Avremmo dovuto parlare dello stato di forma di Djokovic, delle sue possibilità stagionali di mettere a segno il tanto sognato Grande Slam, delle sue ambizioni, dei suoi colpi, del suo essere un muro di gomma e senza dubbio uno dei più grandi tennisti e atleti di tutti i tempi. E invece ci siamo ritrovati a dover affrontare per circa 10 giorni e alla vigilia del primo appuntamento prestigioso della stagione, una vicenda che con il campo vero e proprio non ha nulla a che fare, e che ha fatto passare in secondo piano quella bellissima sensazione di grande attesa che accompagna l'inizio dei principali eventi sportivi. Il caso Djokovic, diventato internazionale al punto persino di rischiare di scatenare incidenti diplomatici, non è stata una bella pubblicità per uno sport in cui il rispetto delle regole e delle tradizioni è quasi "religioso", per dirla alla Foster Wallace.
E le regole in campo e fuori, vanno rispettate anche se sei il numero uno del mondo e campione in carica. E proprio a questo fa riferimento la sentenza della Corte Federale che ha bocciato il ricorso presentato dai legali dopo l'annullamento del visto da parte del ministro dell'Immigrazione australiano che ha portato alla sua espulsione, con tanto di ban di 3 anni e pagamento di spese processuali, ed esclusione di fatto dagli Australian Open dove sarà sostituito da Salvatore Caruso. Si fa riferimento al "role model" di Nole ovvero al peso specifico del suo personaggio e di come il suo operato, e anche i tanti errori commessi, gli siano costati carissimo in quanto avrebbero potuto alimentare, in caso di vittoria legale, anche ideologie pericolose.
In sintesi dunque non paga solo il fatto di aver infranto le regole, ma il fatto che ad infrangerle sia stato uno sportivo destinato a restare nella leggenda e sotto i riflettori a livello globale. Perché i suoi tanti errori, hanno alimentato quella che è stata una battaglia ideologica, imperniata anche sulla necessità di dare un segnale forte sull'argomento vaccino e su quanto sia importante non diffondere messaggi fuorvianti. Insomma tutto quanto fatto da Nole gli si è girato contro e alla fine è arrivato il conto da pagare, con la sensazione che avrebbe potuto giocarsi meglio le proprie carte, proprio lui così abile con la racchetta in mano ad uscire da situazioni complicate.
Per entrare in Australia e giovare di un'esenzione nella vaccinazione, che gli permettesse di giocare gli Australian Open, Djokovic ha presentato documenti che accertavano la positività al Covid a metà dicembre, a partire dal 16. Già in questo caso c'è stata un'incongruenza visto che le richieste di esenzione dovevano essere presentate entro e non oltre il 10 dicembre. Le cose sono peggiorate anche dopo, quando lo stesso Nole ha ammesso le sue colpe pubblicamente: in primis dichiarando di aver partecipato proprio il giorno 16 dicembre ad un'intervista a Belgrado, non rispettando l'isolamento, e poi presentando anche una documentazione che dichiarava il falso, ovvero che Nole, non si fosse spostato a livello internazionale nelle due settimane precedenti l'arrivo in Australia.
Il campione invece, si è recato in Spagna (entrando nel Paese a quanto pare senza i parametri richiesti e senza disporre di un'esenzione valida) per allenarsi. Come spiegare questa incongruenza? Con un errore commesso da uno dei componenti del suo team che si è poi scusato pubblicamente. Una serie di passi falsi, che inevitabilmente hanno avallato la tesi del ministro dell'Immigrazione e confermato che una sua presenza in Australia avrebbe alimentato il sentimento anti-vaccinazione. La stessa ATP nella nota ufficiale che ha fatto calare il sipario della vicenda, pur esaltando il tennista Djokovic con riferimento ad una "sconfitta per il gioco", ha parlato di "una serie di eventi profondamente deplorevoli" e della necessità di rispettare "le decisioni delle autorità giudiziarie in materia di salute pubblica", con una raccomandazione finale a vaccinarsi per tutti i giocatori.
E pensare che tutto si sarebbe potuto evitare se Djokovic, come hanno fatto 97 dei primi top 100 tennisti al mondo, si fosse vaccinato. In questo modo avrebbe sicuramente protetto se stesso e gli altri in un momento storico a dir poco particolare come questo. D'altronde la sua difesa, impegnata a smentire nell'udienza decisiva il fatto che Djokovic potesse essere considerato come un'emblema per i no-vax, ha puntato sul fatto che il serbo solo in passato si è detto contrario alle vaccinazioni, ammettendo però di non essere esperto e di avere una mentalità aperta sull'argomento. Un'occasione persa dunque per Djokovic per confermarsi un numero uno, anche fuori dal campo. Ma in fondo, forse possiamo ringraziarlo, anche perché senza volerlo ci ha ricordato che le regole vanno rispettate, sempre.