Federica Pellegrini: “Il caso doping di Sinner è stato trattato diversamente da altri”

Quando riprenderà a giocare, forse, non si parlerà più della vicenda doping di Jannik Sinner. E, forse, è proprio questo il prezzo più alto che paga il campione di tennis dopo aver patteggiato con la Wada una sospensione di 3 mesi, chirurgica rispetto agli impegni del calendario: scucirsi quella scomoda etichetta di sportivo che è stato colto in fallo per negligenza propria (non dolosa) ma trattato coi guanti bianchi rispetto ad altri perché numero uno al mondo nella sua disciplina e può permettersi di assoldare uno staff legale efficiente, efficace, influente tale da limitare i danni collaterali e le conseguenze scaturiti dalla superficialità del suo fisioterapista.
Federica Pellegrini va al nocciolo della questione e nella riflessione che fa sul clamoroso caso di positività pone al centro della questione quel concetto che i detrattori più acerrimi brandiscono a mo' di labaro da crociata. "Jannik è molto amato e viene difeso sotto ogni aspetto, a prescindere. E questo lo trovo giusto. Ma credo che la sua vicenda sia stata trattata diversamente dal 99% dei casi". Il pensiero espresso nell'intervista a Repubblica dà un indirizzo chiaro dell'opinione che s'è fatta, dominante e sotto traccia, che molti condividono anche se non lo dicono apertamente.

L'ex olimpionica fa chiarezza e, da ex atleta di un certo livello, fornisce a chi non è del mestiere, all'uomo comune che legge e s'informa ma, poco avvezzo a certe pratiche, gli sfugge perché intorno a Sinner c'è quest'aura di sospetto e malizia. Pellegrini traccia la cornice così da rendere bene l'idea di quale importanza abbiano nella vita di uno sportivo i controlli antidoping, sia quelli effettuati a sorpresa sia quelli in competizione, che avvengono per tutto l'anno. E cita "l'ora di slot di reperibilità ogni giorno, anche quando sono in vacanza, per consentire all’antidoping di raggiungerli ovunque siano" così da lasciare intendere quale debba essere il livello di attenzione costante che un atleta (in particolare quello più forte e in vista) debba tenere. Ecco perché ribadisce: "È responsabilità mia se il mio fisioterapista utilizza una crema su di me e poi risulto positivo. Non è una vita semplice, ma credo sia l’unico modo per combattere il doping".
Chiarito come l'aspetto e i rischi della negligenza (sia pure in assoluta buona fede) siano qualcosa da maneggiare con estrema cura, la seconda parte del ragionamento diventa più esplicita: "Il caso di Sinner è stato diverso perché la soluzione è arrivata solo dopo i ricorsi della Wada. Non c'è stata una sospensione immediata. Non dico che ci dovesse essere. Ma di fatto è stato trattato come un caso diverso dal 99% degli altri atleti che hanno affrontato e pagato una negligenza per doping".