anche nella sua seconda vita da coach, al seguito dell’ex numero uno al mondo Monica Seles, di Davide Sanguinetti, Simone Bolelli, Soderling, Copil e Hantuchova. Più volte rappresentante dei coach nel Players Council dell’ATP, gestisce ora la Claudio Pistolesi Enterprise negli USA, che gli permette di coltivare giovani talenti.

Ai microfoni di Fanpage, Pistolesi ha parlato del tennis attuale molto diverso rispetto a quello del passato, soffermandosi anche su Federer, Djokovic e Nadal oggetto del suo nuovo libro e soprattutto su Jannik Sinner.

Claudio il tuo libro s'intitola "C'era una volta il (mio) tennis", pensi che questo sport sia così cambiato rispetto al passato?
"A parte il naturale progresso tecnico, legato alle racchette, agli aspetti più scientifici, alla preparazione fisica, i tennisti oggi sono morfologicamente diversi, in media molto più alti e slanciati. C'è meno necessità di sollevare pesi e noi in questo abbiamo fatto un po’ da cavia. La grande differenza sono le emozioni, ne parlo nel mio libro. Erano la cosa più importante, venivano prima dei soldi, prima di tutto. Uno giocava perché era emozionante, una sfida. Anche quelle negative, erano forti: quando si perdeva ovviamente si rimaneva male, ma subito si pensava a riorganizzarsi per la rivincita. C’era grande goliardia, e amicizia tra i giocatori. In campo ci si ‘scannava' ma poi c’era un rispetto reciproco per tutta la vita. Quando mi rivedo con i tennisti della mia epoca ci abbracciamo e ci salutiamo, siamo uniti per sempre. Le emozioni sono il marchio di fabbrica del mio libro".

Ma quindi secondo te il tennis è peggiorato?
"Non è che ci sia qualcosa di meglio o di peggio. Anche negli altri sport e nelle attività umane c’è più organizzazione, ci sono più agenti, sponsor, interessi. Per i giovani sapere che c’era un altro tennis è importante. Anche i mezzi a disposizione per mettere in pratica questa attività con viaggi, senza tecnologia, mail ecc sono diversi. Ci iscrivevamo ai tornei con il Telex, roba da far west. La passione però batteva tutto: a 17 anni mi hanno dato un foglio e sono andato in Brasile, due mesi da solo. Prima di avvisare i miei sul fatto che fossi arrivato e andasse tutto bene ho dovuto aspettare 10 giorni per capire come si telefonava. Tante storie che possono aiutare i ragazzi a capire di non dover dare per scontate le cose, oggi che per qualsiasi cosa ci sono app e tecnologia. Un passato che può essere d’aiuto anche per il futuro, per imparare. Anche per i coach".

Pistolesi in compagnia di McEnroe
Pistolesi in compagnia di McEnroe

Dopo i tanti infortuni prima e durante Roma, si è parlato dei ritmi dei tennisti. Pensi che si giochi tanto?
"Sta al giocatore fare il suo programma. È come andare al ristorante: non si è obbligati a prendete tutto il menù, ma si sceglie quello che piace di più. Il sistema di classifica è stato rivoluzionato con l’avvento dell’ATP Tour, e ti spinge a giocare più tornei. Ho giocato metà carriera prima di questa modalità e c’era la media: si giocavano 12-13 tornei all’anno e poi c’era la Coppa Davis, gli Assoluti d’Italia, la Serie A. Si giocava tanto, considerando anche le esibizioni. Anche adesso gli stessi giocatori che si lamentano, poi dai loro quel mese di pausa e li vedi che fanno esibizioni.

D'altronde anche Nadal, Federer e Djokovic hanno giocato tantissimo
"Nadal disse una volta quando era vice presidente del Players Council (associazione che tutela gli interessi dei giocatori, in cui Pistolesi è stato eletto tre volte come rappresentante dei coach ndr), quando c’ero anche io, e il presidente era Federer: ‘Bisognerebbe fare i tornei tutto l’anno e poi ogni giocatore si fa il suo menù e il programma'. Roger insegna, è stato così longevo perché sapeva dire di no anche a fronte di offerte importanti. Sapeva che la conservazione del suo corpo e il recupero dell’energia era importante. Un numero uno anche in quello. C’è un esempio ora, quello di Dominic Thiem che ha giocato troppo negli anni migliori e ora adesso poverino deve ritirarsi. Poteva fare una carriera diversa con una gestione diversa. Anche questo è un elemento di giudizio di quanto un giocatore è forte: non solo dritto e rovescio, ma anche l’autogestione, e la scelta di chi ti circonda. Un problema che si risolve a livello personale, con le proprie idee non con regole che valgono per tutti.

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A proposito dei big three, dopo Federer siamo ai titoli di coda anche per Nadal con dubbi su Djokovic, che ne pensi?
"Ognuno è diverso, Nadal ha sempre ascoltato il suo corpo e sta continuando a farlo. È il suo corpo a decidere. Come tipo di gioco avere Nadal a 38 anni ancora in campo è qualcosa di incredibile. Di più rispetto a Federer che è arrivato a 40, proprio in virtù della sua tipologia di gioco. Ne parlo nel mio secondo libro, francese, che ha anche una versione italiana dedicata a Djokovic, Nadal e Federer. Analizzo come hanno fatto questi tre a resistere e vincere così tanto. È una questione di mentalità, sono tutti e tre diversi tra di loro. Io nella versione italiana ho aggiunto la stessa analisi con Sinner e Berrettini.

Tu pensi che qualcuno possa avvicinarsi ai loro eccezionali risultati?
"Quando dico che Nadal ha vinto 14 volte il Roland Garros, mi gira la testa. Non gli si può dire niente. Che sia criticato per come decide di lasciare… lo farà quando si sentirà di farlo. Credo che riponga delle speranze nelle Olimpiadi, magari anche nel doppio con Alcaraz. Chiudere con una medaglia olimpica sarebbe qualcosa di storico, e un passaggio di consegne con Carlitos. Non credo che né Alcaraz e né Sinner vinceranno più di 20 Slam, poi mai dire mai, ma è molto molto difficile. Ogni epoca ha i suoi campioni: Sinner e Alcaraz hanno dimostrato che c’è già un post Federer, Nadal e Djokovic, i mostri. Il tennis va avanti, anche se loro tre hanno lasciato un segno memorabile, per sempre. Con l’aggiunta di Murray che è stato numero uno del mondo con tutti i tre in piena attività. Un posticino glielo darei anche a lui".

A proposito di Djokovic, dopo questa prima parte di stagione molto deludente, che idea ti sei fatto? Siamo vicini al capolinea?
"Dipende da lui. Si naviga a vista, i giocatori vogliono chiudere in bellezza, ci tengono a vincere ancora qualcosa di importante. Ho grande orgoglio per aver iniziato la carriera di Marco Panichi, ex preparatore atletico di Nole e numero uno del mondo. Ha vinto 8 Slam con lui, veniva dal salto in lungo e ho l’orgoglio che lui mi riconosce da amico fraterno, di avergli spiegato cosa serve ad un coach nel tennis. Ha lavorato e studiato tantissimo, abbiamo collaborato 15 anni insieme, con risultati sempre al massimo e si merita questo titolo. È un orgoglio italiano per lui essere il miglior preparatore atletico della storia del tennis. La storia di Djokovic degli ultimi 5-6 anni l’ho vissuta da vicino e credo che non siano soli problemi fisici.

Potrebbe dunque trattarsi come pare, anche di una necessità di stare più vicino alla famiglia?
"Penso come Nadal e Federer, siano stati un po’ fermato dagli infortuni. Djokovic non mi sembra sia infortunato, forse è un discorso di motivazione. In fondo il fatto che Federer abbia già smesso e Nadal stia smettendo, gli fa pensare che la sua epoca potrebbe essere legata agli altri due. Si sono autoalimentati tra loro, e ci metto anche Murray. Nole ha 38 anni e ha battuto dei record quasi impossibili da battere, penso che abbia voglia di guardare anche alla vita extra-tennis. Non essendo nel team è difficile capire. Dobbiamo avere fiducia in loro, visto che sono grandissimi atleti e sanno come gestirsi".

Hai un aneddoto speciale su uno dei due big three, magari su Nadal dopo questo Roland Garros carico di emozioni?
"Ho fatto uno dei tanti corsi per coach per l’ATP con Toni Nadal (zio ed ex allenatore del tennista, ndr) e si parlava di quando aveva capito che Rafa era speciale e diverso dagli altri. Raccontò che una volta il ragazzo era capitano della squadra under 14 di Maiorca e andarono a giocare un torneo a squadre. Lui andava a vedere gli altri perché Rafa era il nipote, e vinceva tutte le partite rifilando 6-0, 6-0. Ad un certo punto gli dissero che Rafa stava perdendo 6-0, 3-0. A quel punto andò vedere perché temeva si fosse infortunato: vide questo ragazzino che giocava con la racchetta rotta, non le corde ma proprio il telaio. Allora gli impose di cambiarla, anche se ormai la partita era compromessa. Dopo la partita gli disse ‘Rafael hai 14 anni come fai non capire che non puoi giocare con una racchetta rotta' e lui gli rispose: ‘Ma zio tu mi hai detto che non devo cercare scuse e che mi devo prendere la responsabilità di quello che faccio”.

Insomma, mentalità impressionante praticamente da sempre per Rafa
Quel ragazzino era pronto a perdere 6-0, 6-0 con buona pace di reputazione, orgoglio ecc. pur di mettere davanti la mentalità di non cercare scuse. Era un altro mondo rispetto agli altri ragazzini normali, anche forti, ma non così tanto. La sua presa di responsabilità mi ha colpito e l’ho fatta mia anche come coach. La faccio presente ai miei atleti, quale migliore esempio per i giovani. Ha vinto 14 volte il Roland Garros, giocando tre su cinque. Una volta ho raggiunto il terzo turno e sono orgogliosissimo, figuriamoci uno che lo vince tutte quelle volte sulla terra. Da brividi. Ho allenato Soderling, che è stato l’unico insieme a Djokovic a battere Nadal al Roland Garros".

Veniamo a Sinner, tu vivi negli Stati Uniti, dove hai la tua accademia. Com'è visto Sinner oltreoceano?
"
Si guarda all’Italia per tutte le cose belle, per il cibo, per la moda per tutto quello di meraviglioso che abbiamo. Per il tennis, un mio allievo americano di 15 anni per il suo compleanno ha chiesto il poster gigante di Sinner. Siamo un punto di riferimento tennistico mondiale senza dubbio".

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Quando hai visto la prima volta Sinner cosa hai pensato? Ti ha colpito immagino?

"In passato ho visto la prima volta Sinner agli US Open contro un giocatore croato, Galovic, che è un mio amico e vinceva 5-2 Poi Sinner si è imposto in rimonta. Dissi che nemmeno la prima volta che vidi Bolelli rimasi così colpito: i giocatori io li ascolto, oltre a guardarli, perché se sai ascoltare l’impatto con la palla dice tanto. Un impatto così io non l’ho mai sentito, e poi c'è tutto il resto: la cultura sportiva che ha e che probabilmente arriva dallo sci e dalla famiglia. Non c’è un sistema nel tennis, ognuno ha la sua storia e lui veniva da un altro sport. Sta diventando il più grande italiano di tutti i tempi e secondo me si metterà su un bel trono, rientrando tra quelli che potrebbero fare la storia del tennis. Spero che il problema all’anca non lo condizioni, d’altronde già quello che ha fatto finora ha impressionato tutti. Ma come colpisce la palla lui, non ho visto nessuno in 40 anni".

Addirittura? Quindi non ti ha mai impressionato nessuno così, nemmeno giganti assoluti?
"Ho giocato con Agassi, Sampras, Becker, ho allenato giocatori contro Federer, Djokovic e Nadal ma come pulizia del colpo e massimo rendimento con il minimo sforzo non ho mai visto nessuno così. Poi ripeto anche la cultura sportiva è eccezionale con le interviste che fa, l’equilibrio, la serenità. È un concentrato di qualità e nemmeno l’intelligenza artificiale poteva fare uscire un Sinner".

Poi Sinner è speciale perché è riuscito ad unire letteralmente l'Italia, qualcosa di unico?
"Sono nato nel 1967 ed ero ragazzino quando c’era l’altro periodo di superpotenza tennistica con Panatta, Bertolucci eccetera. Panatta pure perdeva ma creava interesse anche quando succedeva. Sono solo cose positive per me, perché qualche sconfitta pesante arriva. Ma è una benedizione e una gioia inaspettata per tutti quelli che amano il tennis nell’Italia e nel mondo. Qualcosa di strepitoso che unisce l’Italia, come Panatta che unì l’Italia negli anni di piombo con brigate rosse, banda della Magliana ecc. Anche oggi l’Italia è sempre divisa purtroppo, e mai come adesso c’è bisogno di unità. Non lo fa apposta Sinner ma con le sue vittorie, il suo atteggiamento e l'orgoglio di essere italiano unisce tutti. Mi ha colpito anche quando è andato dal presidente Mattarella, col suo comportamento e il feeling ed empatia con il presidente".

Ovviamente l'effetto Sinner si nota anche su molti suoi colleghi poi
"Senza dimenticare Berrettini che ha fatto finale di Wimbledon, parlo molto di lui nel mio libro perché un italiano sull’erba è qualcosa di nuovo. Stanno aprendo porte mai aperte prima. Spero che ritorni, e poi ci sono tutti gli altri, Musetti, Arnaldi, Nardi, Cobolli che ho visto nascere tennisticamente. Sono fortissimi, ce ne sono talmente tanti… Una situazione favolosa, penso anche a Jasmine Paolini allenata dal mio amico Furlan. Sono estremamente felice per questo momento qua, è anche un momento di unione: Volandri dopo la Coppa Davis ha detto che è stata la vittoria di tutti ed è così".

Tornando a te, c'è qualcosa che ti accomuna a Sinner in termini di precocità non è vero?
"Ho vinto il primo torneo ATP a Bari, sono stato per 34 anni il più giovane italiano a vincere un torneo ATP e sono ancora il più giovane azzurro ad aver vinto sulla terra perché Sinner mi ha preceduto di due mesi, ma l’ha vinto sul cemento indoor. Io e lui siamo gli unici due teenager d’Italia ad averlo vinto in quell’età. Il mio idolo assoluto è stato Pietro Mennea, e quando ho vinto le 3 cose più importanti della mia vita, ovvero il titolo del mondo junior con ‘L’orange Bowl', il torneo di Bari e i campionati italiani assoluti a Salerno ho esultato con il dito indice in alto per rappresentare il numero uno, copiato e in onore e omaggio di Pietro Mennea che quando vinceva faceva così. Con lui ho parlato un paio di volte prima che ci lasciasse e ho avuto i brividi".

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