Djokovic resta tutto d’un pezzo: “Non mi piego al vaccino Covid, rinuncio agli US Open”
Questa volta Novak Djokovic non andrà allo scontro. Non ha alcuna intenzione di vaccinarsi, costi quel che costi. A Wimbledon sono stati indulgenti, consentendo la partecipazione al torneo anche a quei tennisti che, per scelta personale oppure per comprovate ragioni mediche, non hanno ricevuto il siero anti-Covid. L'hanno definito "consigliato ma non obbligatorio".
In America no, è diverso. Lì c'è una cortina di ferro contro la quale il campione serbo andrebbe solo a sbattere se solo provasse a entrare nel Paese come fece ai tempi degli Australian Open. Che sia con uno stratagemma cartaceo, presentando una documentazione che all'arrivo in aeroporto verrebbe considerata carta straccia (proprio come accaduto a Melbourne), oppure il tentativo di aggrapparsi al salvagente della profilassi che ne attesta per perfette condizioni di salute poco importa.
"Allo stato attuale – ammette in conferenza stampa Djokovic – non mi è concesso entrare negli States". Ha la faccia di uno che ha capito e anche un principio di tristezza in fondo all'anima: la coerenza della sua posizione ha reso la sua stagione una sorta di percorso a ostacoli. Ma il campione balcanico non si piega, non cambia idea.
Lo aveva messo in preventivo. Dopo l'esperienza in Australia ha preso carta e penna tirato una riga in mezzo al foglio, indicando in quale Stato lo avrebbero inserito nella lista dei ‘buoni', senza fare troppe storie per concedergli il visto di entrato, e in quale lo avrebbero ritenuto un ‘cattivo' da mettere al bando. De resto sia era già cancellato da Indians Wells.
"Mi piacerebbe andare negli Stati Uniti e giocare gli Us Open, ma per il momento non è possibile – ha aggiunto con la consapevolezza di chi sa che non ci saranno eccezioni, nemmeno per uno sportivo della sua stazza -. Questa cosa mi dà grandi motivazioni per fare bene qui a Wimbledon".
Djokovic già cosa lo aspetta. Lo ha vissuto sulla propria pelle fino a sentirsi prigioniero della burocrazia, parcheggiato in un centro di prima accoglienza dopo aver essere stato trattenuto per 8 ore in aereo perché non poteva mettere piede sul suolo australiano, indesiderato, additato a fuorilegge fino a sentirsi umiliato e al disonore del decreto di espulsione dopo aver perso il ricorso.
"Voglio essere l'unico proprietario del mio corpo", ha sempre ripetuto durante e dopo la disavventura nella Terra dei canguri. Sono stati giorni di passione e di sofferenza nel periodo più caldo della campagna vaccinale per arginare lo tsunami di contagi che ha sconvolto il mondo. Non li dimenticherà mai.
"Non c'è molto che io possa fare – ha aggiunto -, quindi almeno per come stanno le cose adesso non posso fare altro che rinunciare. Che io ci sia o meno dipende tutto dal governo americano e non da me".