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Olimpiadi invernali 2022 a Pechino

L’allenatrice della Valieva è disumana, invece di consolarla l’attacca: “Perché non hai combattuto?”

La reazione di Eteri Tutberidze, l’allenatrice di Kamila Valieva, dopo la sua disastrosa prova nel concorso individuale di pattinaggio artistico alle Olimpiadi, mostra il volto disumano del sistema russo di addestramento di queste giovanissime atlete.
A cura di Paolo Fiorenza
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La drammatica conclusione del singolo femminile di pattinaggio artistico alle Olimpiadi è stata uno spettacolo che non fa onore allo sport ed espone in maniera cruda il sistema russo di reclutamento, addestramento e feroce motivazione di atleti ed atlete che spesso sono giovanissimi ed incapaci di sottrarsi al meccanismo tossico in cui sono intrappolati. I termini usati sono non a caso militari, visto che questi ragazzi non sono mandati a competere in nome dello sport, nella sua accezione più elevata, ma selezionati e programmati con un unico obiettivo: vincere a qualsiasi costo, per portare successi alla madre Russia e tenerla alta nel medagliere.

Dove per qualsiasi costo si intende anche somministrare un farmaco per malati di cuore ad una bambina di 15 anni come è ancora Kamila Valieva, la nuova reginetta del pattinaggio di figura mondiale, trovata positiva alla trimetazidina durante i Giochi di Pechino e finita poi travolta dalla bufera generatasi, tra le polemiche roventi e i ricorsi per consentirle di gareggiare. Alla fine la Valieva è crollata nel momento decisivo, schiacciata da una pressione che una ragazzina della sua età non dovrebbe mai subire. Con addosso gli occhi del mondo che l'ha additata come dopata e d'altro canto le aspettative di un Paese che l'ha cinicamente programmata per portarla fino a quel punto, è ripetutamente caduta nel programma libero che avrebbe dovuto consegnarle la medaglia d'oro, scivolando addirittura fuori dal podio col quarto posto finale.

Kamila Valieva distrutta al termine del suo esercizio
Kamila Valieva distrutta al termine del suo esercizio

Il suo sciogliersi in lacrime inconsolabili subito dopo la fine dell'esercizio è stato un pugno nello stomaco, ma lo è stato ancora di più vedere la reazione della sua allenatrice mentre la Valieva tornava nel suo box a bordo pista. In quel momento avrebbe avuto bisogno solo di una cosa: di qualcuno che l'abbracciasse e le asciugasse quelle lacrime, ed invece la durissima Eteri Tutberidze – piuttosto che tenderle la mano e consolarla – ha mostrato il volto disumano dell'addestramento di queste pattinatrici bambine, poco dopo palesato anche dalla crisi isterica della medaglia d'argento, la 17enne connazionale Trusova.

La 47enne moscovita, allenatrice-istituzione in Russia, famosa per creare campionesse in serie in età giovanissima – salvo poi assistere al loro ritiro spesso neanche ventenni a causa del logorio psicofisico – si è dunque rivolta gelidamente alla Valieva senza alcuna comprensione per il suo dramma, cercando invece di capire come fosse possibile che una delle sue macchine perfette avesse fallito ed accollandole tutte le responsabilità del disastro: "Perché l'hai lasciato andare? – le ha chiesto la Tutberidze in russo, in una scena trasmessa in diretta televisiva – Spiegamelo, perché? Perché hai smesso di combattere? L'hai lasciato andare dopo quell'axel".

La Valieva non aveva la forza di risponderle ed attendeva poi il suo destino, materializzatosi poco dopo sotto forma dell'annuncio del punteggio bassissimo nel programma libero che ufficializzava il crollo dei suoi sogni e di tutto quello per cui aveva vissuto negli ultimi anni, sacrificando la propria vita in allenamenti durissimi con poco spazio per altro che non fossero i pattini sul ghiaccio e un regime di vita spietato, in cui la dieta è ferrea e perfino bere acqua è proibito. Ed anche in questa circostanza, con le lacrime a sgorgare copiose sulle sue guance, quella mano posta sulla sua spalla dall'allenatrice era fredda come il marmo, non di conforto. L'espressione del suo volto non aveva nessuna empatia, nessuna umana comprensione e voglia di svolgere il ruolo che dovrebbe avere una maestra di sport e di vita.

La Tutberidze era semplicemente la maschera della sconfitta. Di un sistema, prima che di una gara olimpica. Un sistema in cui la pietà per la piccola dea Valieva caduta dall'Olimpo non è contemplata, complice anche la famiglia che l'ha messa in mano ad una macchina che l'ha stritolata in mondovisione. Una pagina davvero triste dei Giochi olimpici.

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