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Berrettini è un gigante, nel momento della vittoria cita i compagni: “È per Musetti e per chi non c’è”

Il tennista romano ha vinto il primo incontro della finale di Coppa Davis e portato l’Italia sull’1-0 contro l’Olanda. “Tutto questo mi mancava. Il segreto è entrare in campo tutti e 6 col capitano”.
A cura di Maurizio De Santis
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Matteo Berrettini "the hammer", il martello. Chi ha visto la partita vinta in finale di Coppa Davis contro l'olandese van de Zandschulp capisce perché ha quel soprannome. Chi non lo conosceva (ancora) ha avuto la possibilità di apprezzarne il coraggio, il talento, la forza dei nervi e la potenza dei colpi. Chi aveva dubbi sul suo rendimento, è stato smentito del tutto dalla grande prestazione sfoderata al tennista romano. E poi c'è una sequenza statistica che non mente: ha prevalso in tutte le partite disputate finora, dalla fase a gironi alle Finals di Malaga. Chapeau.

La sua vittoria ha portato l'Italia in vantaggio e ha un sapore particolare, dolcissimo per l'azzurro che, dopo il punto decisivo, ha atteso qualche attimo prima di scatenarsi nell'urlo liberatorio. Ha sorriso poi stretto i pugni, li ha agitati con veemenza rivolto verso il pubblico e s'è preso l'abbraccio dei tifosi. Berrettini ha bevuto fino all'ultima goccia di successo, una sensazione che non provava da tempo.

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"Dimmi quant'è bella", è la domanda a caldo che gli fa il reporter. E lui utilizza le parole che meglio descrivono l'euforia e la soddisfazione che gli scoppiano dentro e gli puoi leggere negli occhi. Sono emozioni forti: le ha sudate, sperate, ha lottato per sentirle di nuovo dopo la lunga amarezza per gli infortuni.

"È incredibile. È fantastico essere in campo – ha ammesso the hammer -. Se vinci è ovviamente meglio. Ma essere in grande forma e trovarmi qui godendomi questo tipo di atmosfera è la cosa più importante per me. Perché mi mancava. Mi sono perso questi momenti l'anno scorso".

L'inizio dell'incontro con van de Zandschulp non è stato brillante poi Berrettini ha tolto un po' di polvere dal suo bagaglio tecnico e ha fatto nettamente la differenza lasciando all'avversario la frustrazione di trovarsi a giocare contro un muro. Per quanto si battesse, dall'altra parte del campo gli arrivavano fendenti e colpi pazzeschi, nel corso degli scambi oppure in battuta che lo hanno "martellato". I numeri non dicono tutto ma c'è un dato che spiega qual è stata la montagna da scalare: l'italiano s'è mostrato particolarmente efficiente al servizio (16 ace, 69% di prime di servizio, 86% di punti conquistati di conseguenza), ha continuato a spingere l'olandese sul lato del rovescio fino a logorarlo sul dritto con livelli di tennis molto alti.

"Sento che il mio livello non è mai sceso davvero – ha sottolineato Berrettini -. Ma quando sei in difficoltà dal punto di vista fisico e mentale non è facile giocare il tuo miglior tennis. Però ho sempre avuto la sensazione che il mio livello fosse questo. Dovevo solo lavorare moltissimo. L'ho fatto quest'anno ed è per questo che sto giocando piuttosto bene".

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Si vince di squadra, da soli non si va da nessuna parte. Berrettini lo ribadisce nell'ultima riflessione e non è mero opportunismo. Non dimentica la squadra e cita (anche) Lorenzo Musetti, che nei giorni scorsi aveva espresso tutta la propria delusione per la sconfitta nella prima partita contro l'Argentina. "Il segreto è entrare in campo tutti e 6 col capitano. Un po' di stanchezza c'era, ma la metti da parte perché l'adrenalina è tanta e vuoi rappresentare al meglio tutta la squadra, Lorenzo Musetti e chi non c'è. Non importa chi gioca, mettiamo sempre il cuore in campo. Lorenzo, Jannik, tutti danno il massimo. I ragazzi che sono tornati a casa, Flavio Cobolli, Arnaldi… tutti hanno vinto delle partite davvero importanti nelle fasi iniziali. Indossare la maglia azzurra è il sogno di un bambino che ha iniziato a giocare anche per questo e i sacrifici sono fatti per vivere questi momenti qua".

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