La regina bambina in mano all’apparato russo: “Doping? Valieva ha scambiato un bicchiere col nonno”
Nonostante la positività al doping notificatale durante le Olimpiadi, Kamila Valieva ha potuto gareggiare martedì nel programma corto del concorso individuale di pattinaggio di figura alle Olimpiadi di Pechino, piazzandosi provvisoriamente al primo posto, in attesa del programma libero di giovedì che assegnerà le medaglie. Del resto la 15enne nuova reginetta del pattinaggio artistico mondiale, unica in grado di eseguire passaggi di difficoltà elevatissima, era la grande favorita della vigilia.
La sua partecipazione alla prova individuale è stata possibile grazie al verdetto del TAS di Losanna, che ha respinto i ricorsi di CIO, Agenzia Mondiale Antidoping e Unione Internazionale di Pattinaggio contro la revoca della sospensione della giovane russa. Partecipare per non arrecarle un "danno irreparabile", come ha spiegato il tribunale arbitrale, non significa ovviamente che la Valieva ne uscirà pulita: la medaglia d'oro conquistata con la Russia nel concorso a squadre è sub iudice (non c'è stata premiazione), così come sarebbe sub iudice l'eventuale medaglia nell'individuale, né avrebbe luogo la cerimonia sul podio.
Si preannuncia dunque una accesa battaglia legale, ad Olimpiadi finite, tra la Russia e gli stessi ricorrenti respinti dal TAS, in primis il Comitato Olimpico Internazionale, che ha dovuto incassare una sconfitta pesante ma andrà fino in fondo per smascherare quella che considera l'ennesima puntata del ‘doping di stato' russo, che già costringe gli atleti a gareggiare senza bandiera e senza inno, sotto la sigla ROC, a causa della squalifica del 2019 che durerà fino a tutto il 2022.
Una tesi condivisa dalla WADA, l'Agenzia Mondiale Antidoping: la Valieva sarebbe dunque l'ultima vittima della manipolazione tramite sostanze dopanti di atleti ed atlete, spesso giovanissime, che finiscono spremute in un meccanismo da cui non possono più uscire, costruito all'unico scopo di portare successi alla nazione russa, senza la minima cura per le conseguenze devastanti su quelle giovani vite. Che cosa di buono può infatti venire dall'assunzione da parte di una ragazzina di 15 anni di trimetazidina, un farmaco – probito dal codice antidoping mondiale – che serve per chi ha problemi al cuore?
La linea difensiva dei russi sulla sostanza rinvenuta nei campioni analizzati non nega che sia stata assunta dalla Valieva, ma dipinge uno scenario un po' difficile da credere, pur con tutti benefici del dubbio: secondo la madre della ragazza e il suo avvocato, che hanno partecipato in videochiamata all'udienza del TAS di domenica scorsa, la campionessa potrebbe aver ingerito la trimetazidina condividendo un bicchiere con il nonno, nel giorno di Natale. Il nonno sarebbe infatti malato di cuore e in occasione delle festività il suo bicchiere con la medicina incriminata – uno stimolante che incide sulle prestazioni secondo il codice WADA – sarebbe finito tra le mani di Kamila, assolutamente ignara di cosa ci fosse dentro.
Il campione, analizzato in un laboratorio svedese che ha comunicato il risultato soltanto qualche giorno fa, è stato infatti prelevato lo scorso 25 dicembre e dunque la versione fornita dal suo entourage fa coincidere le circostanze. Il presidente della WADA, Witold Banka, ha spiegato chiaramente quali siano le responsabilità dell'agenzia antidoping russa, la RUSADA: "Solitamente le agenzie nazionali antidoping contrassegnano campioni importanti come priorità e quindi non ci sono problemi con possibili ritardi. RUSADA non lo ha fatto. Quindi il laboratorio svedese non sapeva che un determinato campione doveva essere testato molto rapidamente. Questo è un errore della RUSADA. Il doping sui minori è un reato nello sport. Chi lo fa dovrebbe finire in carcere. Il loro posto è lì. È ancora un grosso problema di cultura negli sport russi. Ci sono ancora allenatori e medici che dopano i minori. Ora ci aspettiamo da loro un'indagine molto approfondita sull'intera vicenda, allo stesso tempo anche la WADA condurrà le proprie indagini".
Un'altra brutta storia sulla pelle di una giovane donna. Intanto giovedì si riparte, come se nulla fosse accaduto, in mezzo alle polemiche di chi non si capacita come sia possibile che un'atleta acclaratamente dopata possa ancora essere in gara ai Giochi Olimpici, che dovrebbero essere il simbolo dell'elevatezza – prima di tutto morale – dello sport.