Djokovic incastrato dall’Australia: ha tutto l’interesse a non chiedere alcun risarcimento
Novak Djokovic è tornato da qualche giorno a Belgrado dopo il pellegrinaggio al Monastero di Ostrog della scorsa settimana. L'escursione in Montenegro ha segnato una tappa importante nel percorso interiore del serbo, impegnato a trovare dentro di sé le risorse per rialzarsi dopo l'espulsione dall'Australia in seguito al suo rifiuto di vaccinarsi ed al doppio annullamento del suo visto d'ingresso nel Paese per un'esenzione non valida. La vicenda del campione di tennis è stata trasformata in un caso politico dalle autorità australiane, che nella loro ultima istanza, accolta dai giudici, hanno mortificato Djokovic additandolo come pessimo esempio che avrebbe potuto nuocere ad ordine e salute pubblica qualora fosse rimasto nel Paese.
Adesso per Nole c'è da far parlare il campo, la cosa che gli riesce meglio. Il numero uno al mondo ripartirà dall'ATP 500 di Dubai, nel quale risulta regolarmente iscritto e che giocherà – potendolo fare da non vaccinato – nella settimana tra il 21 e il 26 febbraio. Intanto sta assistendo in TV all'Australian Open che gli è stato negato, probabilmente facendo il tifo contro Medvedev, che potrebbe scalzarlo dalla vetta della classifica, e Nadal, che invece in caso di successo a Melbourne staccherebbe il serbo e Federer per numero di tornei del Grande Slam vinti, visto che attualmente sono tutti e tre a quota 20.
Nei giorni scorsi si è parlato di una possibile maxi richiesta di risarcimento, nell'ordine di quasi 4 milioni di euro, nei confronti del Governo australiano. Una cifra comprensiva sia del mancato introito per l'eventuale vittoria nel torneo (oltre 2 milioni), sia dei danni per i "maltrattamenti" subiti. Ma con tutta probabilità Djokovic sceglierà di non dare seguito alle vie legali, perché ha tutto l'interesse a lasciar perdere, almeno se vuole giocare l'Australian Open nei prossimi anni. Già, perché se il campione serbo farà causa alle autorità per essere risarcito, automaticamente non avrà nessuna possibilità di vedersi ridurre il suo divieto d'ingresso nel Paese, che è attualmente è di tre anni come pena accessoria dell'espulsione.
Quando Djokovic è stato cacciato dall'Australia, è stato infatti spiegato che gli sarebbe stato vietato di mettere piede nel Paese per tre anni, "tranne in determinate circostanze". Lo stesso premier Scott Morrison aveva ribadito il concetto, lasciando aperta una porta per il ritorno del campione sui campi di Melbourne Park: "L'espulsione dura un periodo di tre anni, ma c'è l'opportunità di tornare nelle giuste circostanze e questo sarà considerato in quel momento". Dove per giuste circostanze si intende in primis l'interesse dello stato australiano. Ed è chiaro che se Djokovic gli farà causa e riceverà alcuni milioni di euro, molto probabilmente la mossa verrà interpretata dall'Australia come un atto che non contribuisce ai propri interessi.
Pertanto, per quanto il serbo possa essere tentato di dare battaglia legale a quelli che ritiene i suoi aguzzini, motivi di opportunità indicano che non succederà. Almeno se Djokovic intende ancora giocare l'Australian Open per allungare la fila dei trofei in bacheca (ne ha vinti 9 finora). Il che per un atleta di 34 anni ancora al top sembra uno scenario più appetibile di qualche milione in più in banca. A patto ovviamente che Djokovic voglia giocare di nuovo agli Australian Open. La domanda è cosa vuole Nole: avere una rivincita in tribunale o sollevare di nuovo la coppa in futuro. Entrambe le cose è impossibile.