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Il fratello di Djokovic non risponde e chiude la conferenza stampa: l’ultima domanda inchioda Nole

La classica domanda scomoda ha fatto interrompere bruscamente la conferenza stampa della famiglia Djokovic a Belgrado: qualsiasi risposta sarebbe sbagliata e inchioderebbe il numero al mondo di tennis.
A cura di Paolo Fiorenza
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In queste ore di battaglia tra Novak Djokovic e il Governo federale australiano – con il visto d'ingresso del serbo che è diventato pomo della discordia, venendo prima concesso dagli organizzatori degli Australian Open, poi annullato dalle autorità al suo arrivo a Melbourne ed infine restituito dal giudice della Corte Federale che ha accolto il suo ricorsouna parte importante nella sceneggiatura l'ha avuta la famiglia del campione di tennis.

Padre, madre e fratello hanno avuto tutti un preciso ruolo in cartellone. Papà Srdjan è stato il capopopolo, nel vero senso della parola, visto che ha fomentato i tifosi serbi a scendere per le strade, sia in patria che nella lontana Australia, per protestare contro la decisione di negare la validità dell'esenzione vaccinale per il numero uno al mondo. Ha usato toni nazionalisti e mistici, tra un "Novak è la Serbia, questo è un attacco al nostro Paese" e un "lo hanno crocifisso come Gesù". Ha inneggiato alla storia e alla libertà, parlando di "nuovo Spartacus e leader dei popoli oppressi". Insomma non si è fatto mancare nulla della retorica più populista.

Dijana Djokovic è stata invece la mamma preoccupata per le sorti del figlio, "imprigionato" nel Park Hotel di Melbourne assieme ai richiedenti asilo, in una stanza sporca e con insetti, con cibo stantio e senza potersi neanche affacciare dalla finestra. Ha anche denunciato le "torture e molestie" cui suo figlio sarebbe stato sottoposto dai funzionari australiani, disegnando il quadro di un giovane in grande pericolo lontano da casa. Il fratello Djordje è stato quello che ha usato i toni meno teatrali, facendo il punto della situazione legale e logistica di Nole e rispondendo alle domande poste in conferenza stampa. Ma non all'ultima. La domanda scomoda che la famiglia di Djokovic sperava di non ricevere durante l'incontro odierno con i giornalisti a Belgrado.

Djordje Djokovic non ha risposto e ha chiuso bruscamente la conferenza. Al fratello più piccolo del campione serbo era stato chiesto se fosse vero che "il 16 dicembre Novak è risultato positivo e sapeva di essere positivo al Covid". "Sì, l'intero processo era pubblico e tutti i documenti che sono pubblici sono legali", ha risposto. A quel punto una giornalista ha chiesto: "Era ad un evento il 17 dicembre?". Djordje ha accennato un sorriso e di concerto col padre che era al suo fianco ha eluso la risposta: "Ok, questa conferenza stampa è stata aggiornata".

La questione posta è il punto dolente della strategia difensiva di Djokovic, visto che dopo quel 16 dicembre in cui il tennista eseguì il tampone alle 13:05 ed ebbe il risultato di positività alle 20:19 (qui sotto il documento che lo attesta), il 34enne serbo non rimase in isolamento come prescrivono le norme sanitarie ovunque nel mondo, ma partecipò a numerosi eventi pubblici.

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Dalla presentazione di francobolli a lui dedicati da parte delle poste del suo Paese alla premiazione di giovani talenti serbi al Novak Tennis Center il 17 dicembre, fino a un servizio fotografico con L'Equipe il 18 dicembre. Tutti eventi in cui Nole si mostra sorridente senza mascherina. Delle due l'una: o Djokovic non era realmente positivo oppure ha violato le norme di isolamento. In ogni caso si capisce bene perché la domanda sia stata elusa dalla sua famiglia: sia l'una che l'altra ipotesi non sono degne di un campione.

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