Chiappini, coach di Bellucci: “Con Mattia ci divertiamo. Dopo Sinner ha imparato a pesare le parole”

Fabio Chiappini ha dedicato tutta la sua vita allo sport e al tennis. Coach di Mattia Bellucci e creatore del progetto Mxp Tennis Academy insieme a Marco Brigo, vanta una grande esperienza nel mondo della racchetta. Ai microfoni di Fanpage, Chiappini ha parlato del percorso e della crescita del suo atleta, protagonista in stagione di una bella cavalcata a Rotterdam in cui ha superato Tsitsipas e Medvedev. Un'occasione per parlare di quanto sia difficile il salto nel tennis professionistico e della crescita dei giovani talenti. Una battuta anche su Sinner, con la necessità di pesare bene le parole.
Fabio come sono cambiate le cose dopo l'exploit di Mattia a Rotterdam?
"Quando vinci è abbastanza normale avere più riflettori addosso, poi però dal giorno dopo o al massimo due o tre, questi riflettori si spengono. Si va avanti, abbiamo lavorato tanto per avere questa situazione per cui quando si accendono le luci ben venga".
Immaginiamo che sia diverso non solo per l'atleta, ma anche per il coach e il team avere i riflettori puntati.
"È sempre un punto di partenza nuovo, è normale che sia così. Noi lavoriamo nelle retrovie, nel backstage. L'interprete, il protagonista è l'atleta, lo è sempre stato e spero lo sarà sempre. Il lavoro è tanto ed è distribuito attraverso i ruoli dei componenti della squadra. La figura dell'insegnante è sempre stata una figura abbastanza chiara. Ha delle competenze, ha dei ruoli, ha degli obiettivi, e devono essere svolti. Poi sai, i social, la nomenclatura, coach o altro, fa parte di una parte descrittiva. Ma l'insegnante è sempre stato un insegnante che nel corso del tempo ha sviluppato maggiori competenze e lo può svolgere magari nella maniera migliore, più aggiornata".
Per Mattia dunque non è cambiato niente, anche le aspettative nei suoi confronti non lo spaventano?
"Uno come Mattia ci mette tanto del suo, è quadrato, anche se è una situazione nuova per lui. Una volta ho sentito una frase di Troisi che mi era piaciuta tanto, diceva che uno stupido quando si arricchisce rimane stupido e una persona intelligente che si arricchisce sarà sempre più intelligente. Quindi la persona è alla base di tutto: come è educata, come interagisce con gli altri, come si relaziona. Alla fine noi facciamo un mestiere che è inserito in un contesto sociale dove le regole penso che debbano essere chiare per tutti. II fatto della comunicazione che enfatizza un po' tutto, è un po' il gioco delle parti, vincere e perdere, il bello è anche quello".
D'altronde voi riuscite a fare della vostra passione il vostro lavoro, è il massimo no?
"Vivo i ragazzi italiani, gli altri team, vivo il mio e devo dire che trovo molta serenità. Ci sono delle difficoltà, delle situazioni più agevoli o meno agevoli, ma penso che faccia parte di ogni mestiere, no? Quando si riesce poi a fare della propria passione il lavoro si è persone ricche".

Quanto è difficile per un tennista fare il salto di qualità, anche quando si è stati top a livello juniores?
"Per eccellere bisogna affrontare un percorso molto selettivo. Per cui, è abbastanza difficile, d'altronde se non lo fosse, non si potrebbe mirare all'eccellenza. Poi per quanto concerne il passaggio, se posso andare proprio nel mio ruolo, nel mio mestiere, tante volte non si rispettano determinati step che devono fare gli junior per essere un pochettino più preparati in quella che è una fase più complessa come quella professionistica. Una delle cose che noto è che bisogna cercare di insegnare ai ragazzi, cosa importante anche per noi professionisti e insegnanti, a familiarizzare con l'errore. Questa è una cosa molto importante: come concetto è abbastanza facile, ma da mettere in pratica non è così scontato".
Qual è l'aspetto su cui bisogna lavorare più di tutto a tuo giudizio?
"Insegnare alle persone a dare il massimo, ai ragazzi a dare il massimo, e cercando di evitare di alimentare la cultura degli alibi, che è abbastanza presente un po' in tutti. Non si parla solo di tennis qui: se tu sali su un autobus, vai in una sala d'attesa di un pronto soccorso o di un ambulatorio, hai sempre questo orecchio allenato ad ascoltare gli alibi delle persone. Quindi vuol dire che si imparano queste cose e allora se si imparano percorsi diciamo un po' discutibili, non efficaci, noi insegnanti dovremmo dedicarci tanto a quello. Poi magari pensare alla tecnica che è importante allo sviluppo del gioco".
Mi vengono in mente le celebri parole di Velasco sugli schiacciatori che parlavano solo degli alzatori nella pallavolo, cultura dell'alibi.
"Le palestre sono tutte tappezzate di queste frasi, come quelle di Giulio Velasco. La cosa importante è metterle in pratica. Il concetto dell'alzatore, che è un'immagine simpatica ed efficace, poi però deve essere sviluppata. E questa è la cosa un pochino più complicata, ma è la cosa anche più divertente. Il rapporto che c'è tra me e Mattia, è nato proprio su queste situazioni complicate. Poi, io ho la fortuna di avere un giocatore che è uno spettacolo, è divertentissimo, e ha una motricità pazzesca, quindi è tutto più facile. Si è lavorato molto su quello".

Ma infatti Mattia dà proprio l'impressione di divertirsi, e inoltre diverte il pubblico perché il suo è un tennis vario e imprevedibile.
"La base è il divertimento. Come hai detto tu chi fa del proprio hobby un mestiere, è una persona ricca. Vuol dire che il divertimento fa parte del tempo che tu spendi per questa cosa, e la motivazione fondamentale è la passione che ci metti. Poi sul fatto del tennis un po' stereotipato, questa frase la sento da quando sono piccolino, quando c'erano Borg, McEnroe, poi successivamente Rios, Sampras… Io dico che Mattia ha determinate caratteristiche: mi sono trovato un giocatore nel 2021 diciamo con un po' di confusione tattica e la mia difficoltà e il mio divertimento sono stati di cercare di non esagerare a uniformare, togliendogli creatività. Tutto questo dandogli delle regole perché sennò è un attimo che sfoci un po' nell'improvvisazione e quando sei un professionista improvvisare, sai, reggi una volta, due, ma poi i nodi vengono al pettine".
Hai cercato di incanalare il suo talento sui binari giusti
"Esaltare le individualità in un contesto accettabile di regole, perché se non ci sono le regole non c'è il gioco. lo quando vedo Mattia che fa il colpo sotto le gambe, a me va bene. Qgni tanto quando scherziamo insieme su cosa dobbiamo migliorare gli dico ‘Secondo me la battuta dal basso è un po' da rafforzare' ma fa parte del gioco. Mattia è un po' un giocoliere, si diverte così".
Percepite il grande affetto dei tifosi italiani nei vostri confronti? E questa popolarità anche ai nuovi appassionati di tennis vi spaventa?
"Tutto arriva nel bene e nel male. Come hai detto tu prima, quando vinci, grande ovazione, quando perdi, anche dai social arrivano dei commentini non tanto gradevoli. Mattia ha fatto un percorso magari un po' diverso rispetto agli altri, ha fatto la scuola normale, l'ha sempre allenato il papà e una volta che ha finito la scuola ha deciso di fare un cambio di marcia, un upgrade. Noi abbiamo sposato il progetto Mattia Bellucci e ci siamo divertiti tanto. Chiaramente in ogni situazione hai momenti di difficoltà e di positività però è normale. Lui ha sempre avuto, e questo è riconosciuto da tutti, un grande potenziale naturale. Vorrei poterti parlare di come gli ho insegnato il servizio, ma è tutta roba sua, ha una velocità di spalla che è impressionante, un'esplosività da atleta vero. Ogni professionista che ha collaborato con noi più o meno direttamente, ha sempre evidenziato queste sue caratteristiche. Bisogna mettere a disposizione il talento e la facilità nel fare le cose per affrontare la crescita".
Qualche tempo fa, le sue parole sulla crescita di Sinner e sulle potenzialità di raggiungere alti livelli attraverso il lavoro sono state fraintese. Forse è arrivata qualche critica di troppo a Mattia in quell'occasione.
"Il fatto è che quando parli con il pubblico, con le persone che hanno interesse a sapere come la pensi e quant'altro, devi imparare a pesare le parole. Noi tutti stimiamo Jannik, io in particolare, ci ho sempre scommesso anche quando lo conobbi a 14 anni. Avevo già puntato su questo cavallo. Era impressionante. Apriva il circolo e lo chiudeva. Giocava con tutti. E sinceramente quello che intendeva Mattia era proprio quello. Cioè che il lavoro è fondamentale. Chiaro che poi, oltre al lavoro, ci vuole ben altro. Lui si è ispirato a Jannik. Il fatto che questo ragazzo che sciava, che poi a 14 anni è andato da Riccardo Piatti, abbia fatto quel percorso, è di ispirazione, così come lo è oggi. Noi lo vediamo quando si allena, come si muove, come si comporta. È quasi noioso, ecco… un'altra polemica (ride, ndr). Non ne sbaglia una. È proprio bravo. Secondo me, conoscendo Mattia, voleva rendergli omaggio. Poi magari, sai, si incastra un po' con le parole, può capitare, ma s'impara".
A proposito di lavoro, siete un gruppo affiatato e ben assortito. Quanto orgoglio c'è per la crescita di Mattia?
"L'errore più grosso è cercare di elevarci. Quello che ho notato nel tennis è che spesso ci si eleva: è una questione di testa, oppure si cercano regole magiche per spiegare delle cose. Mio papà si svegliava prima di tutti e andava a lavorare. Faceva un lavoro sicuramente meno divertente del nostro, tornava a sera tardi, faceva quadrare i conti, questi sono i fenomeni veri. Noi abbiamo la fortuna, sia io che il mio staff di collaborare con un atleta importante e tutti noi dobbiamo… esprimere il massimo delle nostre competenze".
In che modo?
"Il nostro preparatore atletico, che è affiancato dal preparatore atletico della federazione, Francesco Cerrai, che ci dà una mano. Il mio socio, che è Marco Brigo, che fa il manager amministrativo. Quindi tutto in casa, condividiamo tutte le scelte. Poi c'è il manager dei brand, che è Marco Colombo, una persona importante nell'ambito della moda e della comunicazione, però siamo un gruppo affiatato. Ogni cosa la discutiamo insieme condividendo e poi una volta approvata la scelta si va avanti sulla strada. Questo è il nostro modo di lavorare. Mi aiuta Gabrio Castrichella, che è una persona che è all'interno della federazione, Filippo (Volandri, ndr) mi dà il suo aiuto e Giancarlo Palumbo. Alla fine le collaborazioni portano sempre a qualcosa di buono. È chiaro che devi cercare di filtrare le cose, rispettare i ruoli e soprattutto avere un obiettivo condiviso. Chi studia, chi si interessa, chi fa il mestiere per essere efficace e performante. Una cosa è certa quando entri in campo è difficile fingere".
Tanta gente si è avvicinata al tennis negli ultimi anni per i successi azzurri, e le aspettative sono altissime così come le critiche dopo le sconfitte.
"Ma guarda se tu entravi in un bar negli anni 80 trovavi sempre un coach della nazionale o un ct. Nei bar italiani è pieno, ma è giusto che sia così: la gioia dello sport, è anche quella di poter giudicare, poter dire la propria, ma anche in maniera grottesca, scomposta. Fa parte del gioco. Anche alla Scala si fischiano le steccate eppure chi fischia magari non è capace di intonare fra' martino Campanaro. Fa parte delle cose, solo che oggi invece dei bar abbiamo i social. È cambiato il sistema di comunicazione e io non sto lì a sindacare più di tanto. Un sacco di gente giudica, ripeto, non solo nel tennis. Sai quanti medici che ci sono in giro? Hai voglia. Con il Covid erano tutti virologi. Adesso sono tutti esperti di doping. Si, tutti. Tutti a puntare il dito o a toglierlo".
Mi fai un assist per parlare del caso Clostebol di Sinner.
"Se uno mi chiede di Jannik, ma io ci metto praticamente la mano sul fuoco su di lui. È un argomento talmente serio e specifico, che come fa uno ad appropriarsi di tali verità? Tifo per lui e per la sua squadra e non posso fare altro che sperare che questa cosa passi più velocemente possibile. Questo ragazzo qua ha fatto delle cose importantissime con tutto il team e tutto lo staff. A partire da Riccardo Piatti, da quelli che l'hanno cresciuto… Chi sono io per poter ad affrontare un argomento come questo. Se mi fai una domanda sul Covid, cosa ti posso dire? Mi devo schierare da una parte o dall'altra dei complottisti. Io sono un maestro di tennis, anche di educazione fisica. Sono specifico delle mie competenze, ma posso mai dare un opinione su altri argomenti? Quello che chiedo per esempio a Mattia è sempre stato anche questo: non voglio sentire giudizi, non voglio sentire frasi buttate li nei confronti di altri o di colleghi".

Mi ha colpito una tua frase pronunciata in passato "Un genitore ha già vinto quando il figlio scende in campo”. Che cosa intendevi nello specifico?
"In tutti gli ambiti, calcio, basket, pallavolo, per fare esperienza e non solo, anche sul profilo educativo e questa attenzione eccessiva ai risultati l'ho sempre avvertita. La frase in questione punta proprio a quello, cioè il ruolo del genitore è talmente importante nei confronti del figlio che è il genitore prima di tutto che deve riconoscere il proprio ruolo. A volte proprio il genitore, anche io lo sono, fa fatica a sposare la politica dell'errore a far sbagliare i propri figli.
Insomma i figli devono essere lasciati liberi, anche di sbagliare. C'è bisogno di alleggerire la pressione.
"Lo si lascia libero di fare le proprie esperienze, di vincere, di perdere e di raccogliere tutto ciò che è importante dallo sport. Quindi di imparare a perdere, imparare a riconoscere le emozioni, la tristezza, lo sconforto, la gioia, tutte queste cose. Ti ricordi quando Giulio Velasco diceva che un bambino piccolino, quando comincia a camminare cade e sbatte per terra. I parenti che stanno intorno cosa fanno? Applaudono e ridono. Il bambino ride di fronte alla caduta, si rialza e ricade ancora. Ecco bisognerebbe imparare a portare avanti questo tipo di strategia. Come? Dare qualche regola, ovviamente, proporzionata a quella che è l'eta del fanciullo. È fondamentale che un genitore faccia vivere le proprie esperienze al proprio fanciullo. Il genitore ha vinto la propria partita quando riesce a fare questo".