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Massari, il mental coach di Berrettini: “Ha sopportato di tutto. Sinner soffre l’imprevisto”

Stefano Massari, stimato mental coach che ha collaborato con Berrettini, ha spiegato a Fanpage.it essenza e risvolti del suo lavoro: “I genitori dei piccoli tennisti dovrebbero vedere i momenti in cui Sinner piange o fa fatica, quello che fa prima di vincere”.
Intervista a Dott. Stefano Massari
Mental coach professionista specializzato in life coaching e sport coaching.
A cura di Marco Beltrami
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Qual è il ruolo del mental coach nello sport e in particolare nel tennis? Ne abbiamo parlato con Stefano Massari, uno dei professionisti più importanti e stimati del nostro panorama. Una carriera prestigiosa quella di Massari che si occupa da tempo di Life Coaching e Sport Coaching, lavorando nell’ambito di diverse discipline come tennis, canottaggio, tuffi, pattinaggio artistico, calcio, pugilato, danza, atletica leggera, tiro a segno.

Al suo attivo oltre al lavoro con Stefano Napolitano, reduce da un torneo super agli Internazionali di Roma, anche una lunga collaborazione con Matteo Berrettini, con il quale oggi il rapporto si è evoluto. Infatti oggi Stefano fa un lavoro diverso con il tennista romano, non legato al campo ma focalizzato sul suo desiderio di conoscenza. Ai microfoni di Fanpage, Massari ha parlato del lavoro di Mental Coach, ma anche di Berrettini, Sinner e del tennis in generale.

Stefano non tutti conoscono la funzione del mental coach, puoi spiegare come lavori ai nostri lettori?
"Sono un allenatore della parte mentale ed emotiva della prestazione. Da un lato lavoro sui pensieri che possono essere utili, e quindi anche su quelli inutili che possono capitare durante la prestazione, e dall’altro, sulla consapevolezza delle emozioni che si vivono durante le prestazioni e la gestione di queste emozioni".

Un lavoro tutt'altro che semplice visto che gli atleti non sono cyborg, ma vivono di emozioni con momenti più o meno positivi, e giornate buone e altre meno? Quanto è complicato?
"Lavoro su un aspetto quasi preliminare. Non solo ogni giornata è diversa dalle altre, ma è importante che lo sia e sia vissuta come tale. Altrimenti la vita sarebbe noiosa e non complicata e straordinaria com’è. È importante vedere la differenza tra un giorno e un altro e viverla in modo tale da dare significato ad ogni istante che viviamo. Questo, poi se viene calato nel discorso della prestazione significa che per ogni atleta è opportuno fare una preparazione specifica. Proprio perché l’atleta non è un pupazzo o un personaggio dei videogame: vive, come tutti noi, sensazioni, emozioni e stati d’animo diversi ogni giorno. E quindi ogni giorno è pronto ad affrontare gare o allenamenti in modo diverso. Va preparato per questo nel modo più idoneo possibile".

Non pensi che i giocatori oggi siano sottoposti a pressioni eccessive?
"Si gioca troppo. I calendari non vengono scelti sulla base delle caratteristiche degli atleti o sulle loro necessità. Vengono scelti sulla base di un sistema economico, di pubblico, di sponsor ecc. Questo ha un impatto sullo stato fisico ed emotivo degli atleti. I tennisti in particolare s’infortunano molto più spesso di quanto accadeva anni fa, perché gli impegni sono veramente frequenti. La capacità di gestire questa frequenza e questo stress è qualcosa che i campioni devono allenare. Il grande campione di tennis non è solo uno che sa giocare bene, ma è anche un individuo capace di gestire certe pressioni psicofisiche che sono peculiari dell’epoca in cui viviamo".

Stefano Massari, mental coach che ha lavorato con Matteo Berrettini nel tennis.
Stefano Massari, mental coach che ha lavorato con Matteo Berrettini nel tennis.

Ma quando un mental coach può considerarsi soddisfatto del suo lavoro? Dipende dai risultati del tennista o da altro?
"Il risultato è l’ultima cosa che io guardo, sia per inclinazione personale e sia per il tipo di preparazione professionale anche relativa al mio percorso di studi. Tendo a mettere in primo piano sempre la persona. Un campione che vince tutti i tornei in un anno e poi cade in crisi depressiva, per me rappresenta un enorme insuccesso. Un tennista che ha un buon rendimento ed è felice dello stesso, e della sua vita, per me è invece molto importante. I miei atleti devono essere soddisfatti, anche della loro vita. Se questo avviene i risultati hanno un certo rilievo, anche se bisogna dire che è difficile vincere quando non si è felici o soddisfatti di sé. Vincere da solo non basta".

Parlando con diversi tecnici sembra che oggi i genitori dei piccoli tennisti pressino tanto per vedere subito i risultati dei figli. Magari anche perché inebriati dai successi di Sinner?
"Penso che sia un tema culturale che viene acuito da questa situazione relativa al fatto di avere un giocatore italiano che sta per diventare numero uno al mondo. Non ha precedenti, e questo inevitabilmente porta a stressare il tema del risultato. Sarebbe interessante che i genitori per esempio approfondissero quello che fa Sinner prima di vincere. Noi lo vediamo vincente, mentre alza la coppa, ma nessuno vede i momenti in cui Sinner fa fatica o magari piange dal dolore dietro le quinte, sempre ammesso che questo succeda. Di sicuro Jannik fa una gran fatica, in quanto è un ragazzo estremamente serio circondato da allenatori molto seri che sono competenti non solo dal punto di vista tennistico.

Quindi secondo te cosa manca nello specifico?
"Purtroppo non abbiamo la cultura del percorso, ma abbiamo la cultura del risultato. Questo è molto diseducativo: così come i genitori si aspettano che i bambini vincano, di conseguenza anche i bambini si aspettano questo. Ecco che poi gli stessi vanno in campo e quando i risultati non arrivano stanno male, e diventano infelici. Il problema è che non acquisiscono gli strumenti per capire cosa si debba fare per vincere che è molto più importante del vincere".

Insomma è fondamentale il percorso, sia a livello sportivo che nella vita di tutti i giorni
"Capire quale sia il percorso per arrivare a vincere è molto importante perché poi, anche se il giocatore non dovesse diventare un campione o vincere quanto pensava, comunque avrà usato il tempo in maniera proficua, bella e intensa. Se invece non si studiano i percorsi ma si attende che le vittorie arrivino e basta, allora si spreca del tempo. I campioni sono pochi, e gli altri che fanno? Sono da buttare? Se non vincono hanno comunque imparato cosa dovrebbero fare per vincere o per avere successo e possono usare questa dote in altri ambiti, extra-tennis. Non tutti dunque diventano campioni, ma potrebbero usare quello che hanno capito per diventare architetti, artigiani, manager e così via".

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Parliamo di Sinner, lui sembra davvero eccezionale. Pensi che in questi casi conti soprattutto la formazione ricevuta e il contesto in cui si cresce?
"Credo che Sinner sia un esempio molto bello di quanto una predisposizione agli sport, unita ad un grandissimo lavoro, possa portare risultati. Che Sinner sia una persona dotata per gli sport è facile dirlo: ha fatto sci, dimostrando anche una notevole inclinazione sportiva. C'è da dire che ha anche avuto un contesto familiare e culturale particolare visto che viene da una zona dell’Italia in cui il rapporto con le emozioni non è lo stesso che si ha a Roma, Napoli, Milano e Torino. È un po’ più distaccato. A ciò aggiungiamo il grandissimo lavoro che ha fatto lui e la sua intelligenza".

Come valuti anche il suo cambio di coach e quanto può essere stato importante?
"Un passaggio fondamentale della vita sportiva di Sinner è questo: quando lui era già diventato fortissimo ha deciso di cambiare allenatore, passando da uno super conosciuto e famoso come Piatti ad uno meno conosciuto ma molto bravo come Vagnozzi. I primi mesi non hanno portato ai risultati che Sinner si aspettava, ma Jannik ha tenuto duro e adesso sta diventando quasi il numero uno. Ci vuole saggezza, è difficile esserlo a 20 anni ma lui lo è. Laddove esiste una certa predisposizione allo sport e condizioni di allenabilità, le caratteristiche individuali ben allenate possono portare a bei risultati, al massimo di quello che si può ottenere. Poi l’obiettivo del mio lavoro è quello: non creare dei campioni, ma cercare di allenare ogni ragazzo o ragazza a raggiungere il massimo che può".

Abbiamo visto Jannik in difficoltà a Montecarlo dopo un clamoroso torto subito, pensi che queste situazioni possano poi portare ad un contraccolpo?
"Gli imprevisti sul campo da tennis, come in tantissimi sport, ci sono. E il campione si contraddistingue perché li gestisce meglio. Sinner è un ragazzo che ha tantissime doti ed è apprezzabilissimo. Credo che un aspetto su cui lui fa molta fatica è la gestione di certi tipi di imprevisti. Ti faccio tre esempi. Uno è quello che è successo a Montecarlo, dove lui ha reagito da signore, ma in termini di  prestazione dopo quell'errore arbitrale (una palla nettamente fuori considerata buona, ndr) ha sofferto moltissimo. Tanto è vero è che era in vantaggio e poi la partita è andata in un’altra direzione. Un altro tipo di situazione si è verificata sempre a Montecarlo l’anno scorso, quando Rune si era messo a litigare con il pubblico. Lui aveva sofferto molto anche quel momento e di nuovo una partita che era nelle sue corde gli era sfuggita. E poi infine l’anno prima, quando aveva giocato contro Tiafoe, che aveva familiarizzato con la folla e lui era andato in crisi".

Insomma, può diventare ancora più forte e competitivo?
"Ecco Jannik che è proprio un atleta eccezionale, in termini di eccezione perché ne viene fuori così uno su un milione, credo che vada ancora in difficoltà nella gestione di quelle situazioni imprevedibili. Ma sono convinto che se gli ricapitassero, le affronterebbe in modo migliore perché è uno che impara velocemente".

L'infortunio all'anca di Sinner può destabilizzare un atleta? Pensi che a prescindere dalla gravità o meno possa incidere in maniera importante sulla sua carriera?
"Credo che questo infortunio non cambierà la carriera di Sinner. Certamente nell’immediato rallenterà un po’ la sua corsa. Ma Jannik è saggio e sceglierà bene. Se dovrà aspettare lo farà e poi tornerà più forte di prima".

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Passiamo a Berrettini, com'è il tuo rapporto con Matteo non solo in campo?
"Con Matteo in questa fase faccio un lavoro diverso non legato al campo, ma inerente al suo desiderio di conoscenza, con letture, film, ecc. Questa è una parte che abbiamo sempre curato tanto e che ora stiamo seguendo in esclusiva. Il mio rapporto umano con lui è sempre di grande amore e affetto e quello professionale si è trasformato".

Dopo i tanti infortuni, nella conferenza prima dell'ultimo ritorno, abbiamo rivisto un Matteo tirato a lucido e in campo poi ci ha regalato emozioni. Quanto è difficile rientrare dopo tutto quello che ha passato lui?
"Ho una grande considerazione e stima di Matteo, proprio come essere umano. Sono convinto che se sta bene, fisicamente, ha tutte le possibilità di tornare a livelli altissimi. È evidente che gli infortuni hanno inciso tantissimo. Si è fatto male diverse volte, e per questo lui ha una forza straordinaria che ha dimostrato in una situazione logorante per chiunque. Sono convinto che lui abbia questa tenuta mentale e ancora una volta si sia tirato fuori definitvamente dalle difficoltà, con una luce nuova, una nuova brillantezza, speranza e ottimismo persino maggiori. Se la sorte lo aiuterà a stare bene, potrà non solo dire la sua, ma tornare ad essere un grandissimo giocatore e continuare ad essere un esempio. D’altra parte gli esempi veri non sono quelli che non perdono mai: Matteo è un ragazzo che ha avuto la forza di rialzarsi tante volte e questo conta di più di chi vince sempre".

Berrettini è una bella storia di rinascita.
"Sinner è un bellissimo esempio, ma in questo momento è un esempio lontano. Perché di un giocatore che vince sempre, poi perde una volta, e torna a vincere spesso tendiamo a non vedere tutta la fatica che fa, ci soffermiamo solo i risultati e diventa un esempio inarrivabile. I genitori dei giovani tennisti si aspettano che i loro figli diventino Sinner e per questo vanno incontro a grosse delusioni perché di Jannik ce n’è uno. Quando invece ti trovi di fronte ad un atleta che riesce ad essere campione nonostante le difficoltà, quello è un esempio più vicino. Matteo in questo secondo me è più vicino, perché quello che succede a lui può succedere a tutti noi. Quanti infortuni o ostacoli dobbiamo affrontare? Lui è un riferimento molto bello in questo perché ha la forza di rialzarsi. I veri campioni sono questa cosa qua".

I tennisti e in particolare Berrettini ha dovuto fare i conti con pressioni e critiche notevoli, non solo per la sua attività ma anche per la vita privata. È duro restare focalizzati sull'obiettivo?
"Oggi i campioni sono sottoposti a pressioni che quelli di 20-30 anni fa nemmeno si sognavano perché c’è uno sviluppo paradossale dei social. Non sono solo i giornali, ma c’è anche altro. Un campione deve imparare a gestire questo, ed è difficilissimo. Viviamo in un mondo selvaggio, nel senso peggiore del termine. Gli animali che vivono in modo selvaggio hanno una loro purezza, ma questo è un mondo tutt’altro che puro. Si rischia di essere sbranati e anche in questo Matteo Berrettini ha avuto grande forza d’animo, perché sono state dette e scritte cose obbrobriose nei suoi confronti. Un insulto al genere umano: stiamo parlando dell’unico tennista italiano arrivato in finale a Wimbledon, capace anche di aprire una strada agli altri colleghi. Non c’è gratitudine verso di lui, ma solo opinioni da bar nella maggioranza sui social".

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Oggi si vedono situazioni sempre più al limite in campo, basti pensare agli sfoghi di Rublev o Medvedev. Ti capita mai di vedere un tennista e pensare che avrebbe bisogno di te?
"Sono situazioni che ci stanno. Stare su un campo da tennis è difficile anche per chi gioca per divertimento e basta, si vedono delle scene nei circoli… Questi professionisti hanno sviluppato delle grandi capacità di gestione della tensione. Nonostante questo, anche per le pressioni che citavamo prima, ogni volta si ritrovano a gestire non solo il peso della partita ma tutto quello che c’è intorno e che inevitabilmente li destabilizza. Mi capita ogni tanto di vedere delle situazioni per cui penso non tanto ‘questo ragazzo ha bisogno di aiuto’, ma ‘questo ragazzo avrebbe bisogno di qualcuno che gli dia una mano', ovvero di qualcuno come me. È sempre più difficile oggi essere un campione e quindi avere un supporto su come gestire le situazioni di campo o le pressioni, è importante. Forse potrebbe non essere risolutivo, ma una mano la darebbe certamente".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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