Djokovic positivo al Covid, le foto che smontano la difesa degli avvocati sull’esenzione vaccinale
Espulso come persona non gradita alla quale verrebbe fatto espresso divieto di mettere piede in Australia per i prossimi 3 anni. Novak Djokovic resterà sospeso nel limbo fino a lunedì, quando saprà se potrà partecipare o meno agli Open a partire dal 17 gennaio oppure dovrà lasciare il Paese. Per adesso resta confinato nel centro di accoglienza per immigrati a Melbourne dove è stato isolato per l'annullamento del visto d'ingresso nel Paese. Il caso del tennista serbo che ha scelto di non sottoporsi al vaccino contro il Covid, inizialmente ammesso al torneo e poi stoppato dalle autorità (anche) per il polverone provocato dalla vicenda, è una matassa ingarbugliata che i giudici proveranno a sciogliere consentendo al campione di partecipare al trofeo oppure dare un segnale molto forte applicando una sanzione restrittiva molto grave.
In patria ci sono state dimostrazioni di piazza in suo favore, con i genitori che sono arrivati a definirlo una sorta di martire, paragonando quanto sta subendo a "una crocifissione come Gesù" (parole del padre). Ma è nelle aule del tribunale australiano che sarà deciso il suo destino. Gli avvocati del numero uno al mondo nella classifica Atp hanno improntato la memoria difensiva sostenendo che non c'è stata alcuna violazione di legge, che la decisione di non vaccinarsi era pienamente legittima perché nei limiti dell'esenzione temporanea ai sensi delle linee guida dell'Australian Technical Advisory Group on Immunization (ATAGI). A corredo dell'arringa anche "l'accusa" di essere vittima di una sorta di sopruso perché gli è stata negata equità procedurale in occasione della revoca del permesso d'ingresso.
La carta a sorpresa nella strategia approntata dai legali, però, rischia di essere vanificata da un dettaglio tutt'altro che trascurabile: la partecipazione di Djokovic (senza mascherina) a eventi pubblici negli stessi giorni in cui, positivo al coronavirus, avrebbe violato le norme sulla quarantena. Ecco perché, prima della pronuncia del verdetto, il giudice che prenderà in esame cosa ha fatto il campione a partire da quel giorno considerato fondamentale per la ricostruzione dei fatti e, più ancora, per smentire la tesi dei suoi avvocati.
Gli verrà chiesto di spiegare/provare come abbia potuto essere presente il 16 dicembre – giorno in cui viene datata la scoperta del contagio dai suoi legali – a una tavola rotonda organizzata dalla sua fondazione in Serbia sul "ruolo e l’istituzione dell’autorità nello sviluppo del carattere e della disciplina". E ancora perché prese parte a un altro evento: la presentazione dei francobolli a lui dedicati alle poste serbe. Quale potrebbe essere la sua giustificazione al riguardo? Aver scoperto solo in un secondo momento, dopo quell'evento, la sua positività e non averla rivelata sui social come accadde in occasione dell'Adria Cup del 2020 a Belgrado.
C'è un altro passaggio che ha sollevato dubbi. Posto che il 16 Djokovic abbia effettivamente saputo tardi del contagio, perché il giorno dopo (17 dicembre) era presente al Novak Tennis Center per la premiazione dei migliori talenti serbi? In quelle foto compare sorridente, senza mascherina, accanto ai ragazzi. Aveva la mascherina quando, due giorni prima, venne invitato come ospite della partita di Eurolega di basket tra Stella Rossa Belgrado e Barcellona. Nonostante il dispositivo di protezione, in quel palazzetto ai limiti della capienza e dove non c'era distanziamento, deve essere stato quello il momento in cui ha contratto il virus. Quel che è accaduto dopo è materia che verrà valutata in tribunale.