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Chi è Marco Cecchinato, l’italiano che fa sognare al Roland Garros

Marco Cecchinato è diventato l’ottavo italiano in semifinale in un torneo dello Slam, il primo dai tempi di Corrado Barazzutti nel 1978. Seguito ora da Simone Vagnozzi, è alla stagione della svolta. Evidenti i miglioramenti con il rovescio, decisiva la fiducia in sé stesso e la capacità di leggere le fasi del gioco. Sognare in grande si può.
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"L'esitazione è il lusso dei saggi", scrive Fred Vargas, "l'audacia il lusso delle menti libere". Per Marco Cecchinato, evidentemente, il tempo della saggezza è ancora in là da venire. E il tennis italiano tutto sentitamente ringrazia. Prima del Roland Garros, non aveva mai vinto una partita in uno Slam. Ora, dopo un quarto di finale contro Novak Djokovic, che si spiega solo con un misto di coraggio e convinzione, diventa l'ottavo italiano in semifinale in uno dei quattro tornei più importanti del mondo. E dopo il Roland Garros entrerà per la prima volta tra i primi trenta della classifica ATP.

Quarant'anni dall'ultima semifinale azzurra in uno Slam

Le lacrime di gioia e di consapevolezza illuminano l'impresa contro Novak Djokovic. Cecchinato entra nel ristretto gruppo dei semifinalisti Slam italiani. Un'elite che racchiude il meglio di mezzo secolo del nostro tennis: ci sono dopo il barone Uberto de Morpurgo, unico tennista azzurro medagliato alle Olimpiadi, Giorgio de Stefani, Giuseppe Merlo, Nicola Pietrangeli, Orlando Sirola, Adriano Panatta e Corrado Barazzutti. Quando il 10 giugno 1978 l'attuale capitano di Davis affrontava Borg, l'Italia forse non capiva la fortuna sportiva della generazione d'oro. Si preparava a votare al referendum per abrogare la legge Reale, sull'ordine pubblico, e sul finanziamento ai partiti. Discuteva di una lettera di Berlinguer alla Democrazia cristiana e degli interrogatori di Enrico Triaca, il titolare della tipografia di via Foà in cui le Brigate Rosse avevano stampato la Risoluzione Strategica del febbraio 1978, diffusa con il comunicato numero 4 in pieno rapimento moro. E si preparava a una notte davanti alla tv per Italia-Argentina, l'ultima partita del girone di Coppa del Mondo allo stadio del River Plate. Finirà 1-0 con Gentile a cancellare Kempes e Bettega a firmare l'unica sconfitta dei padroni di casa che in piena dittatura militare avrebbero vinto il titolo. Nel mezzo, Corrado Barazzutti vince un solo game al Roland Garros contro Bjorn Borg che chiude 6-0 6-1 6-0.

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Il primo titolo a Budapest

Sono lacrime di gioia e libertà, quelle del palermitano, quella libertà che è potere d’azione e volontà di potenza. È sogno che non resta come desiderio stretto in fondo al cuore, ma diventa strada da seguire, che promette esperienza e mistero. Aveva vinto quattro partite in carriera nel circuito maggiore prima di quest'anno. Il tempo prende velocità a Budapest. Entra da lucky loser, ripescato in tabellone dopo aver perso nell'ultimo turno di qualificazioni. E vince il torneo.

È superstizioso, racconta dopo la vittoria sull'ex numero 1 del mondo con cui tante volte si è allenato insieme. Ha tatuato sul braccio un 13, il suo numero fortunato. Chissà allora che non ci sia un disegno, che qualcuno può chiamare destino, in questo torneo magico iniziato con un successo stentato, 10-8 al quinto set, contro il rumeno Marius Copil: la sua vittoria numero 13 nel circuito maggiore in carriera.

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Il percorso al Roland Garros

Da lì, non si è più fermato. Al secondo turno ha interrotto un'altra delle favole del Roland Garros, quella dell'argentino Marco Trungelliti, che in Spagna scopre di poter rientrare in tabellone per il ritiro di Nick Kyrgios e, vista la cancellazione di tre voli e uno sciopero delle ferrovie in Francia, guida per mille chilometri con nonna e famiglia al seguito, documentando tutto sui social.

Batte lo spagnolo Pablo Carreno Busta e le prospettive della sua personale rivoluzione francese iniziano a cambiare. Incontra un David Goffin non al meglio, che non pennella angoli e geometrie come sua abitudine, ma i suoi meriti nel primo successo in carriera contro un top 10 restano intatti e illuminanti.

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Dalla Sicilia all'Alto Adige

Almeno quanto il lavoro con il tecnico Simone Vagnozzi, che completa un percorso iniziato da lontano. Figlio del direttore della ASL di Palermo, con uno zio oggi al vertice del comitato regionale siciliano della Federtennis, fino a 17 anni si è allenato in Sicilia. È un buon prospetto, nulla di più, entra al massimo fra i primi 100 nella classifica under 18. La prima svolta arriva nel 2009, quando decide di abbandonare casa e attraversare l'Italia. Va a Caldaro, in Alto Adige, nell'accademia di Massimo Sartori, il coach storico di Andreas Seppi. “Un mese poi vediamo” lo affronta Sartori. Diventano due anni, in cui il coach lo convince di un nuovo percorso tecnico e inizia a cambiargli il dritto. Cecchinato, racconta Sartori a Repubblica, sa adattarsi alle situazioni e vuole migliorare. Ma dopo due anni, per problemi personali, Sartori non può più seguirlo.

L'incontro con il team di Riccardo Piatti

Cecchinato, ormai maggiorenne, si sposta al Bordighera Lawn Tennis Club 1878, primo circolo tennistico d'Italia e base dello staff di Riccardo Piatti, che ha lavorato anche con Novak Djokovic, di recente ha seguito Richard Gasquet e Milos Raonic e ora lavora con il promettente croato Borna Coric. Il successo a San Marino nel 2013 lo lancia nei primi 100 del mondo ma per troppo tempo galleggia nel circuito Challenger, senza vedere una svolta reale.

Cristian Brandi lavora sul rovescio, che gli dava qualche problema di equilibrio quando cercava di giocarlo in spinta. Oggi quel rovescio è diventato l'arma in più. Contro Djokovic l'ha giocato in sicurezza in ogni direzione e con ogni traiettoria. Rasoiate strettissime, rivedere per credere il tiebreak del quarto set, topspin in diagonale, palle corte, cambi in lungolinea. Più dovere che fortuna, che pure un po' una mano gliel'ha data sulla risposta colpita non proprio al centro del piatto corde ma atterrata pur sempre sulla riga sul match point. “E' stato il momento più bello della mia vita” ha ammesso in conferenza stampa.

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Il periodo più buio

Quelle lacrime a fine partita, dopo l'abbraccio e i complimenti di Djokovic, finiscono per rappresentare un lavaggio della memoria dopo le accuse di combine di un match al Challenger di Mohammedia, in Marocco, nel 2015 contro il polacco Kamil Majchrzak. Il processo si è estinto in appello, dopo un'acquisizione discutibile delle prove, per un difetto di procedura. Ha detto di non vivere questo successo, questa settimana così speciale, come una forma di riscatto. Di quella storia non vuole parlare, è un capitolo chiuso, lo specchio di un periodo di dubbi e debolezze, di troppi alti e bassi e troppe domande.

Nel periodo più buio inizia a lavorare con Simone Vagnozzi, che ha da poco smesso di giocare. Qualcosa scatta e prende forma nella preparazione invernale prima di questa stagione. L'azzurro è più attento ai particolari, la concentrazione è massima fin dal primo allenamento.

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I progressi e le grandi destinazioni

E i risultati si vedono, nel gioco, nella presenza in campo, nella capacità di sfruttare il servizio, di giocare profondo, di anticipare da entrambi i lati, nella copertura del campo anche in avanti. La convinzione nel percorso tecnico porta ad affrontare il lavoro quotidiano con una diversa disponibilità. E per arrivare in alto non basta volerlo. Bisogna mettere questo tipo di disponibilità al servizio dell'ambizione. È da questo passaggio che si genera la fiducia in se stesso, la lettura attenta delle situazioni di gioco contro Djokovic, anche dopo aver perso il terzo set e iniziato il quarto con un punto di penalità per essere rientrato in spogliatoio per cambiarsi le scarpe quando le regole lo consentono solo per andare in bagno.

Negli anni dei dubbi e delle domande, Cecchinato giocava più conservativo quando andava in difficoltà. Ora gioca sciolto, consapevole di quel che sa fare. E soprattutto ha dimostrato di saper scegliere bene cosa fare nei vari momenti del match. Contro l'austriaco Dominic Thiem, in semifinale, sarà determinante il rendimento al servizio e con la risposta. Thiem, che quest'anno ha vinto più partite di tutti ed è l'unico che abbia sconfitto Rafa Nadal sulla terra battuta quest'anno, riesce a giocare profondo anche da molto lontano, ma consuma sempre molta energia in ogni colpo. Gli manca un po' di naturalezza nelle esecuzioni di tocco. L'azzurro, che ha usato ma non abusato di tagli in back e palle corte, può aprirsi un piccolo spiraglio. Sognare, in fondo, non costa nulla. Non fermatelo, non ancora.

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