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Diego Nargiso: “Vi dico cosa succedeva con Sinner mentre i tifosi cantavano per lui alle ATP Finals”

Diego Nargiso, figura importante per il tennis italiano, ai microfoni di fanpage ha raccontato anche la sua esperienza da intervistatore in campo nelle ultime Finals soffermandosi sui momenti con Jannik Sinner.
A cura di Marco Beltrami
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Esperienza totale per Diego Nargiso nel mondo del tennis. Il classe 1970 ha dedicato tutta la sua vita alla racchetta, prima da giocatore, poi da coach e infine da commentatore per Supertennis. In occasione delle ultime Finals di Torino, l’ex numero uno d’Italia capace di raggiungere la 67a posizione nel ranking, di vincere Wimbledon Juniores, e di raggiungere la finale di due tornei ATP, ha avuto il compito di intervistare i vincitori nella splendida cornice dell'Inalpi Tour.

Un'avventura coinvolgente, per l'ex colonna della nostra squadra di Davis che ai microfoni di Fanpage si è soffermato soprattutto su Sinner. Nargiso non è stupito dalla crescita esponenziale di Jannik sul quale ha scommesso da tempo, dimostrando di avere il proverbiale occhio lungo. Lui per primo è stato travolto dalle emozioni in occasione delle chiacchierate post match con il tennista numero uno al mondo.

Diego a Torino hai avuto la possibilità di stare tanto tempo a contatto con Sinner, immagino che anche tu sia rimasto molto colpito
"Questo percorso è partito nel 2019 quando Jannik iniziò la sua cavalcata. Ci ho creduto sin dal primo giorno, quando l’ho visto giocare a Bergamo e vincere il suo primo Challenger, fino poi al trionfo alle Next Gen a Milano, passando per gli Internazionali di Roma. Già allora dissi che questo ragazzo sarebbe stato numero uno del mondo. Lo dissi forte e con sicurezza perché, oltre alla capacità tattico-tecnica, aveva un assoluto equilibrio che per un ragazzo di 18 anni era, ed è, qualcosa di unico e di incredibile".

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Insomma ti rendesti conto subito delle differenze tra Jannik e gli altri giovani di belle speranze?
"Di solito i ragazzi hanno molto più entusiasmo, vivono la vita con grandi pulsioni. Lui invece aveva una capacità incredibile di equilibrio e di riuscire ad osservare, come se fosse una terza persona, le situazioni del campo. Aveva il giusto atteggiamento nei confronti della vittoria e della sconfitta. Non c’erano dubbi che con questo e con la sua mentalità, vero e proprio un cocktail esplosivo, sarebbe diventato numero uno del mondo".

Quindi non ti ha stupito la sua repentina ascesa verso la vetta del ranking ATP?
"Assolutamente, l'ho sempre sostenuto. Ci ha messo il tempo che ha voluto, 4-5 anni, e poi a Torino ha dimostrato il tutto con una facilità imbarazzante per gli altri. Una semplicità nel vincere con categorie di differenza rispetto agli avversari. Il momento veramente impressionante è stato quando ha battuto Ruud 6-1, 6-2 in semifinale: a tutti gli effetti il numero 6 ATP sembrava un giocatore di tre categorie inferiori. Questo ti fa capire che la differenza che di solito è piccolissima tra i giocatori di alto livello, si è invece trasformata in un divario abissale. E da lì l'emozione di capire che per questo giocatore non si tratta di una situazione provvisoria: sarà uno che nei prossimi 10 anni se la giocherà tutte le volte in cui andrà a competere per un titolo importante".

Ma è più forte a tuo giudizio tecnicamente o mentalmente?
"Mentalmente è nettamente il più forte di tutti. A 23 anni è più forte di Nadal, Djokovic e Federer alla sua stessa età. Probabilmente solo Borg aveva una forza mentale simile, anche se la sua era molto implosa nel senso che riusciva a gestirla con gravi conseguenze che poi sono venute fuori. Non lo faceva con la serenità di Jannik. Lui ha il più grande talento in questo di tutti i tempi, almeno da quando ricordo io: dagli anni '80 in poi, a livello mentale, di testa e di capacità di resilienza, di reazione alle problematiche, di imparare dagli errori. Tutte quelle capacità che sono fondamentali per un campione e in cui lui non è secondo a nessuno".

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Ho la sensazione che lui abbia saputo fare tesoro delle sconfitte con Alcaraz, crescendo, e lo spagnolo abbia accusato il colpo della crescita di Jannik. Cosa ne pensi?
"Dici una cosa talmente vera… Nel pugilato quando due grandi pesi massimi si affrontano, il fatto di sapere incassare e imparare dall'errore mentre si combatte e non fare una piega quando si continuano a prendere pugni, reagendo, ha un impatto importante sull'avversario. E così è stato per Alcaraz: su di lui ha avuto un effetto impressionante. Oggi secondo me Alcaraz dice che Sinner è il numero uno senza alcun dubbio e con la massima franchezza. Indipendentemente dai numeri che sono ancora a suo favore, i 4 Slam contro i 2 e le vittorie nei confronti diretti".

La stagione di Jannik d'altronde è stata impressionante, non ci sono margini di discussione.
"Il valore assoluto di un giocatore non si conta nelle partite uno contro uno perché ci sono bestie nere, giocatori che danno più fastidio di altri. Invece si contano i risultati nell'anno, a livello generale. Se è pur vero che Carlos è avanti nei confronti diretti, ha chiuso quest'anno con una differenza abissale di punti: hanno vinto due Slam per uno, ma Jannik ha fatto 5mila punti in più, una roba mai vista tra primo e terzo del ranking".

Quali possono essere le insidie allora per Sinner?
"Tutti oggi considerano Sinner l'esempio da seguire. E questa sarà la nuova sfida perché tutti proveranno ad avvicinarsi, imparando da lui.  Perché questo ragazzo durante i tornei più importanti va a ricercare i miglioramenti, le tattiche, non quando è a casa, ma giornalmente. Tutti stanno seguendo la sua scia".

Hai intervistato in campo tante volte Sinner, e ti sei ritrovato sempre simpaticamente a fare i conti con i cori dei tifosi. Come descrivi quei momenti?
"È una grande emozione quando stai vicino a grandi campioni, perché ho avuto la fortuna di farlo con Federer, Nadal, Djokovic e i più grandi al mondo. C’è ancora più emozione quando hai un tuo connazionale, un ragazzo così giovane e speciale, che ormai è veramente diventato un idolo. Però devo dirti che quel ragazzo ti mette una serenità addosso… È così come lo vedi e ti trasmette una semplicità e una serenità disarmanti. È proprio parte del suo carattere, del suo essere una persona tranquilla, semplice. Quando parte il coro, io so che i tifosi l'avrebbero fatto e che mi sarei fermato nell’intervista, così come lo sa anche Jannik. Ma lui si emoziona comunque perché 15mila persone che cantano il suo nome gli regalano cose fortissime che anche io ho vissuto in passato, particolari".

Scene meravigliose, con i tifosi e il giocatore a diventare un tutt'uno.
"C’è una connessione incredibile, l’energia in un palazzetto dello sport è ancora più forte. A livello cellulare scambiamo a livello energetico queste onde di cui noi siamo fatti. C'è un'onda di entusiasmo e di felicità talmente grande che a Jannik viene quasi da ridere, tanto la sente. È qualcosa di coinvolgente. Questo ragazzo qui riesce senza dubbio a coinvolgere tutti nella sua semplicità, nel suo gioco, nel suo mondo, nella sua schiettezza e serenità. È veramente bello perché nella sua grandezza ha una semplicità disarmante. Non fa niente di speciale: ti ritrovi dentro al suo mondo senza che nemmeno ti dica una parola"

Qual è stato l'episodio più bello che ti è capitato in questa edizione delle Finals di Torino, che ti ha emozionato particolarmente?
"Quest’anno è stato molto sereno e molto bello. Mi è piaciuto molto il contatto con le persone al fan Village. Ogni giorno la mia TV, Supertennis, ha deciso di fare il talk sul palco con i sostenitori vicini, proprio per stare più a contatto con loro. Una festa continua con migliaia di persone: questa è stata la cosa più bella che io ho sentito in tanti anni. Tra tutte queste persone di tutte le età, ho avuto un incontro meraviglioso con una signora, di circa 85 anni che era con il nipote. Io pensavo che il nipote volesse un autografo e invece era lei che si ricordava di me, mi aveva visto giocare in televisione ed ero terribile perché m’innervosivo ecc. È stata la cosa che mi ha più toccato perché pensa cosa vorrà dire Sinner per tutte queste persone. Nel mio piccolo ho fatto tanti anni in Nazionale e in tanti mi seguivano e si sono immedesimati in me. La cosa più bella nella vita è lasciare il segno. Il tuffarsi tra la gente e lasciare questo ricordo per un atleta, per come sono fatto io e per come è fatto Jannik, è eccezionale. Anche lui si rende conto di entrare nella gente e lasciare un segno importante. Sono cose impagabili, le più belle che ci siano".

In Italia ora c'è un fortissimo effetto Sinner, anche a livello giovanile, con annessa attenzione eccessiva a livello giovanile ai risultati. Quali sono le difficoltà nel passaggio da Juniores a Pro anche alla luce della tua esperienza?
"Innanzitutto a livello Juniores i risultati contano molto poco. Vale tutto: puoi essere forte da juniores e poi sfondare, oppure non diventare nemmeno professionista. Questo si vede se metto di fronte due ragazzi di 14 anni, con sviluppi totalmente all’opposto, magari uno sta già al 70 percento della maturazione e l’altro al 30. Per cui in una partita il primo ragazzo batte l'altro e pensiamo che possa avere possibilità maggiori d’arrivo, mentre se andassimo a sapere che livello di maturazione generale ha, capiremmo subito che invece magari l’altro può diventare più forte perché è solo al 30 percento del potenziale".

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"Il potenziale futuro è qualcosa di impossibile da stabilire, tranne con l’esperienza di un allenatore o di un ex giocatore, un osservatore che non può essere. Io sono uno che ha la fortuna di aver sempre visto i giocatori forti da giovani, con una sensibilità tale da riconoscere chi poteva fare determinate cose. Ma è una dote che sta nella mia testa. Quello che dico è che finché la maturazione di un giocatore, non è nel vivo, tutto il resto è una nostra illazione, sensazione, una nostra sensibilità rispetto ad una situazione senza fondamento. Tranne quello di generalizzare, e quindi di andare a dare false informazioni all’atleta".

Mi pare di capire dunque che bisogna andarci piano, lavorare duro e aspettare.
"Questo è quello che succede: non abbiamo nessuna possibilità di sapere la massima potenzialità fino ai 23, 25 anni ed ecco perché la Federazione italiana dopo tanti anni in cui a 18 anni ci salutava tutti e ci lasciava andare per la nostra strada, ognuno con le sue problematiche, ha cambiato registro. Ne abbiamo persi tanti di livello per strada e fortissimi a livello juniores perché il professionismo è una cosa diversa: incontri gente col coltello tra i denti che si gioca la sopravvivenza sportiva e se non vince non potranno tornare a lottare o trovare i soldi per farlo. È come se uno studente universitario di altissimo livello che ha fatto esami difficilissimi, magari a livello medico ecc, lo trovi a fare un’operazione vera per la prima volta. Un altro che invece ha fatto 200 operazioni ne trae un vantaggio esponenziale notevole. E quindi lì le prime sconfitte, le prime domande sul futuro, i primi dubbi".

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Stiamo parlando quasi di un altro sport, con un cambio notevole.
"Si va in mezzo agli squali e diventa complicato perché si deve sgomitare. Io per esempio ero molto precoce dal punto di vista della personalità e ho avuto i migliori risultati intorno a 22 anni. Nelle batoste che ho preso, non sono stato supportato e mi hanno fatto credere che a 22 anni avevo raggiunto la piena maturità che invece era a 25-27. Quindi se non avevo fatto un certo tipo di classifica mi ero convinto che quella ero il mio massimo, cosa totalmente sbagliata. Oggi vediamo che i giocatori la migliore classifica la raggiungono a 25-27 anni. Altri che partono male, perché non sono ancora pronti o forti dentro, vanno in questo mondo e fanno fatica a partire. E da lì ecco che poi si dice ‘ah vabbè non ha la testa, il fisico’ e giù altre illazioni. Guru che s’inventano e sanno le cose e come fare una cosa o un’altra. Proiezioni totalmente inventate".

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